Quando si svegliò, era solo.
La notte, livida e tesa, proiettava ombre sul pavimento dove, raggomitolato su se stesso, Dean giaceva nudo. Doveva essere stato il freddo a svegliarlo, perché, nel momento in cui aprì gli occhi, un lungo brivido gli percorse la schiena.
Blake?, pensò sbattendo le palpebre assonnate, prima di guardarsi attorno con fare trasognato.
Scuri mobili demodé contornati da una ancor meno attraente carta da parati risposero al suo richiamo, ricordandogli in tutta la loro desolante sciatteria che non si trovava né alla St Patrick né all'interno delle sue stanze della magione Wright. Era in una casa che Ethan aveva definito come potenzialmente sua, dove si supponeva che rimanessero nascosti fino a nuovi sviluppi.
O meglio lui rimanesse nascosto, dato che il suo nemico numero uno non c'era e lui era nudo come un verme, disteso su un pavimento lercio e tappeti infeltriti.
Si tirò in piedi con uno scatto, e una fitta di dolore generico a braccio, gambe e schiena gli comunicò che il suo corpo, a differenza della mente, aveva tenuto perfettamente conto di quanto accaduto nelle ore precedenti. E ora gli stava presentando la parcella.
Con un rapido esame della stanza individuò i suoi indumenti abbandonati in un angolo e si vestì, storcendo il naso nel percepirne l'odore pestilenziale di sudore e paura.
Fatto ciò si concesse una seconda occhiata. Sospirò nel notare, come da copione, che il suo Psyche era irreperibile.
Non perse tempo a stupirsene.
«Oh, andiamo...» sussurrò grattandosi la nuca. «Non posso averlo perso.»
Ovviamente poteva averlo perso, considerando il pandemonio delle ultime ore. Ancora più ovviamente ricordò che l'ultima volta che lo aveva visto, a metà fra togliersi la camicia e scalciare i pantaloni dalle gambe, si trovava nelle mani del suo nemico.
Che vi fosse rimasto?
Freddo e assente, lo specchio attraverso cui lui e Ethan erano fuggiti rifletté il suo sguardo accigliato e gli restituì un'immagine di sé ancora più sgranata di quanto ricordasse. A vedersi, constatò, pareva che si stesse accartocciando su se stesso, divorato come sotto l'effetto di una voracità interna impossibile da saziare.
Rabbrividì a quel pensiero, della propria immaginazione e di tutta quella situazione e finalmente capì che gli rimaneva una sola cosa da tentare.
«Blake?» chiamò nel buio.
Nessuno rispose.
Strano ma vero, anche lì la sorpresa fu marginale. Da quando la sua vita aveva cambiato piega tramutandosi da piatta a trasversale, era normale ricevere risposte disattese da speranze ancor più improbabili.
Senza perdere tempo afferrò l'asta di una lampada da tavolo poco distante, liberandola dal paralume prima di brandirla dinnanzi a sé come la mazza da cricket che fin da bambino si era rifiutato di utilizzare. Stringendosi a essa uscì dalla stanza e cominciò poi a scendere le scale del breve corridoio antistante.
Immerse nell'oscurità, portavano al piano di sotto, ancora più buio e silenzioso.
Forse fu la paura, o l'emozione in sé, ma per un attimo gli parve di sentire odore di caffè nell'aria.
Possibile?
Mentre l'immagine di un Ethan pronto ad aspettarlo al piano di sotto con una moka in mano balenava nella sua mente, si diede dello stupido.
Nemmeno Blake è così stronzo da farmi venire un mezzo infarto solo per soddisfare la propria voglia di caffeina.
E infatti, Ethan non era così imbecille.
STAI LEGGENDO
Return
FantasyNOTA DI LETTURA: il libro è il seguito di Escape, pertanto è necessario aver letto il precedente per poter comprendere la storia Dean e Ethan sono fuggiti decidendo di seguire il loro cuore, ma il ricongiungimento dura una sola notte: Dean infatti s...