Q-Capitolo 1

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Pioveva, non a dirotto od in modo particolare, era solo una pioggerellina che ammantava le strade ed i boschi circostanti stringendoli in un nebbioso abbraccio, eppure Ruth fissava ostinatamente il finestrino come se fosse lo spettacolo più interessante di sempre.

La Chevrolet Celebrity di suo padre scivolava lenta lungo la strada principale, accompagnata dalle chiacchiere dell'uomo che trovavano solo un muro di silenzio.

«E così pensavo, magari stasera potremmo spararci un paio di film, aspettare i dolcetto o scherzetto e poi finire quel gioco con gli zombie che è appena uscito, siamo rimasti bloccati alla centrale di polizia.»

Un piano perfetto, un tempo Ruth adorava passare serate simili, scolarsi una bibita frizzante per l'occasione e rimanere seduti tra le coperte calde in botta da urla e zuccheri, ma qualcosa era cambiato, anzi quasi tutto.

Le strade vuote, gli alberi torti e le luci ritardatarie dei lampioni glielo ricordavano, fino a qualche mese prima, avevano vissuto tranquillamente a Chicago, una famiglia piccola e normale, una vita come tante, aveva persino degli amici, come spesso succede però, le decisioni degli adulti dovevano rovinare tutto.

Si erano trasferiti in fretta e furia per allontanarsi dalla mamma e dal suo problema, era per il suo bene, Ruth lo sapeva ma non aveva avuto il tempo di salutare nessuno, non era riuscita a portarsi quasi niente dietro se non un profondo sconforto ed era stata trascinata ad Abomaso, la cosa più lontana e diversa da Chicago che riuscisse ad immaginare.

Suo padre sembrava non accorgersene, continuava a chiacchierare come se non fosse cambiato nulla, come se non gli avesse tenuto il muso per mesi, come se non fossero andati a vivere in un buco di culo.

«Rù mi stai ascoltando?»

«Stasera ho il ballo pà.»

L'uomo guardò la schiena di sua figlia come se fosse stato appena colpito d un mattone, Ruth Mactavish aveva 14 anni, era grande per la sua età, aveva smesso di abbracciarlo in pubblico e per la prima volta si rese conto che si stavano allontanando.

Ci mise qualche secondo buono a riprendersi, poi continuò a parlare con il solito tono gioviale grattandosi la barba incolta.

«È vero, me ne ero dimenticato scusa, ti accompagno se vuoi o verrà il tuo cavaliere a prenderti? Non sarebbe male conoscerlo finalmente»

Altro silenzio.

L'auto piegò pigramente, ormai l'ombra immensa del faro in disuso si stagliava sulla strada ingoiando la corsia sinistra e Charlie Mactavish sterzò impercettibilmente per allontanarglisi, non per superstizioni, niente di tanto razionale, quanto più per un gesto meccanico.

Con un sospiro pesante che si perse nel brusio di sottofondo del riscaldamento, si chiese se fosse arrivato il momento del discorsetto, erano quasi arrivati a scuola, poteva vederne la cupola grigiastra in lontananza, strinse la presa sul volante spelacchiato e decise che si, era arrivato il momento.

«Lo so che è difficile, lo so che non ho affrontato la cosa nel migliore dei modi, per noi adulti è difficile dirlo ma mi dispiace, forse ho sbagliato.

Si questo posto è piccolo, sperduto e strano ma potevo permettermi solo una casa qui con cosi poco preavviso, è una sistemazione temporanea Rù, riesci a non avercela con me finché non sistemo tutto?»

ci aveva messo tanto a studiare le parole esatte, le aveva provate allo specchio un paio di mattine, ci aveva ripensato durate le nottate insonni, sperava di aver fatto centro.

Ruth si strinse nelle spalle, i sensi di colpa le salirono dal petto alla gola, come ci riusciva sempre?

Non la sgridava mai eppure sapeva benissimo come farle capire quando qualcosa non andava, annuì distrattamente aggiustandosi meglio la visiera del cappello sul viso, era ancora amareggiata nel modo fermo e privo di giustificazioni logiche dei ragazzini, ma le scuse avevano funzionato in gran parte.

Una notte nello stomacoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora