Capitolo 2. Real Sweet, but I Wish you were sober

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Drew
Mi svegliai di soprassalto. Avevo la fronte madida di sudore, sentivo delle goccioline scivolare sulla mia pelle come della pioggia che scorre sui vetri.
La testa mi pulsava e non riuscivo a vedere nitidamente.
Cercai di ignorare le macchioline bianche che mi oscuravano in parte la vista di una stanza che riconobbi subito non essere la mia.
Sussultai.
Sentii un mugolio provenire da un luogo imprecisato accanto a me.
Una ragazza, di cui non ricordavo nemmeno l'identità, stava dormendo sommessamente. I suoi capelli biondi e arruffati erano riversati su un cuscino dalla federa bianca.
Intorno alle mie gambe era avvolto un lenzuolo del medesimo colore che mi impediva di compiere il minimo movimento.
Sospirai.
Mi liberai dalla morsa delle coperte e recuperai dal pavimento in legno la mia camicia e le mie scarpe.
Le indossai e uscii dalla stanza, facendo il più possibile per non svegliare la ragazza.
Non mi sentii in alcun modo obbligato a lasciarle un biglietto in cui le illustravo il motivo per cui ero fuggito nel cuore della notte.
D'altronde, non ricordavo nemmeno il suo nome o qualsiasi particolare che non riguardasse il suo aspetto fisico.
Non mi ero nemmeno soffermato per un secondo a studiarla, in cerca di qualche particolare che potesse innescare un ricordo nella mia mente.
Mi limitai a uscire dall'appartamento, chiudendomi la porta alle spalle e a uscire cautamente dal palazzo in cui risiedeva la bionda.
Appena fui fuori tirai un sospiro di sollievo.
Il vento gelido della notte del 2 gennaio mi tagliava il viso, mentre il traffico notturno di San Francisco non faceva altro che alimentare la forte emicrania che mi accompagnava da ormai due giorni, impedendomi per fino di pensare.
In quel momento i ricordi della serata di Capodanno mi investirono per l'ennesima volta in due giorni.
Quella chioma di voluminosi ricci castani il cui profumo mi aveva invaso le narici e di cui mi ero inebriato per tutta la serata.
I suoi grandi occhi dalle iridi color cioccolato, le ciglia folte che continuavano a battere facendomi impazzire. Quel suo naso all'insù, dal profilo perfettamente dritto, gli zigomi accennati ma occultati da quelle sue adorabili guance leggermente piene e arrossate, che le conferivano un'aria innocente, tutt'altro che accentuata invece dal suo corpo.
Le linee dei suoi seni prosperosi, dei suoi fianchi, delle gambe lunghe e affusolate e infine delle caviglie strette erano rimaste impresse nella mia memoria, nello stesso istante in cui le avevo percorse con gli occhi la prima volta.
Appariva tutt'altro che minuta, ma manteneva una certa eleganza in ogni movimento che compiva, aveva un portamento quasi regale ma aveva pur sempre un carattere umile, che non accentuava quella sua spiccata bellezza.
Ricordavo quei tacchi vertiginosi che la rendevano alta quasi quanto me e quel dannato vestito di velluto nero, lo stesso colore del cielo in quel momento, che mi aveva portato a ricordare quella stupenda donna che avevo avuto il piacere di incontrare e di ammirare per una serata.
La avevo notato fin da quando aveva fatto il suo ingresso nella stanza e non ero riuscito a staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un secondo.
Quando avevo visto che stava per avvicinarsi al bancone e di conseguenza a me, il mio battito cardiaco era aumentato esponenzialmente e allo stesso tempo mi sembrava che si stesse per fermare a ogni passo che accorciava la distanza che ci separava. Nel momento in cui avevo notato che qualcuno stava cercando di attirare la mia attenzione, battendo dei colpi sulla mia spalla, che in quell'istante mi erano parsi solamente dei lievi sussurri, mi ero voltato distrattamente e senza accorgemene avevo rovinato tutto, versandole addosso il contenuto del mio calice.
Mi ero maledetto e avevo maledetto la persona che mi stava chiamando, che scoprii poi essere Chase.
Appena mi voltai notai subito che quell'aderente vestito nero che le fasciava il corpo si era ristretto a causa del liquido che il tessuto aveva ormai già assorbito.
In quel momento pensai che forse non era stato poi un così grave incidente ciò che era successo e che per rivedere lo spettacolo che avevo davanti lo avrei rifatto moltissime altre volte, e non accidentalmente.
Oltre al vestito che metteva in risalto ulteriormente le curve del suo corpo aveva anche un cipiglio rabbioso, che la faceva apparire ancora più infantile.
Sorrisi a quel pensiero. Successivamente avevo raccolto il coraggio che avevo e che non mi accingevo a trovare, le avevo parlato, la avevo aiutata e le avevo chiesto se potessi fare qualcosa per lei.
Mi sembrava quasi che stesse per liquidarmi miseramente, ma quando poi accettò di farsi offrire da bere, ebbi un tuffo al cuore.
La vista di quel suo sorriso così radioso mentre parlava mi fece quasi dubitare di tutto quello che stava avvenendo, come se non fosse reale.
Come se non potesse essere reale.
Quando poi avevamo iniziato a ballare, quando le sue labbra rosse e carnose erano rimaste così vicine alle mie per un tempo che mi era sembrato infinito, avevo dubitato completamente che tutto ciò fosse reale.
Dopo poco però lei aveva iniziato a cedere e barcollare.
Lei era decisamente stanca, così avevo deciso di riportarla a casa.
Quando però lo avevo fatto mi ero sentito per la prima volta solo, come se in quel momento avessi realizzato quanto la mia vita fosse vuota.
Volevo solo che lei ricomparisse, che tornasse da me, volevo solo percepire di nuovo il calore che la sua pelle irradiava a contatto con la mia, volevo solo stringerla tra le mie braccia, per poter realizzare che una donna così perfetta era reale. Volevo tornare a sentire quel sentimento, all'altezza del petto, che avevo provato quando era entrata da quella porta e che in quel momento mi sovrastava, portandomi a non avere controllo su me stesso.

𝐍𝐄𝐖 𝐘𝐄𝐀𝐑'𝐒 𝐃𝐀𝐘 || Drew Starkey Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora