20. Torino (Parte seconda)

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Per un mese e mezzo la situazione trascorse lenta e noiosa, tra il freddo pungente dell'inverno e l'attesa di qualche notizia di Fabrizio.

Le sue lettere erano rade, ma ognuna conteneva sempre parole dolci e rassicuranti, stilate con una calligrafia svolazzante e perfetta, degna di un Conte. Il modo in cui tracciava l'iniziale del suo nome, quando si firmava alla fine, era sinuoso e audace. Quasi mi vergognavo a rispondergli con la mia grafia che rimaneva invece disordinata e imprecisa in qualche punto, a causa anche delle macchie di inchiostro. A mia difesa, in confronto a lui non avevo grandi occasioni per esercitarmi, a parte appuntare qualche pozione nel grimorio, costava troppo la carta. Riuscivo a rispondergli soltanto perché all'interno della sua lettera includeva sempre un foglio bianco. Pensava a tutto.

Verso fine novembre ero stufa di quella situazione e un'idea stava prendendo forma nella mia mente.

Una sera, stavo rimestando il calderone sul fuoco, quando, rapita dal movimento circolatorio della minestra, diedi fiato alla mia idea alla nonna.

«Sai, stavo pensando di andare a trovare Michele, è da tanto che non vedo zia Antonietta e zio Giacomo»

Giovanna smise di rammendare una coperta per fissarmi, «Vuoi andare a Torino? E come?»

Scrollai le spalle, «L'altro ieri ho incontrato al villaggio Maria, la cameriera della Contessina Ada, mi ha detto che per domani le è stato ordinato di raggiungere la padroncina a palazzo a Torino, per questo potrebbero darmi un passaggio che avanza sul carro.»

Lei socchiuse gli occhi in maniera sospettosa, «Non è che pensi di riuscire a incontrare un certo Conte mentre sei lì?»

Mi sentii avvampare, «No, vado per mio cugino, però ammetto che non mi dispiacerebbe avere la fortuna, magari, di incontrarlo per strada.» Sarebbe stato da sciocca cercare di celare le mie speranze.

La nonna scosse la testa, sospirando, «Cara, ti stai andando a infilare in un guaio più grosso di te.»

Sbuffai, «Sono solo una ragazza che vuole andare in città, non penso di fare niente di male.»

La sua espressione si fece mesta, «Il fatto è che il tuo cuore si è preso di un amore che nella realtà non può essere corrisposto, ma le mie sono parole al vento, lo so. Non posso fermarti, posso solo raccomandarti di fare attenzione e di stare al fianco di tuo cugino.»

*

Mentre preparavo una sacca con i ricambi necessari e qualche rimedio essiccato da regalare agli zii, il mio cuore rischiava di sprofondare nel petto. Da una parte era euforico, speranzoso di rivedere Fabrizio, a cui forse sarei riuscita a fare una sorpresa. Dall'altra era preoccupato e ansioso, e se la nonna avesse avuto ragione? Le sue parole continuavano a risuonarmi nell'orecchio come una macabra profezia.

Un brivido mi percorse la schiena, aveva come il sapore di inelluttabile. Mi lasciava un retrogusto in bocca ferroso, come quello del sangue. Altre parole si sovrapposero a quelle delle nonna, avevano un eco antico, ma mi sfuggivano di significato.

Scrollai le spalle per cacciare quella brutta sensazione, dopotutto avrei rivisto Michele, solo per quello dovevo essere felice.

*

Il viaggio trascorse lento e abbastanza scomodo. Dopo un po' di tempo trascorso seduta sulla panca di legno del carretto, delle fitte iniziarono a percorrermi il fondoschiena e le gambe. Silenzio e chiacchiericcio di Maria e di suo marito Roberto, che ci stava accompagnando, si alternavano, insieme allo sbuffare del cavallo e della sua coda che sbatteva quasi a ritmo del rumore degli zoccoli sul pietrisco.

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