My kingdom for a kiss upon his shoulder

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TW: allusioni alla 🗝️ta
nel finale.

Lo scossone improvviso del treno gli faceva perdere l'equilibrio, e per poco non si scontrava con il bellimbusto incravattato in piedi accanto a lui, vile usurpatore dell'ultima maniglia a cui potersi aggrappare.
Ribatteva risentito all'occhiata torva con un'occhiata altrettanto minacciosa, ma la sua attenzione veniva presto rapita da altri occhi, familiari e sconvolgenti al tempo stesso, che per colore e intensità lo trascinavano a fondo di un caffè e che come il caffè sembravano infondere in lui nuova vita, oltre a -capacità da non sottovalutare- annichilire ogni suo istinto omicida.

Simone era davanti a lui, di spalle, ma il suo riflesso lo scrutava con aria interrogativa, la solita ruga degna di ben più meritevoli apprensioni perfettamente visibile al centro della fronte. Manuel lo rassicurava con un cenno del capo, e continuava a guardarlo anche quando l'altro non lo faceva più, già tornato a concentrarsi sul cartellone che elencava le fermate.

Un altro sballottamento lo portava a vacillare. O forse era non avere più quello sguardo su di sé a renderlo instabile.

Spostava il peso sulla gamba destra, e tentava di farsi ancora più piccolo in uno spazio che ad ogni stazione diventava sempre più angusto. Se un fiume di persone scendeva dal vagone, infatti, una marea era quella che lo inondava.

La metropolitana di Londra era affollata. E Manuel era stanco.

Se ne accorgeva dalle spalle ricurve, dalle gambe indolenzite, dalle palpebre pesanti e da quegli stralci di viso che gli restituiva il finestrino.

Aveva seguito ed inseguito Simone per tutto il giorno, tra le scalinate del museo di storia naturale.

Era stato lui a proporglielo, picchiettandogli in testa il depliant che si portava in tasca da due giorni, dopo aver notato come mister "te lo giuro, io m'annoio a morte nei musei, 'na rottura de palle" lo adocchiava ogni volta che rientravano in albergo.

E se qualche mese prima aveva preferito fingere di non accorgersi dell'enorme fregnaccia che gli aveva rifilato, certamente non avrebbe potuto farlo quel pomeriggio, non quando doveva per forza allungare il passo per star dietro a quelle gambe chilometriche che avanzavano tra le opere esposte con lo stesso entusiasmo di un bambino.

Ogni tanto si trovava costretto ad acciuffarlo per il polso, per non perdersi e per non perderlo, ché quel posto era immenso, e lui con il suo inglese maccheronico non poteva di certo permettersi di andare da degli estranei a chiedere "Scusi, per caso un riccioletto é passato di qua? È bello, alto, ed è l'amore della vita mia."

Riusciva ancora a sentire il calore di quel contatto, e il cuore dell'altro battere tra i suoi polpastrelli, ora che le dita non avevano niente a cui appigliarsi.

L'ennesimo, inatteso sobbalzo lo riconduceva al presente, e anche involontariamente più vicino a Simone, il profumo di fiori di acacia tanto buono e tanto intenso da chiedersi se mai avessero fatto del miele dalla sua pelle.

Il richiamo era irresistibile. E Manuel era stanco.

Non si stupiva, quindi, quando d'istinto annullava quell'ultimo passo che li separava e si accostava a lui, né quando le braccia salivano incontrollate a cingergli fiaccamente i fianchi, il mento che s'incastrava in maniera del tutto naturale sulla sua spalla.

Quello che lo stupiva, invece, era il brusco stroncarsi del respiro del più piccolo.

Era sorpreso, Simone? E da cosa? Non se n'era forse accorto anche lui, in quella tiepida notte di marzo, di quanto i loro corpi s'intrecciassero senza fatica alcuna già da sconosciuti?

Quella in cui Manuel è stanco - SIMUELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora