Lettere e Rullini

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Roma, luglio 2040

Quella casa, senza li scorrazzare interperrito di Jacopo, appare vuota - un'anonima abitazione composta da stanze collegate le une alle altre, ma prive di funzionalità: come la vita di Manuel senza l'unica persona importante nella sua vita.

Si guarda attorno, ma non sa bene cosa fare perché, quando arriva lo sconforto, rimane sempre intrappolato sotto di esso: inerme e attanagliato alla precaria situazione che gli si crea in testa che, molto spesso, lo rende un qualunque pedone nell'immensa scacchiera della vita.

Solitamente rivive il passato, con un pizzico di malinconia e altrettanta coscienza che, probabilmente, quella è stata la scelta giusta. Ora le sue giornate sarebbero diverse, quelle di Jacopo pure, però, per giungere a questo punto, avrebbero dovuto rimanere legati quando per nessuno dei due era il momento rinunciando ad uno dei doni più belli della vita.

Allora guarda la piantina di mandarino che, insieme al figlio, coltiva in un vaso di terracotta nel terrazzo: sarà la loro natura però, anche questo, è un po' storto e, ogni tanto, perde qualche piccola foglia. Un tantino si sente anche stupido ad aver dato tutta questa importanza ad un'umile pianticella dai frutti arancioni però Jacopo non aveva voluto sentire ragioni dopo che nonno Dante gli aveva raccontato una favola con protagonista quell'albero: se solo non avesse temuto di sentire una storia a lui già nota, avrebbe chiesto volentieri di potersi unire per sentirla.

Però il compagno di sua madre era astuto, incasellava i momenti come pensieri filosofici, dunque li rielaborava per poi studiarli e dar loro un senso all'interno del contesto di base. Il mandarino era diventato la metafora per dimostrare il tortuoso percorso che l'amore faceva vivere per poi germogliare in uno spettacolo eclatante - Dante c'aveva ricamato sopra, conferendo ad una pianta qualunque il ruolo che, nell'allora terza B, ogni studente poteva ricoprire in quanto pedina all'interno della partita.

«Tutti necessitano più amore, tu e Simone in particolare» questo era quello che il professore gli aveva detto prima che il maggiore si apprestasse ad entrare nella stanza dove il corvino era monitorato da schermi attaccati a macchine. Gli aveva poi dato una busta e chiesto di non aver paura.

Questo era il ricordo che, prima degli altri, arrivava nelle sue cellule nervose, ogni talvolta che decideva di scavare tra i pezzetti che componevano il suo passato come un puzzle.

Roma, Aprile 2022

Dietro a quella porta ospedaliera pareva esserci un portale per un altro mondo, data l'agitazione che Manuel covava nel petto, invece c'era Simone, sopravvissuto per miracolo che, per volere del padre, avrebbe recuperato la lezione di filosofia che si era perso durante la fuga a Glasgow - il diretto interessato era Stuart Mill dunque Manuel teneva tra le mani una pianta di mandarino, anch'essa malandata.

«Avanti» la flebile voce di Simone giunge alle sue orecchie e dessi, giacché non la sente da molto, appare ancora più soave del solito.

Manuel vorrebbe scomparire, evaporare o sprofondare sotto terra, purché non fosse obbligato a guardare quegli occhi scuri, pregni di sofferenza a causa sua. Non avrebbe retto.

Eppure non è la prima volta che rivede Simone dopo l'incidente: precedentemente, però, era sempre entrato con la mani in mano, non si era mai caricato il peso di illustrargli una così importante verità - di mettere ancora a nudo sé stesso, nonostante a parole ostentasse il contrario.

«Professo' non posso» getta a terra la busta, lascia andare indietro le braccia e, con un enorme fardello nel petto, corre via da quel corridoio, privo di coraggio; niente di nuovo insomma, Manuel non era ancora pronto per accettare i bisogni del suo cuore, la paura dominatrice lo schiacciava come una scarpa fa con le formiche, lo annullava e il suo corpo diventava fumo.

Papà in TrappolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora