La piccola Anita, seduta in mezzo al prato verde del giardino dei propri nonni, ride e sfugge alle api primaverili, mentre quella che è ormai la colonna sonora della loro vita riecheggia tra le mura di quella villa fuori Roma.Raccoglie una gracile margherita bianca dal prato incolto e corre veloce verso l'ingresso dell'abitazione. Supera la cucina e raggiunge il nonno seduto sul divano del grande salone.
«Nonno,» urla felice, sedendo sulle gambe dell'anziano. «Guarda cosa ti ho portato.» annuncia, spingendo il fiore in direzione dell'uomo, che lo afferra sorridendo, tra le mani rugose e tremolanti.
«È bellissimo.» gracchia, con voce rauca e un po' spenta. «Va' a prenderne anche uno per nonno Simo, ché a lui i fiori piacciono tanto.»
La bambina sorride felice, fa per scendere dalle sue gambe quando d'un tratto si blocca, voltandosi verso l'anziano. «Vieni a raccoglierli con me?»
L'uomo sorride, mesto. «Finisco di ascoltare la canzone e arrivo.»
La piccola Anita solleva gli occhi al cielo, imbronciata. «Ma tu ascolti sempre questa canzone, nonno! Perché?»
«Perché per me è importante.»
«E perché?» chiede ancora Anita, incuriosita come solo i bambini sanno esserlo, con quei suoi occhi grandi pieni di domande e i ricciolini scuri che ondeggiano ad ogni movimento.
Il nonno solleva di poco le labbra, aggrinzite ormai dalla vecchiaia, verso l'alto; volge di sfuggita lo sguardo verso sinistra osservando Simone che, leggermente zoppicante, cerca di apparecchiare la tavola per il pranzo imminente. Con gli occhi un minimo più lucidi torna ad osservare la nipote, che lo guarda in attesa di una risposta. «Perché è con questa canzone che ho conosciuto tuo nonno.»
Alla piccola Anita brillano gli occhi, con uno scatto cerca di sistemarsi meglio sulle gambe del nonno e porta entrambe le mani ad incrociarsi dietro il suo collo.
«Nonno, ma tu e nonno Simo come vi siete conosciuti?»
63 anni prima
Quando ascoltai quella canzone per la prima volta, fu durante una delle solite sagre popolari del mio quartiere.
Non ritenni una sfortuna l'essere nato in periferia, il bello del vivere ai margini della società era proprio questo: avere la possibilità di scegliere se avvicinarsi alla città, con i suoi ritmi frenetici e incalzanti o scegliere di rimanere fermi, a godersi lo scorrere della vita senza mai abbandonare il passato, crescendo con i valori della fratellanza e dell'amicizia, quelli che nascono sui gradini rotti di un palazzo o tra le corse giocose di quei bambini che corrono dietro un pallone a sognare la finale del mondiale di calcio.
Io ero tra quei bambini.
Amavo il mio quartiere e ogni suo abitante, amavo la mia vita e il modo in cui la vivevo, tutto quello che sono oggi l'ho imparato tra i palazzi ammaccati del rione e le strillate delle anziane signore che, dopo l'ennesimo urlo davanti ad un goal appena segnato, ci rimproverano di essere scostumati e maleducati, senza alcun pensiero per la testa, liberi di essere quello che eravamo: semplici bambini.
Non avevo una vita agiata, tutto quello a cui facevamo affidamento era il lavoro di mamma, quando per pochi spiccioli al mese si spaccava la schiena a pulire le case di quelli che, invece, vivevano in città.
Passavo le mie giornate tra la scuola e i campi di calcio, quelli che non possedevano l'erba verde e morbida ma il terriccio pietroso e cementato; quelli che il più delle volte mi facevano tornare a casa con il ginocchio sbucciato e i gomiti sanguinanti.
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Chitarra vagabonda
Fiksi Penggemar«Nonno, ma tu e nonno Simo come vi siete conosciuti?»