E tra un fallimentare tentativo di imbucarsi in una fabbrica attiva di vetreria e un'arrampicata in cima ad una ciminiera in una zona industriale mezza abbandonata, un'ora seduto a congelare su una panchina a pensare a cosa fare dopo e un altro mezzo pomeriggio passato a vagare per la periferia di Helsinki in cerca di avventure, Aleksis stava iniziando a stancarsi: gli oltre 20 chilometri che aveva percorso tra una cosa e l'altra attorno alla città a piedi nel giro di tutta la mattinata stavano iniziando a pesare, così come anche il freddo pungente e l'umidità che erano improvvisamente calati insieme alla sera e che gli penetravano fin dentro le ossa e nel midollo. Ma quello era ancora qualcosa di relativamente facile da sopportare. Invece quello che tormentava più di tutto il ragazzo era la noia. Già, perché il fine settimana sono due giorni che hanno il magico potere di passare estremamente veloci o al contrario dannatamente lenti, e tutto dipende dall'attitudine con cui vengono affrontati. Aleksis spesso si lamentava di quanto le domeniche fossero noiose, non avendo altro da fare che andare in giro in cerca di avventure quanto più adrenaliniche e pericolose possibili, finendo certe volte per non trovarne. Ma non poteva nascondere che negli altri giorni si lamentava lo stesso perché doveva venire a scuola e non aveva molto tempo da dedicare alle sue scorribande sfrenate in giro per la città.
Trascinando i piedi per terra, stava già quasi per dirigersi verso casa a cenare, quando una delle sue tipiche idee dell'ultimo momento gli balenò in mente, salvandolo da una serata che molto probabilmente avrebbe passato a mangiare con sua madre discutendo del nulla più totale e a guardare le notizie al telegiornale steso sul divano sperando di morire ancora prima che arrivasse l'ora di andare a dormire. No, per fortuna anche quel giorno si sarebbe schivato quella noiosissima routine, e tutto con un banale messaggio: "Ma', oggi sto a mangiare da un mio amico, non ti preoccupare se torno tardi". Tranquillizzata sua madre con una scusa che si sarebbe bevuto senza problemi, la stanchezza pareva essersi vaporizzata nel nulla senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio, proprio come se non fosse mai nemmeno esistita. Non aveva proprio alcuna voglia di coinvolgere qualcuno dei suoi amici, non quella volta almeno: con quei pochi euro che gli erano rimasti in tasca si sarebbe comunque potuto permettere una modesta cenetta improvvisata al McDonald's. E nemmeno a farlo apposta, ce n'era proprio uno al termine della via sulla destra.
A quell'ora non era molto pieno, dato che era già tardo pomeriggio ma non ancora propriamente ora di cena, quindi nel giro di pochi minuti il ragazzo era già di nuovo per strada con il suo panino nello zaino e il portafoglio svuotato definitivamente. A passo spedito per non sprecare la poca luce del sole, che lentamente stava già iniziando a tramontare tra le sagome dei palazzi del quartiere, e pregustandosi con un sorriso tipico di chi sa che sta per vivere l'esperienza della sua vita il suo modesto pasto, abbandonò il centro città per dirigersi verso una zona più periferica che lui conosceva meglio delle sue tasche. Aveva in mente un modo molto romantico e originale per passare la serata in compagnia solo di sé stesso e dei suoi pensieri. Perché di tanto in tanto tutti hanno bisogno di passare un po' di tempo in solitudine , a rimuginare sul senso di tutto quello che accade intorno a loro e a capire se la direzione che sta prendendo la propria vita è veramente quella giusta.
Dopo un quarto d'ora abbondante di camminata , accompagnata soltanto da una playlist phonk sparata nelle cuffie al massimo del volume tanto che pure la gente attorno a lui poteva chiaramente distinguere ogni singola nota di sintetizzatore, Aleksis era arrivato alla sua tanto bramata destinazione. O meglio dire quasi. Davanti a lui si ergeva un condominio di una dozzina di piani circa, di un monotono e deprimente colore grigio. In mezzo alla sua sagoma ormai quasi completamente immersa nella penombra della sera si stagliava l'ingresso, ovvero tre gradini di cemento screpolato che portavano ad una pesante porta in metallo e vetro. Ma Aleksis non era lì per quello. Girando tre lati dell'edificio fino ad arrivare sul retro, il ragazzo trovò le scale antincendio. Anch'esse, come anche il resto del condominio, erano vecchie e in piena balia della cruenta violenza delle intemperie, che, soprattutto nei mesi invernali, davano parecchio filo da torcere all'intera struttura. E in più, non erano per nulla sicure: era solo una lunga scala a pioli completamente arrugginita e che non offriva alcun tipo di protezione, e che conduceva in quella maniera fino al tetto. Erano strette e gelide, esposte al pungente vento serale che stava iniziando a levarsi.
Ma ad Aleksis, tutto quello non importava. Per lui erano solo dettagli irrilevanti e che tutt'al più rendevano la scalata verso la cima ancora più avventurosa. In fondo, aveva fatto quelle scale non poche volte nel passato, ed era abituato alle misere condizioni in cui si trovavano. E in più, sapeva per certo che tutto quel rischio e quella fatica sarebbero stati ampiamente ricompensati una volta arrivato in cima.
Iniziò la scalata: zaino in spalla, maniche della felpa arrotolate fin sopra ai gomiti, e auricolari in tasca per non avere alcun tipo di distrazione non strettamente necessaria. Già al terzo piolo, poteva sentire tutta la scala tremare e scricchiolare, lamentandosi per la troppa fatica che le toccava sopportare. "Una di queste volte capiterà proprio che cede e io cado e muoio, hahah" scherzava tra sé e sé Aleksis, mentre il suolo incominciava ad allontanarsi sempre di più da lui. Ma ad ogni gradino che saliva, poteva sentire tutta la scala oscillare, facendo risuonare ogni singolo chilo di metallo usato per costruirla contro ai malmessi muri di mattone e cemento del condominio. E ad ogni minuto che restava aggrappato a quei pioli, le sue mani si raffreddavano sempre di più, si irrigidivano e minacciavano di rimanere paralizzate. Già, quel percorso era tanto difficile quanto pericoloso, e poteva tranquillamente risultare in un incidente fatale. Questo, Aleksis e i suoi amici se lo ripetevano sempre, ma né all primo, né a questi ultimi era mai dispiaciuto rischiare, e anzi lo facevano ben volentieri se in cima ad attenderli c'era quello per cui il ragazzo quella sera aveva scelto di venire a mangiare proprio in quel posto.
Passo dopo passo, piolo dopo piolo, la sagoma del ragazzo ormai quasi completamente immersa nel buio stava lentamente avanzando verso l'alto lungo la parete malmessa del condominio. Più saliva, e più il cielo si scuriva, accerchiandolo nel buio sempre meno penetrabile. Ma con ogni metro che conquistava, si sentiva sempre più a suo agio in quella posizione: le sue gambe e le sue braccia si abituavano sempre più ai movimenti che dovevano compiere, per lui stava come se iniziando a diventare naturale. E la luce, che lentamente continuava a venir meno, quasi non gli serviva nemmeno più.
La cima era sempre più vicina, quasi come se fosse stata la luce in fondo al tunnel, illuminando di serenità il volto del ragazzo. Dai, ce l'aveva quasi fatta, gli mancavano solo altri 3 gradini. Infine, con la fronte imperlata di sudore ma le mani completamente blu e gelide come due cubetti di ghiaccio, si ritrovò in piedi sul bordo del tetto. Non se ne accorse nemmeno di come tutta l'arrampicata era finita, a causa della vista mozzafiato che si estese davanti ai suoi occhi non appena la sua testa fece capolino da sotto il bordo di cemento che circondava tutto il tetto. La città, dove il giorno si era finalmente deciso a ritirarsi e a lasciar spazio alla notte, era immersa in un mare di luci che la trasformavano in un posto completamente diverso da quello che era anche fino a solo mezz'ora prima. Tutta Helsinki si estendeva davanti a lui: avrebbe potuto aprire le braccia e gridare, con quella sensazione del vento gelido che gli soffiava contro il petto, sensazione che adorava e di cui era quasi arrivato a farci una religione. L'aria che soffiava sulla sua faccia, scompigliandogli i suoi già disordinati capelli color dell'oro, la considerava la sua compagna di viaggio. Non si sarebbe stancato mai di lei. Con un gran sospiro di sollievo e di pace, Aleksis si buttò a terra, chiuse gli occhi, e si mise a ridere. Dio, se solo momenti come quelli potessero durare per sempre... Perché in fondo, lui avrebbe potuto salire fino all'ultimo piano usando le scale interne del condominio, e poi da lì usare una delle finestre del corridoio per salire sul tetto dal cornicione: sarebbe stato molto più facile, veloce e sicuro. Ma per qualche arcana ragione, il ragazzo l'avrebbe odiato. Mettere in pericolo la propria vita era divertente, o almeno così Aleksis si diceva: quel brivido che provava nel farlo era come il gioco d'azzardo, creava dipendenza e lo rendeva una delle sue marionette. Ma come tutti sanno, al termine di ogni cosa viene un premio, una ricompensa, ed era proprio quello ciò per cui il diciassettenne continuava con quelle sue pericolose avventure...
Rialzandosi, tirò fuori dallo zaino la sua cena e, sotto la costante osservazione delle prime stelle che iniziavano già a punzecchiare il cielo quà e là, si mise a mangiare con la stessa energia di uno a digiuno da tre giorni.
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Le fantomatiche esplorazioni di un pazzo scatenato
AvventuraQuesta è una specie di "saga" di racconti che sto scrivendo giusto per passare il tempo, senza preoccuparmi di creare una trama estremamente complessa né tantomeno di inserire un messaggio particolare. Aleksis è un personaggio che ho creato con l'un...