Prologo

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Primo febbraio, 2021.

"È assurdo dover lavorare il lunedì. Lo è ancora di più lavorare di lunedì, in pieno inverno, nel giorno del tuo compleanno" dissi a me stesso mentre il rumore fastidioso della sveglia iniziava a cessare. Sbuffando e maledicendo la vita più che potevo, mi alzai dal letto e andai in cucina per farmi un caffè. Stropicciai gli occhi; quando li riaprii essi caddero sul l'orologio della cucina.
6:58
Merda, ero in ritardo.
Così lasciai perdere il caffè e mi diressi subito sotto la doccia e una volta finito in camera mia, dove mi vestii con la solita camicia bianca e i jeans neri.
Quasi corsi per arrivare alla macchina, la quale si trovava parcheggiata fuori dalla mia piccola villa nella periferia di Londra.
La tratta non sarebbe stata lunga: 25 minuti e sarei arrivato a lavoro.
Accesi la radio e rimasi veramente stupito quando parti 'demons' degli Imagine Dragons. Buona musica di prima mattina: almeno c'era qualcosa di positivo in questa giornata. Lavoravo in una libreria, una di quelle enormi in cui tra gli scaffali ti potevi perdere. Certo, non era chissà che, però non era neanche così male come credevo sarebbe stato all'inizio della mia carriera qui.
Ormai lavoravo in quella libreria da tre anni, la monotonia era all'ordine del giorno.
Il mio compito era soprattutto quello di sistemare i libri negli scaffali, ma spesso e volentieri mi ritrovavo a fare cassa e nelle pause cercavo sempre di rimorchiare qualche ragazza, ma i miei tentativi fallivano sempre miseramente. Arrivato nel grande parcheggio fuori la libreria, uscì dalla macchina ed entrai: la serranda del negozio era abbassata ancora per metà, così dovetti abbassarmi in po prima di entrare.
"Auguri Styles!" urlarono i miei colleghi, ed io non potrò fare a meno di sorridere mentre battevano le mani in mi onore.
"È così sono ventisette, dio amico, il prossimo mese ti daranno la pensione!" Scherzò louis, venendomi incontro per darmi una pacca sulla spalla.
"Molto spiritoso, davvero. Ma ora ci conviene iniziare a lavorare" dissi guardando i miei colleghi.
Tra tutti, Christina, la mia capa, annui. "Harry poco fa sono arrivati dei pacchi, sicuramente si tratta di un nuovo libro. Ho preparato un po' di spazio sia in vetrina che in negozio, in modo da poter dedicare un angolo a questa nuova creazione. I pacchi li ho fatti lasciare in magazzino, li trovi lì"
"Ordini capo", le sorrisi e iniziai ad andare verso il magazzino.
Una volta visti i pacchi, tirai fuori il mio taglierino dalla tasca e iniziai ad aprirli.
Tirai fuori un libro blu notte in cui veniva rappresentata una casetta in mezzo ad un grande giardino, un giardino che conoscevo fin troppo bene.
Iniziò a mancarmi l'aria, tutto ruotava intorno a me quanto lessi il nome dell'autore.
Corsi fuori dall'edificio, non ascoltandolo le parole dei miei colleghi e al volo presi il telefono per comporre un numero.
"Harry?"
"Niall, ce l'ha fatta.. Lei ce l'ha fatta" dissi con un filo di voce e poi riattaccai.

Quel giorno uscii prima dal lavoro.

Era stata una giornata parecchio strana: una volta tornato dentro la libreria, sentivo di non essere più lo stesso.

Cioè no, ero sempre io, Harry.. Ma qualcosa non andava.

"Sto bene, scusate l'interruzione", dissi a bassa voce, i miei colleghi si limitarono ad annuire e per tutto il giorno non mi rivolsero parola. Per quanto potesse sembrare strano, ne ero davvero grato. Parlare avrebbe soltanto accresciuto questo dolore dentro di me.

Un libro. Un fottutissimo libro.

Ci era riuscita. In parte, anzi, buona parte di me era contenta del fatto che avesse realizzato uno dei suoi più grandi sogni e niente, possa avere tutto il successo che merita.

Ma l'altra parte di me.. Oh beh, quella era tutta un'altra storia.

Ero incazzato nero, non potevo credere al fatto che di tutto ciò di cui la sua fantasia e la sua mente avrebbero potuto creare, lei avesse scelto la sua storia, la sua vita. Ma come cazzo le era venuto in mente? Non era una vita facile la sua, non lo era mai stata.

È stata un susseguirsi di gioie, dolori, rapporti iniziati e drammaticamente crollati davanti a qualche parola di troppo. Ma a quanto pare, nonostante i cocci rotti, era riuscita a rimettere insieme quel bellissimo vaso e a portare dentro di sé solo i fiori più belli. E quel libro, era la prova evidente che il suo dolore fosse reale e che l'avrebbe uccisa ogni giorno, per sempre.

E poi c'ero ovviamente io... Io. Quello stronzo che ha potuto solo che rovinarla.

Mi sentivo quasi parte integrante di quel romanzo, dopotutto, quel dolore non se l'era procurata da sola, no.

C'era Harry che riusciva ad alimentarlo sempre di più.

Quando tornai a casa provai a chiamare ancora Niall, magari aveva saputo qualcosa.

Era sua sorella, acquisita. Sua madre era sparita misteriosamente e suo padre conobbe Maura, la mamma di Niall in qualche festa in Irlanda e dopo due anni decisero di sposarsi.

Ma lei aveva sempre avuto un carattere forte e deciso. Non le andava bene una cosa? Scappava.

E così fece.

Sono passati esattamente quattro anni.

Quattro fottutissimi e lunghissimi anni senza di lei, qui, con me.

Il telefono di Niall squillava a vuoto e senza neanche accorgermene, avevo passato tutta la notte a leggere il suo romanzo, sperando di trovare tra le righe, quel dolore che le avevo afflitto, quasi come se sperassi che quelle stesse parole avessero avuto lo stesso effetto distruttivo su di me.

Ma ovviamente non fu così, che idiota che sono stato anche solo a pensare una cosa del genere.

Quando chiusi il libro, me lo portai sotto le narici. Stupido, lo so.

Ma nella mia mente malata sparavo che lei avesse toccato quel libro e avesse lasciato impresso il suo inconfondibile odore di muschio bianco.

Ma non fu così.

No.

L'odore era forte, ma lo sprigionava la carta.

Lei non c'era più.. Non era più qui.

E credo che proprio in quel pensiero la mia mente iniziò a crollare.

Flashback di lei che scriveva sul mio tavolo in cucina, sul divano, sul letto, sul tappeto davanti al camino. In braccio a me, rannicchiata su se stessa.

Le sue guance rosse al solo pensiero che potessi leggere qualcosa di suo.

I fogli che diventavano indomabili durante le sere d'estate poiché il vento li innalzava con la sua forza presente, e poi li faceva ricadere giù quando se ne andava.

Lei era come il vento, regolava le mie emozioni.

La sua immagine iniziava a diventare troppo nitida davanti a me, così presi un bicchiere d'acqua. Mi avrebbe fatto solo che del bene.

Ma la sua immagine diventò sempre più reale, viva, davanti a me.

Un rumore di vetro che si infrange sul muro dove voleva esserci lei, o meglio, la sua immagine prodotta dalla mia mente.

Un suono assordante di vetri rotti in antitesi con il silenzio delle mie lacrime.

Come promesso, eccomi qui con un'altra storia, scritta dalla 'me' di oggi. Ci vediamo al prossimo aggiornamento, fatemi sapere come vi sembra.
Claudia, x.

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