6||it's dangerous down there

4.3K 342 153
                                    

"Dangerous"

Quando la seduta finì, Amber si sentiva stranita, come non si sentiva da anni. Provava qualche emozione, quindi stava succedendo qualcosa.

Da quando Elise era morta la bionda non aveva più provato molte emozioni, ma non perché si sforzasse di non provarle per farsi compatire, no.

Non provava più nulla perché sostanzialmente tutte le sue emozioni legate ad Elise.
Ad ogni passo corrispondeva un pensiero diverso.

Chi era quel ragazzo? Perché si comportava così? Cosa intendeva dire quando l'ha ripresa?

Troppe domande senza risposta, lei voleva, doveva sapere qualcosa di più.

Era così distratta da non essersi accorta di aver sbattuto contro un ragazzo, ma non era come gli altri.
Indossava una t-shirt blu con sopra una felpa aperta con una scritta bianca stampata fra i lati dell'indumento, separata dalla cerniera. Portava degli skinny neri e delle vans. Tuttavia aveva un'aria da bravo ragazzo.

Si portò una mani alla fronte, ma appena vide Amber seduta di fronte a lui intenta a massaggiarsi la testa non esitò a scusarsi e ad aiutarla a rialzarsi.

-Veramente, scusami, non ti avevo vista-
-N-no, no, sta tranquillo, capita- sul viso della bionda si fece largo un piccolo sorriso, che fece sorridere anche il ragazzo, il quale le protese la mano.
-Sono Gabriele- lei la strinse.
-Amber-
-Posso almeno riaccompagnarti davanti alla tua camera?- le chiese lui con occhi di speranza.
-Ma... Seriamente... Non ce ne è bisogno-
-Vorrei solo farmi perdonare- e si infilò le mani in tasca, tirando leggermente la felpa.
-Allora come vuoi-

I primi secondi furono di totale silenzio per i due, ma fu sorprendentemente Amber ad iniziare una conversazione.

-Tu come mai sei qui?- le chiese lei piena di imbarazzo. Non le interessava veramente ma quel silenzio la stava mettendo in soggezione.
-Sono il figlio di un carabiniere, lavora al centro di controllo della torretta a destra e dato che non volevo restare da solo a casa con mia madre l'ho seguito.- rispose lui con un'alzata di spalle -te invece?-
-Ho quasi ucciso un assassino- fece lei tentando di apparire menefreghista al riguardo.
-Ma se era un assassino non ha senso che tu stia qui- puntualizzò lui.
-È una lunga storia- sospirò lei -magari un'altra volta te lo racconto. Scusami ma sono veramente stanca- ed era vero.
-Oh, capisco...- Amber lo guardò di sfuggita.

Non pensava che ci fosse rimasto male, forse neanche a lui glie ne importava molto. Come biasimarlo?

-Senti...- ricominciò Amber, prendendo a giochicchiare con una ciocca dei suoi lunghi capelli.
Le scale le appesantivano il respiro, ma cercò di far filare lo stesso la domanda.
-Tu ne sai qualcosa a proposito di un ragazzo alto, magro, moro...- lui in primis sembrò non capire.
-Ha un'aria un po' trasandata, è sempre scortato da due poliziotti...- continuò lei e a lui gli si illuminarono gli occhi.
-Forse intendi il ragazzo della 106.- sibilò lui scostando una ciocca dei suoi capelli neri che gli erano andati ad ostruire la visuale.
-"Il ragazzo della 106"? Potresti essere più specifico?- le chiese gentilmente lei.

Lui sospirò mentre si avviavano verso il corridoi della porta di Amber.

-Non so io suo nome, ma nessuno che non sia la polizia lo sa. A dati concreti credo abbia un nome all'anagrafe ma non lo so. Sta di fatto che è un'assassino. Ha ucciso due ragazze accoltellandole. Prima si fingeva loro amico, le faceva credere di potersi confidare e quando le portava a casa le uccideva. Ma il modo è quello che mi spaventa di più- si fermarono davanti alla porta della bionda.
-Segue una logica tutta sua, come ogni psicopatico, credo. Non so quale sia ma è una. Mia convinzione. In ogni caso- si riscosse -passa il coltello su tutte le gambe, le braccia, ma non preme molto, tanto da lasciare l'allusione del dolore.
Poi le passa sul collo e là preme con un po' più di forza. Arriva al cuore e trafigge- conclude lui incrociando le braccia.

Amber si rese conto in quel momento di non stare più respirando e mandò giù un groppo di saliva.

-Tu sai queste cose perché tua padre ha partecipato alle indagini sulla morte delle due ragazze?-
-Già. Tuttavia mi interessò molto dei suoi casi, ma questo è quello che mi ha colpito di più.- sorrise sardonico lui fissandosi le scarpe.

Amber sorrise.

In effetti siamo tutti un po' matti questo mondo, la normalità non esiste.
Ognuno ha i propri difetti, le proprie virtù, le proprie fissazioni, i propri movimenti.
È inutile tentare di assomigliare alla massa perché si finirebbe nel ridicolo.
Se una ragazza robusta indossasse dei vestiti aderenti solo perché la ragazza più popolare, uno stecchetto anoressico, le indossa, si renderebbe ridicola davanti a tutti.
E al posto di sentirsi meglio con se stessa si sentirebbe ancora più tagliata fuori.

Forse è per questo che le persone più robustelle sono le più simpatiche, a volte.
Perché escono fuori dagli schemi, frequentano quel negozio che vende cose adatte a lei e che le stanno bene.
Si sente di aver aggirato il problema, e si sente forte.

Gabriele si girò di scatto sentendo un rumore da una parte indefinita del corridoio lunghissimo.

-Devo andare. In realtà non dovrei stare qua.- e si girò verso di Amber, sorridendole.
-Non voglio farti finire nei guai. Grazie mille per avermi accompagnata, non ce ne era bisogno. Ora vai- gli diede una leggera spintarella alla schiena e lui, ridacchiando la salutò con un cenno della mano, avviandosi a passo spedito.

La bionda rientrò in camera emettendo un profondo respiro.

Si sdraiò sul letto nella vana speranza di riuscire a capire qualcosa dei pensieri della su testa riguardanti quel ragazzo, ma non ci riuscì. Anzi. Più ci pensava e più nella sua testa avvenivano esplosioni di affermazioni e domande. Più domande che affermazioni, ma dettagli.

In realtà doveva starci lontana e questo lo sapeva bene, ma era come se provasse una certa attrazione verso quell'aura di mistero che aleggiava attorno al ragazzo.

"Un'attrazione che si può rivelare fatale" riflettè lei.
In realtà cosa aveva da perdere? La vita? Lei era morta con sua sorella.

Era un pensiero persistente anche il fatto che l'abbia ripresa a mordicchiarsi il labbro, quasi lo disturbasse.
Ma poi era la prima volta che lo vedeva, perché si era focalizzato su di lei?

Quelle domande parevano essere la sua protezione, perché non era neanche sicura di voler conoscere la realtà dei fatti.
Forse erano la sua barca, si, una sorta di barca alla quale era aggrappata.
La barca che navigava su un mare di pensieri che credeva essere capace di solcare solo lei.

La barca di tutti ma il mare di nessuno.

Demons  ||Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora