Prologo - Il primo sogno

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Era una notte nuvolosa e oscura, senza luna né stelle. La città, però, sembrava brillare più del solito, quasi come se volesse sopperire all'assenza degli astri. Ogni luce, lampione, ogni singola lampadina sembrava cercare con ogni sua forza di imitare un cielo al quale ormai sempre meno persone alzavano lo sguardo.

"Ci siamo già, all'inferno" gli aveva detto un giorno qualcuno. Sì, ma di notte era diverso. Di notte poteva ancora concedersi almeno qualche lusso. Era come un limbo sospeso tra "ieri" e "domani", due facce di una medaglia con soltanto rovesci... ma in quel limbo, in quella sospensione, poteva almeno cercare una certa serenità.

Il silenzio, in città, non era mai esistito. C'era sempre quel perpetuo rumore di fondo, quel brusio instancabile che di notte, però, sembrava almeno tirare un po' il fiato. Amava immergersi in quel brusio, seduto su una vecchia sedia che entrava per miracolo nel suo minuscolo balcone, e osservare tutto quel formicolare. Era uno dei pochi privilegi del suo monolocale al quinto piano: quello di poter osservare le cose dall'alto. A volte, con un bicchiere di vino in una mano; ogni volta, con nulla più che una rumorosa assenza nell'altra.

C'erano ancora dei lussi da potersi concedere, nella notte. Il più ovvio di tutti era quello di poter dormire, per almeno qualche ora, e poter sognare un mondo in cui le cose erano andate diversamente e continuavano a andare diversamente. Non sempre succedeva, ma a volte sì... e quando accadeva, ciò riusciva lo stesso a riscattare ogni amarezza. "Preferisco la possibilità di te che la realtà di tutto il resto", le aveva detto una volta.

Ma prima di provare a addormentarsi c'era questa sorta di rito. Restava per lunghi minuti sul suo balcone, osservando con lo sguardo perso nel vuoto la città che brulicava stancamente ma in modo brillante durante le ultime ore del giorno. Possibile che, in tutto quel movimento, esistesse tanta solitudine? Possibile che fossero arrivati ad essere così tanti, al mondo, solo per essere tanti piccoli atomi, destinati a non incontrarsi a meno di non scatenare disastri? Per quale motivo, poi? Il pensiero diventava ancora peggiore se allargava lo sguardo e considerava non solo la città, ma l'intero cosmo.

Quella notte si sentiva un po' più stanco e vuoto del normale. "Eppure il cielo è lo stesso sopra entrambi", pensò. Ma poi, come all'improvviso... decise di parlare. Forse voleva soltanto sentire che effetto gli avrebbe fatto sentire di nuovo la sua stessa voce. O forse voleva soltanto illudersi come si deve. Si alzò in piedi e appoggiò i gomiti alla ringhiera del balcone. Aveva gli occhi lucidi, come al solito, e la sua voce tremò fin dalle prime parole.

"Non posso chiederti di tornare com'ero prima. Non è possibile, e... anche se lo fosse... non te lo chiederei. Questo involucro che sono diventato... è tutto ciò che mi resta, tutto il ricordo che ho, e non voglio perdere anche questo. So che finché sarò vivo non lo perderò. Ma sono così egoista se mi azzardo a sognare di poterlo riempire ancora, un giorno, questo involucro?"

Abbassò lo sguardo e respirò profondamente. Restò senza parlare per qualche istante interminabile, strizzando gli occhi in un disperato tentativo di farsi forza prima di continuare. Ma doveva tenere a bada la rabbia e la frustrazione. Doveva essere gentile con se stesso.

"Vorrei... vorrei scrivere una storia nuova. Su una persona, una persona come me, una persona che vive e che... cerca... anche se ormai non sa più che cosa cerca. Sa soltanto che c'è un vuoto, nella sua esistenza. E forse, quel vuoto viene proprio da dentro di lui. Ma vorrei che... almeno in questa storia, vorrei che questa persona trovasse ciò che cerca e che ha sempre cercato. E quando questo accadrà, tutto acquisterà almeno un senso, e le persone che ama... saranno finalmente felici."

Una lacrima gli rigò il viso. Era più di quanto potesse chiedere a se stesso. Avrebbe tanto voluto essere capace di piangere, ma era sempre stato particolarmente bravo soltanto nel tenersi dentro certe emozioni. Finché non lo avevano trascinato in un abisso.

"Vorrei solo una storia... con un lieto fine. Almeno per qualcuno. O, se proprio non è possibile... mi accontenterei di un finale. Un... finale degno."

Tornò a puntare i suoi occhi verso le luci della città, ma il suo sguardo in realtà si perdeva lontano, svanendo in un orizzonte troppo lontano per essere afferrato. Lui stesso, ormai, era lontano nei confronti di se stesso. Restò immobile per qualche secondo, poi scosse la testa e sorrise con amarezza. Pensò di essere soltanto uno stupido, il relitto di un sogno ormai affondato. Rientrò nel suo appartamento. Il tempo di parlare, se mai ce n'era stato davvero uno, era finito, pronto a lasciare spazio a quello di un sonno profondo e... senza sogni.















"Wer, wenn ich schriee, hörte mich denn aus der Engel

Ordnungen? und gesetzt selbst, es nähme

einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem

stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts

als des Schrecklichen Anfang, den wir noch grade ertragen,

und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht,

uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich. [...]"



"Chi, s'io gridassi, mi udrebbe mai dalle sfere

degli angeli? E se pure d'un tratto

uno mi stringesse al suo cuore: perirei della sua

più forte esistenza. Poiché del terribile il bello

non è che il principio, che ancora noi sopportiamo,

e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna

di annientarci. Ogni angelo è tremendo. [...]"


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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 22, 2023 ⏰

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