Come mi preferisci?

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Due spalle possenti.

Due spalle possenti, erano tutto ciò che i miei occhi vedevano.

Il fisico statuario ed il volto angelico, erano in grado di conferirgli una bellezza demoniaca.

Una bellezza particolare, dura. Lo sguardo non emanava calore, no. Il vuoto ed il segno di una grande ferita, li rendevano cupi, quasi opachi.

Il signor Evans, non si era limitato a concedermi un servizio fotografico di ritrattistica con un semplice modello; no. Il modello, per oggi, era lui. In piedi difronte ad un letto con le lenzuola candide, ancora intento a togliersi la camicia, il signor Evans, non mi degnava di uno sguardo.

"Come mi preferisci?" domandò l'uomo una volta giratosi nella mia direzione, con indosso solo un paio di pantaloni formali neri dalla quale, nonostante la cintura, si intravedeva leggermente l'elastico dei boxer. 

"Come?" chiesi non capendo il nesso al contesto nella quale ci trovavamo. "Che posa dovrei adottare per il servizio?" domandò calcando bene.

"Ah, si, scusi. Allora beh, prima di tutto si sdrai nel letto" - "Per la durata di questo servizio le concedo la libertà di darmi del 'tu' spero che questo sia reciproco" affermò mentre si sdraiava sotto le coperte, facendo tendere i muscoli dell'addome.

"Si certo... Efrem" risposi esitante. "Sposta il braccio destro sotto il cuscino e girati sul fianco" asserì.

"Sai, potresti anche spostarmi tu; invece di ordinarmi solo" scocciata mi avvicinai all'enorme uomo che, anche da sdraiato, mi intimoriva. Cautamente, mi ci avvicinai. Il pavimento di parquet scricchiolò ad ogni passo. Presi il suo avambraccio destro tra le mani, e lo sistemai meglio sotto il suo collo. Mi spostai per flettere la gamba destra del Signor. Evans; raddrizzai, quindi, la gamba destra, mentre quella sinistra gliela feci piegare poggiando il piede di fianco al ginocchio. Dalla sedia in ferro battuto, presi il candido piumone e lo cercai di incastrare tra le gambe di Efrem. Nell'infilare un lembo di piumone tra le gambe dell'uomo, la mia mano toccò, accidentalmente, la fine dei suoi boxer. Arrossì violentemente e, di sottecchi, diedi un'occhiata all'uomo che scoprì guardarmi con un sorrisino sghembo stampato in faccia.

Con le gote ancora rosse, mi avvicinai al tavolo nero, sulla quale erano stati posati vari oggetti, selezionati da Efrem in persona, che avrei potuto utilizzare per questi scatti. Avevo a disposizione vari libri all'apparenza antichi, delle polveri di colori diversi disposti in varie boccette, una macchina per i tatuaggi vintage in ottone, uno strano orologio da taschino, un intero mazzo di carte francesi -quelle da poker per intenderci- placcate oro, due microfoni a nastro; uno nero ed uno, in quello che intuii fosse, oro massiccio ed infine una cartina , come tutto il resto, vintage.

Nonostante tutto questo; ciò che maggiormente mi colpii, fu l'esorbitante quantità di fotocamere vintage. Rolleiflex wide, Zorki 4k, Plaroid 400, Brownie, Olympus 35, e così via. Tutte macchine fotografiche storiche, imponenti, pretenziose oserei dire e proprio per questo non al caso mio. Il mio sguardo si spostò, dal tavolo pieno di meraviglie di fronte a me, alla scrivania sulla quale notai una piccola polaroid nera lucida; mi sorpresi di aver notato solo ora una chicca del genere.

Come incantata, i miei piedi si mossero autonomamente verso quella Polaroid; almeno fino a quando una voce roca non mi bloccò.

"Non ne hai abbastanza di quelle?" domandò Efrem indicando con la testa le varie macchine fotografiche sul tavolo.

"Si, si..." risposi distrattamente continuando il mio percorso verso la polaroid che sembrava invocarmi a gran voce. Dopo qualche passo la raggiunsi e, con mani tremanti dall'emozioni, la presi in mano.

Le Polaroid, soprattutto queste 'Model 1000' sono delle fotocamere iconiche, viste in film e descritte in libri; le macchine fotografiche per antonomasia, direi. Ma, nonostante questo, trovarsele davanti non è particolarmente difficile; il costo è accessibile e il suo design non è mai passato di moda.

Ma per me, per me, queste sono ricordi, sogni, sorrisi, sono un qualcosa di spettacolare; queste fotocamere segnano l'inizio di tutto, l'inizio della mia storia.

Con ancora la Polaroid tra le mani, tornai dall'uomo, poggia quell'unico gioiello vicino alle altre fotocamere e tornai a scegliere qualcosa per posare. Osservai nuovamente tutto, immaginai i vari scenari che mi si sarebbero potuti parare davanti e, alla fine, optai per le carte da poker. Estrassi qualche carta dal pacchetto e lo posizionai sul petto di Efrem con differenti angolazioni, mentre quest'ultimo non mi staccava gli occhi di dosso. Completai posandone alcune sul piumone al suo fianco e, una volta accertata che il tutto funzionasse correttamente, presi la Polaroid e cercai l'angolazione migliore. Dopo vari tentativi ancora niente; la particolarità di queste fotocamere era il colore arancino che ricopriva l'intera fotografia e che, quindi, rendeva più complicata la ricerca della luce perfetta. Decisi di spegnere i flash e utilizzare solo la luce naturale che trapassava dalla grande parete in vetro. 

2 scatti.

Me ne rimanevano due. Mi concentrai e clic.

In poco tempo stringevo tra le mani la foto. L'osservai per qualche attimo di troppo, infatti Efrem si alzò dal latto per raggiungermi e mettersi dietro di me per osservare ciò che ero stata in grado di creare. In un attimo, sul volto dell'uomo apparì un'espressione forse ancora più stupita della mia. Si riscosse tornando alla sua tipa faccia imperscrutabile sperando non avessi notato il repentino cambio di espressione, e, dopo essersi rivestito, si sedette sulla sedia girevole dietro la scrivania sulla quale poggiò i gomiti. Lo seguii a ruota e mi sedetti sulla poltrona dove avevo abbandonato la mia macchina fotografica e la borsa.

"Bene, penso che la sua presenza qui potrebbe risultare rilevante per l'azienda. Ha saputo dimostrare una spiccata conoscenza delle misure e dello stile, riuscendo a completare uno scatto a dir poco affascinante bilanciando bene il gioco di ombre e luci con solo l'uso di luce naturale" a quelle parole, il mio cuore fece una doppia capriola all'indietro con tanto di calcio rotante; ma, quando lo sentì proseguire pensai ci sarebbe stato qualche intoppo che mi avrebbe mandata a casa a mani vuote.

"Lei, nonostante la vasta gamma di macchine fotografiche di alto livello messe a disposizione, dopo una rapida occhiata, si è catapultata su un'grande classico: una Polaroid. Come mai questa scelta?" mi domandò curioso, inarcando leggermente il folto sopracciglio destro.

"Questo tipo di macchine mi ha sempre affascinato;  la colorazione, la trama e l'inconfondibile design mi riportano indietro di anni. Non mi ci è voluto molto per capire che quella sarebbe stata la mia macchina del cuore" questa mia risposta sembrò sorprenderlo infatti, con un sorrisino sul volto rispose: "Sai, anche per me queste macchine fotografiche hanno un significato tutto loro. Le ho sempre reputate simili alle donne: semplici da maneggiare, ma complicate da gestire, belle esteticamente, ma estremamente contorte all'interno. Non so se comprendi"

"Sa, secondo me non è affatto così; io le trovo simili ai cactus; delicati, possono essere il soggetto se posizionati correttamente, o il punto di vista, ma questo lo capisce solo chi è in grado di andare oltre la realtà. Solo chi è in grado di rompere la barriera, di andare oltre la bellezza rude fino ad arrivare al cuore, un cuore morbido, accogliente, ma che col tempo si è seccato per restare per sempre rude" in quel momento mi sembrò di star parlando di qualcos'altro rispetto alla fotocamera. Ed ebbi il presentimento che quel qualcosa si trovasse proprio difronte a me.

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