FEDERICA
È così strano non pensare a come la vita possa tramutarsi in frazioni di secondo; tutto si modifica, siamo in continua evoluzione eppure ci attacchiamo a piccole cose per non sprofondare, per non annegare e non vedere il nostro mondo crollarci accanto. Perché se si pensa che prima o poi, qualcosa possa far finire l'ossigeno che ci faceva respirare, ogni parte del nostro corpo prende a dilatarsi e noi diventiamo incapaci di fare qualunque cosa, anche solo sbattere le palpebre. Ed ecco che io, in quel momento mi sentivo talmente appagata, che la possibilità che qualcosa andasse storto era completamente fuori dalla mia mente. Christian era il centro di tutto quello che potesse significare quiete, e fa ridere se solo si pensi a quanto caos ha dentro. Non facevo caso al fatto che continuavo a mentire per rimanere a galla insieme a lui, ma purtroppo qualcuno mi afferrava le caviglie per tirarmi giù, ed egoisticamente ho continuato a stringere Chris talmente forte, che alla fine, è annegato con me. Delle volte mentiamo per stare bene, mentiamo per rendere tutto più semplice e non far male a chi amiamo. Ma già il solo gesto di non dire la verità implica amare di più noi stessi, che loro. Abbiamo così paura di dire le cose come stanno, per il semplice motivo di non vedere la vita tramutarsi sotto ai nostri occhi. Tutte le azioni che si compiono e le scelte che prendiamo portano ad una conseguenza, purtroppo come citava sempre la mia maestra alle elementari: "È facile eludere le nostre responsabilità, ma non possiamo eludere le conseguenze dell'aver eluso le nostre responsabilità", non capivo bene cosa volesse dire e francamente non ricordo neanche chi lo avesse detto, ma ad oggi, mi rendo conto di non essermi presa le mie responsabilità. E adesso continuo ad immaginare e ricordare quei momenti, rimanendo inchiodata a quello che abbiamo vissuto insieme. Continuo a vedere noi in quella camera prima di quel maledetto gala mentre fingevamo di studiare, ed invece eravamo come due calamite. Più cercavamo di stare distanti più avvertivamo una forza che ci univa e tutto prendeva vita.
«La smetti di scarabocchiare tutti i miei quaderni?» Borbotto mentre cerco di sottolineare italiano.
«Perché sennò cosa succede?», la sua domanda la pone con troppa seduzione, infatti, alzo lo sguardo e noto i suoi occhi scrutare troppo attentamente il mio corpo.
«Christian», lo rimprovero, perché conosco quell'espressione famelica a cosa punta.
Sono a pancia in giù, con i gomiti che sorreggono il mio viso, mentre continuo ad osservare le intenzioni del mio incasinato e mormoro: «smettila di pensare a quello che stai pensando».
Ride. «E a cosa starei pensando, sentiamo?»
Mi alzo a sedere e incrocio le gambe all'indiana, le mie labbra si incurvano in su spontanee e ci fissiamo per un tempo che non saprei definire.
«Ti formicolano le gambe?» Mi domanda continuando a fissarmi.
Mi dondolo e carezzo le cosce scoperte, sospirando. So cosa sta cercando di fare ma non riesco a non stare al gioco, mi sento così attratta e attirata da lui.
«Mh», riesco a dire soltanto.
«Le tue iridi si sono dilatate e il tuo respiro è cambiato», parla veemente.
«Anche il tuo corpo ha assunto una posizione diversa, non sembri poi così rilassato!» controbatto mordendomi il labbro inferiore.
Ci fissiamo con ardore, la tensione si concentra su di noi e i nostri respiri prendono ad andare all'unisono, la temperatura del corpo si alza e una strana sensazione fluisce verso il basso.
«Avverti delle emozioni al centro dello stomaco, vero? Sembrano non riuscire a farti stare ferma... continui a dondolare... ti senti agitata per caso?».
È troppo bravo a questo gioco, e io sono pressoché una preda tanto facile, cedo troppo facilmente seppur tento di non darlo a vedere.
Sospiro. «Dobbiamo studiare», riesco a dire.
Lui si lecca le labbra, si alza in piedi e sorride. Contemplo il suo corpo, tanto definito, seducente. I vestiti tirano sui punti della muscolatura, e nel muoversi guizzano aitanti sotto il tessuto. Poggia le mani sul letto e incastra i nostri sguardi avvicinando il suo viso al mio, i nostri nasi si sfiorano. È ad un centimetro dalla mia bocca, e come se fosse la prima volta trattengo il respiro in attesa che mi baci.
Socchiudo le palpebre e inalo il suo odore, mi sento inebriata dalla sua essenza, e vorrei non sentirmi sempre così soggiogata, perché se un giorno dovesse mollare la presa, io probabilmente mi sentirei persa del tutto.
«Ciao Psiche» sussurra a pochi millesimi dalla mia bocca.
Questo appellativo mi è nuovo, risuona strano alle mie orecchie ma mi piace, spalanco gli occhi ma lui si allontana precipitosamente da me, facendomi avvertire tutta la distanza che ci separa. Mi sento confusa e stordita, espiro, e solo ora mi rendo conto che non stavo respirando.
Lui ride e ritorna a sedersi sulla sedia riprendendo la penna in mano.
«Perché mi hai chiamata così?» Domando curiosa e ancora un po' in trance.
«Mi fa impazzire il fatto che non riesci a resistermi», dice lui invece, senza rispondere alla mia domanda.
«Non è vero», sbuffo improvvisamente provando vergogna, poiché è la verità.
«Io neanche riesco a resisterti... non devi sentirti sempre in imbarazzo piccola! A me piace questo...», parla sinceramente riferendosi al fatto che non riusciamo a staccarci l'uno dall'altra.
Mi alzo in piedi energica e piena di adrenalina, mi precipito sulle sue gambe e mi avvinghio al suo corpo, che mi accoglie istantaneamente.
«Come siamo entusiaste», commenta ed io lo bacio con passione.
Sembra sorpreso dalla mia iniziativa, ma in pochi istanti ricambia anche lui, facendo trasformare il nostro bacio in qualcosa di più.
«Non eri quella che diceva che "dobbiamo studiare"», scimmiotta la mia voce, ed io in tutta risposta lo schiaffeggio sulla fronte.
Ruoto il capo sulla scrivania, e osservo il disegno abbozzato sulla prima pagina bianca del mio quaderno di italiano; è la raffigurazione di Eros e Psiche, mentre si stringono l'uno all'altra, avvolti dalle ali di lui. Amore in una mano stringe una freccia, con l'altra copre gli occhi all'amata, raffigurata come una dea; con capelli lunghissimi e una corona di fiori circonda il capo, un abito lungo e ampio avvolge il corpo e un nastro definisce la vita.
«È bellissimo», dico.
«Banale» risponde sminuendo il suo disegno.
«Perché fai sempre così... è bellissimo e lo sai anche tu!» Affermo prendendo il foglio tra le mani.
Lo contemplo e ammiro la cura che ci mette nei dettagli dei corpi, ma sopratutto nelle ali, disegnate con una precisione minuziosa. Sul braccio della dea scorre qualcosa, pare del sangue, poiché Eros sembra avere un taglio sul polso, e questa pare l'origine di questo flusso.
«Perché mi hai chiamata Psiche?» Chiedo ancora, continuando a fissare i due innamorati.
Lui dal canto suo non risponde, me lo sfila dalle mani riponendolo nel quaderno, dopodiché, mi fa scendere dalle sue gambe incitandomi a cambiarmi per il gala.
«Non mi rispondi mai» brontolo.
Si sofferma a guardarmi per un secondo, e addolcisce lo sguardo quando metto il broncio, tuttavia, mi carezza una guancia e dopo averci posato un bacio, sussurra: «Non lo so, l'ho detto e basta».
Sospiro ma annuisco. È ancora così difficile comunicare con lui, ma mi faccio andare bene anche questa risposta, perché ho già altro a cui pensare.
«Ora vai e muoviti... sennò faremo tardi», mi canzona lasciandomi una pacca sul sedere.
Lancio un urletto e mi precipito in bagno, prima che riprenda a torturarmi con i suoi modi peccaminosi.
Mi osservo allo specchio, lascio andare un respiro e avverto inspiegabilmente un peso al petto, l'ossigeno pare mancarmi e le orecchie prendono a fischiarmi, provocando un senso di vuoto tanto forte da avere dei capogiri. Poggio le mani sul lavello e cerco di acquisire fiato, ma mi manca sempre di più. Ruoto la testa verso la porta, ho bisogno di Chris ma è tutto nero, oltre è tutto buio e io non posso chiedere aiuto.
Indietreggio osservandomi allo specchio; sono pallida, le mie occhiaie sono evidenti come se del mascara fosse colato sulla pelle bianca. I miei piedi si bagnano, sul pavimento c'è dell'acqua, mi giro intorno e non comprendo l'origine. Chiamo Chris più volte, ma l'acqua arriva alle caviglie e nessuno mi sente, arriva alle ginocchia e avverto il freddo colpirmi, ho i brividi e ho paura. Attorno è tutto nero e non riesco ad uscire, i vestiti si bagnano, mi si impregnano addosso come se mi ingabbiassero. Urlo, strepito, colpisco i muri ma niente si muove. Grido contro il mio riflesso e l'acqua arriva al petto, pare penetrarmi, voler prendere possesso del mio corpo. Non riesco più a muovermi, mi sento soffocare, non riesco più a parlare o a muovere un muscolo. L'acqua mi imprigiona e improvvisamente non riesco ad emergere, provo a nuotare verso la superficie ma il mio corpo non risponde ai comandi. Ho bisogno di ossigeno, ho bisogno di respirare, ho bisogno di Christian che mi cacci fuori di qui ma non c'è, non c'è più nessuno. Guardo per un'ultima volta il riflesso, prima di lasciarmi andare, prima di chiudere le palpebre e farmi trascinare giù.
Mi sento scuotere improvvisamente, avverto una mano sfiorare la mia, arranco ma qualcuno mi tira su, mi fa riemergere e riprendendo fiato provando a urlare: «Christian».
Spalanco gli occhi, la mia vista ci mette qualche secondo a mettere a fuoco la persona che mi ha salvato; due occhi grigi lucidi e spaventati mi osservano e la sua bocca mi chiede più volte qualcosa, ma non riesco a capire cosa dice.
«Ancora quel sogno?» Percepisco.
Mi guardo le mani, le muovo e cerco di acquisire terreno concentrandomi sul respiro irregolare. Mi sento sudata, stanca e confusa.
«Mi senti?» Parla ancora, e io alzo gli occhi e osservo questa dolce anima assistermi mentre avverto pezzi di me andare in frantumi.
Annuisco cercando di rassicurare Charlotte, sconvolta dai miei continui incubi.
«Era quello del bagno?»
Le sue domande assidue mi infastidiscono anche se cerca solo di aiutarmi, tuttavia, continuo ad assentire senza riuscire a replicare.
Mi avvio al bagno, mi spoglio e osservo il mio corpo pieno di segni. Osservo la forma della mie costole visibile ai miei occhi, le carezzo e sospiro.
«Ti preparo la colazione, vuoi una mano?» Mi domanda ancora, e io mi sento una pessima persona perché sta mettendo da parte il suo dolore per pensare al mio.
Faccio di no con la testa e vorrei chiederle scusa, vorrei dire qualsiasi cosa per rassicurala, vorrei anche solo abbracciarla per farle capire che ci sono per lei, ma mi sento del tutto priva di vita, del tutto vuota.
Lei, sparisce dalla mia vista mentre io mi decido a farmi un bagno per lavarmi da tutto lo sporco che ho dentro, che seppur mando via, ritorna sempre e fa sempre più male.
STAI LEGGENDO
La Forma del Destino 2
RomanceIl dolore per Federica è troppo grande e il peso del suo sbaglio la faranno stare molto male, tuttavia, Christian non riesce a perdonarla ma la passione e l'amore che li unisce va oltre tutto, e lui non riesce a smettere di pensare alla sua dea. Ma...