CH. XIII

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«Chi sei tu?»

L'uomo coi capelli come il fuoco batte le palpebre e trattiene il fiato. Victoir inclina la testa verso l'alto per guardarlo fisso negli occhi bianchi e stringe i pugni, pronto a combattere: sarà anche grande e lui solo un bimbo, ma non ha paura e non permetterà a nessuno di fare del male alla sua famiglia! Ha già dato prova di sé attraversando il giardino in piena notte, silenzioso come il vampiro che dovrebbe essere, e lui, l'uomo dai capelli come il fuoco, non l'ha sentito arrivare.

Per qualche motivo, però, lo sconosciuto esala un sospiro e curva le labbra in un sorriso buono.

Victoir si sforza di contrarre i muscoli facciali nell'espressione più truce di cui è capace. «Guarda che se vuoi fare del male alla mia famiglia ti picchio!»

«Sta' tranquillo, piccolo eroe, non voglio fare del male a nessuno.» ribatte l'uomo, poi si abbassa sedendosi sui talloni.

I suoi movimenti ricordano non solo lo scorrere dell'acqua, ma soprattutto la grazia che contraddistingue la mamy.

La sua voce placida accarezza il silenzio. «Come ti chiami?»

Non sembra cattivo, ma Victoir è consapevole di non capire granché le persone e papy gli ha ripetuto un sacco di volte di non fidarsi degli sconosciuti. È incerto su cosa fare e lo esprime con un lungo mugugno che strappa una risata al signore strano.

«Non sei il tipo che parla con gli estranei, eh? Fai bene, sei un bravo bambino.»

Victoir trema e non vede l'ora di tornare sotto le coperte. «Che cosa ci fai nel nostro giardino?» incalza.

Tecnicamente quel giardino non è loro, ma della famiglia del papy: alloggiano sempre in quella vecchia casa quando devono salire alla città nel cielo per le sue visite mediche. L'uomo coi capelli come il fuoco pensava di essere bravo a nascondersi, ma a lui è bastata un'ombra di troppo per notarlo dalla sua finestra.

«Dimmelo o chiamo la mia mamy! Guarda che lei rompe le noci di cocco con le mani!»

L'intruso ridacchia di nuovo; forse non crede sia vero, ma prima che Victoir possa giurarlo si affretta a rispondere: «A dire la verità, mi stavo assicurando che foste al sicuro.»

«Non si entra nei giardini degli altri per capire se sono al sicuro, bugiardo!» lo rimbecca il bambino col potere della razionalità.

«Vero.» l'uomo annuisce, serafico nonostante l'insulto. «Ma le cose urgenti a volte richiedono metodi poco ortodossi.»

Victoir strizza gli occhi: non conosce quella parola, ordotossi, ortossi, orpossi, opossum...

Ma la conversazione finisce lì, senza una vera e propria conclusione: un improvviso trambusto dall'ingresso calamita gli occhi di entrambi sulla porta, dalla quale esce di soppiatto papy, ancora in abiti da giorno e con gli occhiali storti sul naso.

«Victoir!» chiama il suo nome con una strana inclinazione nella voce, qualcosa che il bambino non ha mai sentito ma gli fa venire la pelle d'oca.

Un attimo dopo papy si mette a correre verso di lui, che subito rivolge lo sguardo dove avrebbe dovuto trovarsi l'intruso. Ma non c'è più nessuno, neanche una pennellata di rosso sulla neve.

***

Il grido straziante di Alcor East era l'unica conferma che il tempo non si fosse fermato, al contrario di Victoir Evans ed Elijah Griffiths che, simili a statue di ghiaccio lungo il pendio della collina, si fissavano come preda e predatore. Sullo sfondo, il chiarore dell'incendio imporporava la notte e lambiva i contorni della sagoma nera del morrwen, costringendo il cacciatore a strizzare gli occhi per non rimanere abbagliato.

ADIAPHORADove le storie prendono vita. Scoprilo ora