Nella vita di Leo esistevano solo 2 tipi di giornate: quelle brutte in cui si drogava per consolarsi e dimenticare, e quelle vuote, in cui dal momento in cui si alzava la mattina a quando stava per andare a letto la sera accadevano così poche cose che finiva spesso per fissare con sguardo perso la pagina vuota del diario di fronte a lui e rigirarsi la penna tra le dita frugando freneticamente nei cassetti della memoria per trovare anche solo una minimalissima cosa da raccontare nel quaderno. Ma di avvenimenti non se ne ricordava alcuno, e il ragazzo se ne andava a letto sconsolato lasciando la pagina del diario vuota. Le volte in cui ciò capitava succedevano perché era troppo fatto per accorgersi delle mille cose che stavano accadendo attorno a lui e di cui avrebbe potuto rendersi protagonista, o delle opportunità che gli stavano passando sotto al naso per tramutare quella dannatamente noiosa giornata in una memorabile avventura che si sarebbe ricordato per tutta la vita. Giorni tipo quelli trascorrevano lenti e sprecati, lui con uno sguardo semiaddormentato e gli occhi talmente rossi e sporgenti da sembrare due rape, la mente completamente disconnessa dal mondo reale e uno spesso filo di saliva pendente dal labbro inferiore. In classe incapace di stare attento e di seguire propriamente la lezione, a casa semplicemente buttato sul letto a fissare il soffitto per ore lamentandosi con i demoni dentro di lui come tutto quello facesse schifo e di come la vita fosse in realtà una maledizione. Erano giornate terribili, lente e atroci quasi fossero una tortura. Giornate vuote, così come anche la mente e l'anima del ragazzo, tanto da farlo cadere nel baratro della disperazione. Finiva spesso per cercare freneticamente un rimedio per riempire quel vuoto, o almeno per far scivolare via tutto quello schifo più in fretta, rifugiandosi quasi sempre nell'abbraccio accogliente ma freddo della droga, anche se in realtà quest'ultimo non pareva avere alcun effetto su di lui dopo un periodo così lungo di abuso.
Quel giorno apparteneva alla seconda categoria e, a differenza di altre volte, stava procedendo particolarmente lentamente. Non aveva dormito per mancanza di stanchezza, tuttavia tutta la sonnolenza si era ripresentata a scuola, e per 5 ore consecutive il ragazzo aveva lottato duramente per tenere gli occhi aperti, finendo infine per crollare addormentato sul banco. In autobus di ritorno a casa non era stato molto meglio. Il paesaggio che scorreva veloce al di là del finestrino era lo stesso che aveva visto il giorno prima. E anche quello prima ancora, ed era sempre lo stesso e monotono susseguirsi di campi, colline, e case solitarie di cui il ragazzo era stufo. Quella ripetitività cronica lo annoiava a morte, era la base di tutti i suoi problemi, che nascevano assieme a tentativi fallimentari di scappare da quella trappola di abitudine.
E arrivato a casa, si era di nuovo trovato di fronte allo stesso spettacolo a cui assisteva da anni: il letto disfatto da un lato della sua camera, la scrivania con la poltrona da gaming dal lato opposto. I pochi raggi di luce filtravano da sotto la vecchia tenda impolverata e sbiadita che non veniva aperta dal giorno stesso in cui era stata appesa. Un forte odore di chiuso che invadeva aggressivamente le narici era ormai diventato sinonimo di "casa" per il ragazzo. Una sceneggiatura nauseabile, tanto era stufo di trovarsi sempre inquadrato nella stessa stanza. D'un tratto qualcosa in lui cambiò. Le sue gambe, due stipiti piantati saldamente sul pavimento, divennero improvvisamente deboli. Le sue ginocchia si piegarono e iniziarono a tremare. Il suo sguardo si abbassò, colpendo le gelide strisce del parquet e i cumuli di polvere sparsi qua e là. Le mani, tremanti come le foglie di un albero scosse dal vento, lasciarono andare lo zaino facendolo cadere a terra nello stesso istante in cui i suoi occhi si riempirono di lacrime. Dapprima erano solo poche gocce, ma in pochi secondi si ingrossarono per diventare una vera e propria cascata salata. Si mise in ginocchio, si piegò in avanti, lasciando una pozzanghera di tristezza davanti a lui. Dio, se solo una singola cosa fosse cambiata... Ma no, tutto intorno a lui rimaneva sempre lo stesso, non aveva idea di come mutare anche solo uno degli elementi che componevano la sua esistenza. Perché se anche qualcosa fosse cambiato, sarebbero comunque rimaste altre mille cose a ricordargli che la routine è una prigione da cui è impossibile scappare. Il suo pianto, dapprima moderato, divenne poi un grido di disperazione, talmente forte da poter essere sentito anche nella stanza accanto, una sinfonia di singhiozzi strozzati che esprimeva lo stato d'animo affranto del ragazzo. No, lui non voleva nulla di tutto quello, non voleva ripetere tutti i giorni le stesse azioni immerso nello stesso ambiente di sempre. Non voleva che il dovere di studiare lo inseguisse sempre ovunque andasse, non voleva che quella routine lo afferrasse per la maglietta e lo tirasse indietro verso il baratro della monotonia ogni qualvolta il ragazzo cercasse di variare. Non lo voleva, ma quella era la realtà, quello era il modo e il contesto in cui avrebbe passato tutto il resto della sua vita. Anzi, forse più in avanti sarebbe anche peggiorato. Aveva bisogno di qualcosa per distrarsi, qualcosa che lo avrebbe fatto soffrire non per la solita cosa, voleva staccare cervello e almeno per una volta ragionare con il cuore. Svuotarlo, era questo quello che voleva.
Lo aveva fatto anche altre volte, e aveva sempre funzionato. Un metodo che gli permetteva di distaccarsi dalla realtà con pochi semplici movimenti e qualche goccia di sangue. Allungò le mani tremanti come una richiesta d'aiuto verso il primo cassetto della scrivania e ne tirò fuori una bustina trasparente con un paio di lamette da rasoio e un sacchetto di plastica con uno strano liquido al suo interno che odorava di benzina. Una combinazione micidiale di oggetti che tuttavia aiutava il ragazzo a trasformare pomeriggi noiosi e lenti come quello in qualcosa di meno stancante da sopportare. A volte, addirittura, con quelli in mano il tempo pareva volare.
Si buttò sul letto, sistemandosi poi a sedere appoggiando la schiena al muro. Le lacrime sul suo volto erano scomparse, asciugate dalla manica della sua felpa, probabilmente essendo lui cosciente che avrebbe spazzato via quel dolore con le sue stesse mani nel giro di pochi minuti.
Indignato con sé stesso e con la sua vita, diede libero sfogo alla sua rabbia incidendo il primo taglio sull'avambraccio sinistro, che andò a coricarsi tra altre mille cicatrici simili. Un brivido di dolore gli corse lungo la schiena, scuotendolo come una ormai debole foglia su un albero in autunno. Proprio il tipo di brivido che a Leo piaceva. Ripetè le mossa ancora una volta, poi un'altra e un'altra ancora. Fiumi di sangue rosso come il fuoco che bruciava in lui iniziarono a scorrere lungo il suo avambraccio, con perle dello stesso colore che gocciolavano dal polso e dai polpastrelli delle dita.
Il dolore era una cosa strana, un fenomeno inspiegabile. Certi tipi facevano male, come quella volta in cui si era ritrovato steso a terra, circondato su ogni lato da altri ragazzi che continuavano imperterrito a picchiarlo, calciarlo, umiliarlo come se non fosse stato un essere vivente. Ma c'era un'altra categoria di dolore che non poteva essere considerata come il nemico. Anzi. Spesso finiva per diventare il suo migliore amico, finiva per diventare qualcosa che rallegrava la sua giornata, il primo spiraglio di luce in fondo al tunnel. Forse questa affermazione lo rendeva masochista agli occhi degli altri, ma il ragazzo non credeva di esserlo. Era vero, doveva ammettere che certe volte lo faceva per puro piacere, ma altre volte voleva semplicemente umiliarsi da solo e finire quello a cui i suoi bulli a scuola non arrivavano. E lui non riusciva a spiegarsi come mai se la mano a colpirlo era la sua non provava nulla, ma se veniva aggredito da qualcun altro faceva più male di un osso rotto.
Quello che Leo stava facendo in quel momento era un rituale che ripeteva dalle 3 alle 4 volte a settimana, dipendeva tutto dal suo umore. La vista del suo stesso sangue sgorgargli dalle vene e scorrergli lungo il braccio semplicemente era una sensazione che gli provocava un effetto quasi drogante. Se poi oltre alla lametta si univano alle danze anche i suoi altri due amici sacchetto di plastica e petrolio bianco... Era una combinazione letale contro la noia e i pomeriggi che scorrevano con la stessa velocità di una formica in un territorio pieno di ostacoli. Non era che con quelli il tempo avrebbe iniziato a correre, ma almeno avrebbe cambiato colore.
Seduto sul suo letto, la felpa sempre più sporca di sangue, il suo corpo pareva essere in uno stato semiaddormentato. Stava iniziando a fluttuare non si sa bene dove, in una direzione imprecisata forse verso la morte forse verso la felicità. E Leo non era certo un giocatore d'azzardo, ma quel non sapere mai cosa sarebbe successo e in quali conseguenze le sue azioni sarebbero sfociate doveva ammettere che lo divertiva. Perché in fondo, era l'esatto opposto di quello da cui scappava. Fino ad allora aveva sempre avuto la fortuna di raggiungere la felicità, anche se momentanea. Ma un giorno, questo lo sapeva bene e se lo ripeteva di continuo, sarebbe successo che davanti alla serenità ci sarebbe passato con una semplice illusione di stare per raggiungerla. Ma non ci sarebbe arrivato, Avrebbe cambiato improvvisamente direzione per venire tanto rapidamente quanto senza dolore risucchiato dal vortice della morte. Non che gli sarebbe dispiaciuto. Anzi. Certe volte la sua vita scendeva così in basso che si metteva a drogarsi e a tagliarsi nella speranza di morire o di overdose o per dissanguamento. Ma non ci giungeva mai.
E anche se quella che raggiungeva era solo una felicità momentanea, che durava non più di qualche minuto, Leopoldo si sentiva comunque molto più tranquillo dopo, e spesso ripeteva tutto il rituale fino a sera. Anche quella volta non avrebbe fatto a meno. Probabilmente si sarebbe addormentato, e risvegliato in un bagno di sudore con l'unica cosa per la testa quella di drogarsi di nuovo per passare quella fase lenta e inutile nel più breve tempo possibile. E poi, il ciclo sarebbe ripreso: avrebbe passato la notte a rigirarsi nel letto cercando di prendere sonno, poi si sarebbe alzato per andare a scuola, lì si sarebbe addormentato e passato 5 ore nel mondo dei sogni, poi sarebbe tornato a casa a non fare niente e a piangere la sua triste esistenza. Non sarebbe mai cambiato quel ciclo, e Leo orami era giustamente convinto che sarebbe cambiato solo con la sua morte.
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Terra Incognita
ContoIl tema principale di questa mia serie di racconti è il dolore. A darmi ispirazione per questi brevi racconti è la mia stessa vita, che mi ha insegnato certe importanti lezioni come che i motivi per soffrire non finiranno mai. Proprio per questo ho...