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Pripyat, Ucraina.

8 Novembre 2009.

Nelle vicinanze della stazione di Yanov.

11:20.

Anatoli Zelenko, Vassili Karavaev.

I due sono sulle tracce di Irina, Sergei, Boris e del soldato Svatok.


«E' vero quello che si dice su questo ponte, Anatoli?»

Il poliziotto e il contadino-stalker erano arrivati al Ponte della Morte. Anni addietro, durante quella notte che avrebbe reso tristemente famoso al mondo intero quel posto, centinaia di persone si radunarono sopra il ponte della ferrovia che prima della catastrofe collegava Ovruch a Chernihiv. Voci erano iniziate a circolare, secondo le quali chiunque era lì quella notte sia morto poche settimane dopo.

«Non lo so, Vassili» sospirò il vecchio. «Molte voci hanno iniziato a circolare su questo posto dopo il disastro. Ma gran parte di esse sono solo frutto di battute di cattivo gusto.»

«Tipo quelle sugli animali con cinque zampe, i cervi con quattro corna e uomini ridotti il cui aspetto ricorda tutto meno quello di un umano?»

Anatoli scosse la testa.

«Faccio lo stalker da una decina d'anni, e tutti gli animali che ho incontrato erano all'apparenza più che sani. In più, non sono mai stato aggredito dai cosiddettisamosely

I due gettarono lo sguardo verso la parte destra del ponte. Tra gli alberi, seguendo il tragitto della ferrovia, si riuscivano a intravedere degli edifici.

«La stazione di Yanov è laggiù» indicò Anatoli, puntando poi il dito verso il pennacchio di fumo che si alzava poco più in là. «Non è lontana dal luogo dell'esplosione. Inizieremo le ricerche da lì.»

I due oltrepassarono il ponte, svoltando a destra per dirigersi verso i binari passando tra le piante.

«Meglio non restare in strada. Gli spari e l'esplosione avranno attirato altri zombie» sussurrò Anatoli, cercando di far meno rumore possibile.

Vassili tirò fuori il dosimetro, curandosi di silenziare i bip dell'oggetto. I valori che vide andavano da un minimo di 0.66 a un massimo di 4.23 microsievert.

«È colpa degli alberi» fece il contadino, raggiungendo le rotaie. «La radioattività è ancora alta nei tronchi, talvolta anche nelle foglie.»

Il poliziotto si sbrigò ad uscire dalla boscaglia, continuando a seguire il compagno.

«Dov'eri, Anatoli? La notte dell'incidente, intendo.»

L'anziano abbassò lo sguardo.

«Abbastanza vicino alla centrale nucleare da averlo visto con i miei occhi.»

Vassili restò a bocca aperta.

«Come sarebbe? Dytyatky è distante almeno 40 chilometri da Pripyat.»

«Ero assieme a un mio amico di Starolesye, Vadim. Le vendite al mercato di Chernobyl andavano bene, ma stavo valutando assieme a mia moglie di aumentare gli introiti vendendo non solo frutta e verdura, ma anche pesce pescato sul fiume Pripyat. Mi aveva proposto di fare una battuta di pesca non lontano da Pripyat, nelle vicinanze del lago di raffreddamento artificiale della centrale nucleare, dove si diceva ci fossero molti pesci, la notte tra il 25 e il 26 aprile. Io e Vadim ci eravamo accampati sulla sponda est del fiume, con lo sguardo rivolto verso la centrale. Non avevamo pescato molto, e ci stavamo relativamente annoiando. Poi, ad un tratto, si è sentito un tonfo sordo in direzione della centrale, per poi vedere il reattore saltare in aria. Restammo impietriti a fissare lo spettacolo, fin quando non iniziammo a sentire in lontananza le sirene dei vigili del fuoco e decidemmo di andarcene. Il resto è storia.»

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