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Dytyatky, Ucraina.

7 Novembre 2009.

Frontiera della Zona di Esclusione di Chernobyl.

09:47.

Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova.

Il gruppo deve raggiungere la città di Chernobyl.


Un cielo grigio copriva quell'angolo di mondo conosciuto come Oblast' di Kiev. Le nuvole, accompagnate da una leggera brezza, non facevano presagire un imminente miglioramento. Le piogge autunnali dei giorni precedenti avevano coperto di pozzanghere l'asfalto della strada statale che conduceva in uno dei posti più pericolosi in Europa e nel mondo intero: la Zona di Esclusione di Chernobyl.

Il silenzio innaturale che regnava sulla via era spezzato soltanto da un furgone che procedeva spedito verso nord.

Ad un tratto, il mezzo iniziò a rallentare, per poi fermarsi del tutto. L'autista imprecò.

- Che succede, Anatoli? – chiese una voce maschile dietro di lui.

- Benzina finita, signori. Ho fatto male le mie valutazioni. – rispose l'uomo al volante, un contadino robusto sulla sessantina, col volto segnato dalle rughe e dal tempo.

- E adesso? – fece la giovane donna mora in mimetica al suo fianco.

- Si prosegue a piedi. Non siamo distanti dal nostro prossimo obiettivo. -

- Sentito, Irina? Si scende. – disse un'altra voce maschile nel vano posteriore.

Dal mezzo uscirono sei persone, quattro uomini e due donne, armati con fucili d'assalto e pistole. Ognuno di loro volse il proprio sguardo nell'area circostante, costituita da immensi campi un tempo coltivati, ora lasciati all'abbandono.

- Hai preso anche Masha? – domandò uno degli uomini, di mezza statura e tarchiato, a Irina, una ragazza bionda di ventisei anni.

La ragazza annuì, mostrandogli il piccolo orsacchiotto bianco che teneva in mano.

- Niente zombie. Per ora. – disse il più giovane dei quattro uomini, un ragazzo dai capelli neri e il fisico da nerd, sistemandosi lo zaino in spalla.

- Per ora, Boris. Per ora. – ripeté la donna con la mimetica, scartando un lecca-lecca.

Anatoli Zelenko posò gli occhi poco lontano, in direzione di un piccolo agglomerato di case di campagna. Erano nelle vicinanze di Dytyatky, il paesino dove viveva.

- Chi l'avrebbe mai detto che sarei stato contento di rivedere questo posto un'ultima volta? – sussurrò.

***

Due mesi prima, il famigerato "virus Z" era uscito allo scoperto. Non si sapeva da dove fosse arrivato e chi l'avesse portato. Alcuni davano la colpa ai russi, altri agli americani, altri ancora a qualche scienziato pazzo. Quello che tutti poterono constatare, però, fu che in una trentina di giorni il mondo si ritrovò ad essere popolato per più di tre quarti da morti viventi. Tre settimane prima, a Kiev, Anatoli stava vendendo i prodotti della sua terra al mercato, quando gli zombie iniziarono ad arrivare dai quartieri a sud della città. L'uomo cercò di fuggire a bordo della sua station wagon, ma, nella fuga generale, fu colpito da un'auto della Militsiya che stava andando a respingere i non morti. A bordo, insieme al guidatore, c'era l'agente Vassili Karavaev, un trentenne barbuto di Bila Cerkva, da poco trasferito a Kiev. L'uomo soccorse Anatoli, e fece per portarlo al campo medico dell'esercito più vicino, ma al momento di risalire in auto, si accorse che il suo collega era morto nello schianto, e si era già trasformato. Così, i due fermarono un'auto, ordinando al conducente di raggiungere il cordone sanitario più vicino. A bordo, c'erano Sergei Kabakov, un quarantenne di Ivankiv, sua figlia Irina e l'amico coetaneo di lei, Boris Volkov. Giunti sul posto, trovarono il caos. La zona era già stata raggiunta dai non morti, e l'esercito stava lentamente soccombendo sotto la superiorità numerica e la velocità d'azione degli zombie, che si rivelarono essere più veloci e aggressivi di quelli "romeriani". Nel trambusto generale, una giovane sergente dell'esercito, Olga Petrova, cercava di respingere come meglio poteva l'orda, mentre vedeva i suoi commilitoni morire uno dietro l'altro. Vassili trovò il coraggio di uscire dalla macchina e prestarle soccorso, aiutandola a mettere fuori gioco gli zombie. La donna seguì poi il poliziotto a bordo dell'auto di Sergei, e la fece rannicchiare nei sedili posteriori della macchina, sopra le gambe degli altri passeggeri. In quelle condizioni, sotto consiglio di Vassili, trovarono rifugio al centro di addestramento della Militsiya a Stoyanka, poco fuori Kiev. Lì, Olga, che era anche dottoressa, curò Anatoli, per poi prendere armi e munizione e decidere il da farsi. Ognuno di loro proveniva da città differenti dell'Oblast' di Kiev, con la soldatessa e Vassili che avevano l'ordine di proteggere qualunque civile con cui fosse in contatto, fino al ricongiungimento con altri membri dell'esercito. Boris, che quel giorno aveva visto i propri genitori morire per mano degli zombie mentre passeggiava con loro assieme a Irina e Sergei, chiese di essere portato a Katyuzhanka, sessanta chilometri a nord di Kiev, dove vivevano i nonni paterni. Magari il nonno, un veterano della seconda guerra mondiale, era riuscito a fregare anche gli zombie. Anatoli viveva più a nord, ma non aveva nessuno a casa ad aspettarlo, e ottenne il permesso di Boris per unirsi a lui, assieme a Vassili ed Olga. Sergei e Irina, invece, sarebbero tornati a Ivankiv, una ventina di chilometri a nord-ovest di Katyuzhanka, dove abitavano. Il giorno seguente, all'alba, il gruppo fece un pezzo di strada assieme, per poi dividersi quando Boris e i suoi compagni giunsero a destinazione. Clamorosamente, nonno Yuri e nonna Luba erano sopravvissuti al passaggio degli zombie, e il veterano, per respingere l'invasione, aveva tirato fuori nientemeno che il suo vecchio Mosin, con cui aveva ucciso centinaia di tedeschi a Stalingrado e Berlino. Lì, Vassili e Yuri insegnarono a Boris come sparare, usando una Makarov presa a Stoyanka. Olga, invece, passò gran parte del tempo a cucinare con Luba, preparando provviste per un eventuale viaggio. I maschi vennero mandati nei supermercati vicini a prendere cibo, acqua... e lecca-lecca alla menta, per i quali la soldatessa andava matta. Questo clima idilliaco durò solo due settimane. Un giorno, una mandria di zombie giunse a Katyuzhanka, e il gruppetto venne avvistato. Luba e Yuri coprirono la fuga del nipote e degli altri ospiti, che fuggirono a bordo di un furgone verso Ivankiv, dove salvarono Sergei e Irina, braccati da un gruppo di non morti che stava diventando sempre più grande. Dopo essersi allontanati, e aver chiesto consiglio ad Anatoli, quest'ultimo ebbe un'idea tanto pericolosa quanto potenzialmente geniale.

***

- Zombie a ore dodici. – disse Olga, spostando il lecca-lecca con la lingua.

Il sestetto aveva da poco oltrepassato una vecchia pensilina, giungendo in uno spiazzo devastato. Un autobus era stato abbandonato, e, attorno ad esso, una decina di zombie vagava confusa. Più avanti, un cancello con due sbarre ostruiva il passaggio. Sparsi, vi erano diversi cartelli di pericolo.

- Turisti. – fece Anatoli, notando la maglia di uno di loro.

I sei, appena furono abbastanza vicini, aprirono il fuoco sui non morti, abbattendoli con facilità.

Boris si girò verso Sergei, non avendolo sentito sparare.

- Siete stati troppo veloci. – disse l'uomo, alzando le spalle.

- O forse non hai voluto sparare. - 

- Piantala, ragazzino. Non farmi la predica. - 

Il gruppo avanzò, raggiungendo quello che fino a poche settimane prima era il cherckpoint di Dytyatky.

- Ci sono diversi colleghi della Militsiya. – sentenziò Vassili, guardando i cadaveri.

- Prendetegli le munizioni... e cercate dei dosimetri. – ordinò Anatoli, dirigendosi verso il posto di controllo accanto al cancello.

- Dosimetri? Non vorrai mica dire... -

- Sì, Sergei. Entriamo nella Zona di Esclusione. –

- Sei pazzo, per caso? È pericoloso! – esclamò il padre di Irina.

- Chernobyl non è mai stata evacuata dopo il disastro. – intervenne il poliziotto. – Potremmo trovare altri soldati e membri della Militsiya lì. –

- Un motivo in più per andare. – aggiunse Olga.

Anatoli tornò dal posto di controllo con diverse munizioni e dosimetri, distribuendoli.

- Lasciate che vi guidi. – disse. - Oltre a essere un contadino... sono uno stalker. -

Stalker, in quel luogo, era il termine che veniva usato per indicare le persone che si introducevano illegalmente nella Zona di Esclusione per svariati motivi.

- Si scoprono i primi altarini. - commentò sottovoce Sergei.

- In altri tempi, ti avrei arrestato immediatamente. – disse Vassili. - Ma, in questa situazione, non posso far altro che ringraziare il cielo. Fai strada. –

Anatoli accennò un breve sorriso, e scavalcò il cancello, iniziando a guidare il gruppo nella Zona di Esclusione.

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