3° Parte

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La mattina seguente, mentre le porte si spalancarono, nessuno voleva uscire fuori; ma dovettero farlo. Dopo aver raccolto tutto il suo coraggio, mio nonno finalmente uscì nel corridoio, mentre l'odore più putrescente che avesse mai sentito lo circondava. Tenendo il naso tappato e trattenendo i conati, si guardò intorno, e vide una piccola pozza di quello che sembrava sangue e olio mischiati insieme. L'unica ipotesi alla quale l'equipaggio giunse, fu che il "detenuto" era semplicemente uscito e si era ferito. Curiosi riguardo a ciò che avrebbe detto il capitano, si prepararono tutti per una giornata di lavoro. Corsero per il corridoio maleodorante e sul ponte superiore. Una volta raggiunta la cima delle scale, videro che il capitano era già lì a cantare la solita canzone, come se non avesse altro pensiero al mondo. In un putiferio, l'equipaggio lo interrogò sugli avvenimenti della sera prima ma non ottenne risposta; continuava a cantare. Nessuno di loro rivide JP e i tre mesi successivi furono i più lunghi delle loro vite.




Il resto del tempo sulla nave era scandito dal capitano. L'equipaggio era diventato silenzioso e depresso mentre i Beatles torturavano i timpani. Il lavoro che un tempo amarono era diventato triste e la nave sembrava una prigione. L'equipaggio non avrebbe più discusso col capitano e nessuno di loro si sarebbe mai avventurato fuori dopo l'ora stabilita. Finché una notte, un paio di mesi dopo ciò che accadde a JP, mio nonno finalmente fu sopraffatto dalla curiosità. Usò lo stesso piano di JP, ad eccezione del fatto che sarebbe stato molto più cauto; come diceva mio nonno "Se la colpa era del capitano, avevo bisogno di saperlo per il bene di tutti noi."




Fu alle 2.03 del mattino che mio nonno finalmente raccolse tutto il coraggio per avvicinarsi alla porta. Preso il magnete, iniziò lentamente a manomettere il blocco a sinistra. Un secondo o poco più prima che la serratura si aprisse di scatto, il canticchiare si fermò ed un boato enorme fece eco con violenza attraverso l'oscurità. Spinse la porta in avanti con tutte le sue forze, sperando che qualsiasi cosa vi fosse dietro rimanesse lì ma non ci fu reazione. Aprì con cautela la porta, quel tanto che bastava da poter sbirciare nel corridoio fiocamente illuminato di fronte a lui. A quel punto, udì un basso scalpiccio di qualcosa che si avvicinava furtivamente verso di lui nell'oscurità di fronte. Dopo un momento di gelo, iniziò lentamente a reagire alla situazione nella quale si trovava. Non so perché lo fece o come trovò il coraggio, ma guardò a sua volta nel corridoio. Non ho mai dimenticato lo sguardo sincero e terrorizzato che aveva quando mi descriveva nel dettaglio ciò che aveva visto in quel corridoio.




Per dirlo con le parole di mio nonno "Era una creatura quadrupede che aveva peli spessi e affilati come rasoi che parevano rivestiti di olio o catrame. Non so se ciò che stavo provando fosse causato dall'odore o dalla paura ma la mia vista si fece confusa giusto per un momento e provai un dolore alla testa mai sentito prima. Era alto come me quando era sulle quattro zampe, perciò non so immaginare quanto potesse esser grande in piedi. Aveva zoccoli neri sulle zampe posteriori, ma aveva quel che sembravano pugni umani altrettanto neri sulle zampe anteriori. La sua faccia era la parte peggiore; dove avrebbe dovuto esserci la bocca, c'erano solo tre buchi a sinistra, destra e al centro, nel solito posto in cui dovrebbe esserci una bocca. Sembrava come se fossero stati strappati per creare qualcosa di simile ad una smorfia, poi erano uniti da due grandi lembi nel mezzo. Gli occhi avevano la forma di quelli dei gatti ma con una sclera bianca, pupille totalmente nere, molto più grandi e strabiche. Mi guardava fisso – con gli occhi spalancati; aprì la bocca per mostrare centinaia di denti affilati giallo scuro ed emise un profondo grido umano. A quel punto, sbattei la porta, la chiusi a chiave e rimasi svenuto per tutta la notte."

Prigionia di mezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora