ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 8

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Catherine viveva in un piccolo appartamento in affitto, che a dirla tutta somigliava più a un garage che a una vera e propria abitazione, ma era l'unica opzione che aveva potuto permettersi per il momento. Il rapporto con i suoi genitori si era molto deteriorato nel corso degli ultimi anni e per questo, nonostante avesse già difficoltà a pagare le rate universitarie, aveva deciso di andare a vivere da sola rendendosi completamente autonoma.
Le piaceva avere uno spazio tutto suo, la sua salute aveva giovato molto di quella sua decisione; inoltre, il prospetto di andare un giorno a vivere assime a Dave le dava la forza d'animo di non mollare.
Come il giorno precedente rientrò a casa in tarda mattinata, accese il ventilatore e si lanciò a capofitto nel letto ancora sfatto. Le era capitato più volte di ripensare allo strano comportamento di Milena di quella notte, nonostante cercasse di cacciare via quel ricordo in ogni modo possibile esso tornava continuamente a galla. E ogni volta, lei rabbrividiva istantaneamente.
Attese per tutto il giorno una chiamata da Dave, seppur lui l'avesse avvisata che probabilmente non avrebbe potuto contattarla: anche solo il fatto di poter udire la sua voce per qualche minuti la avrebbe di certo aiutata a sentirai meglio. Tuttavia, il cellulare non squillò mai e alle 20:45 la ragazza si trovò ancora una volta ai piedi del palazzo grigio che ospitava la casa dei Page.
Si sentiva nervosa quella sera, come se dentro di lei già sapesse che sarebbe accaduto qualcosa di profondamente negativo. Con la borsa a tracolla e lo sguardo basso, camminò avanti e indietro per qualche minuto fumando una sigaretta nel tentativo di calmare i nervi prima di varcare il portone d'ingresso. Salì la prima rampa di scale e svoltò a sinistra, suonando il campanello in modo impulsivo; sentiva che se non l'avesse fatto subito sarebbe finita per tornare indietro, ma non poteva permettersi di assentarsi dal lavoro così presto.
Dall'altro lato della vecchia porta di legno i passi di Milena giunsero con notevole ritardo rispetto alle volte precedenti. Nel momento in cui la vide comparire dietro alla porta Catherine si accorse subito che l'anziana donna pareva essere piuttosto spossata, forse a causa del caldo infernale che si stava abbattendo sulla città in quei giorni di Luglio. Aveva la fronte sudata ed entrambe le braccia pendenti giù dai fianchi.
-Buonasera signora Milena- esordì, con un sorriso.
L'altra si limitò a ricambiare il gesto, spostandosi di lato giusto per permetterle di passare; subito dopo, si apprestò a richiudere la porta d'ingresso a chiave. Per qualche motivo sembrava confusa, o forse preoccupata per qualcosa. -Io devo farmi una doccia- annunciò, seguendo i passi di Catherine lungo il corridoio fino alla camera da letto. -Occupati tu di dar da mangiare a Troy. È sufficiente azionare la pompa e assicurarsi che non si blocchi-.
Un po' sorpresa da quella richiesta, la ragazza tacque per una manciata di secondi prima di rispondere. -Non ho mai usato un macchinario di questo tipo... Potrebbe mostrarmi come..-.
-Il tasto grande serve per avviarla. Devi solo premerlo- le rispose l'anziana, che incurante della sua preoccupazione si stava già chiudendo nel bagno. -Pensi di riuscire a schiacciare un tasto?-.
Catherine strinse le mandibole con una smorfia, fortemente irritata dal comportamento della donna. Aprì la bocca per controbattere ma poi, prima che una sola sillaba riuscisse a salire dalla sua gola, decise invece di tacere: non valeva proprio la pena discutere.
Sistemò molto rapidamente le sue cose sul letto, poi raggiunse Conrad nella sua stanza. Lo trovò nuovamente seduto sulla sua sedia a rotelle, che questa volta per qualche motivo era stata posizionata in un angolo e rivolta contro alla parete; aveva la schiena diritta e la nuca lievemente piegata indietro, mentre entrambe le mani erano avvolte attorno alle maniglie laterali quasi come se tentasse disperatamente di mantenersi in equilibrio. I suoi occhi color miele fissavano intensamente il vuoto, con qualche ciocca di capelli che pendendo sulla fronte occultava la visuale.
-Ciao Conrad- disse la ragazza, avvicinandosi lentamente a lui. Il silenzio tombale che aleggiava nella stanza rendeva chiaramente percepibile il respiro del giovane paziente, che era affannato quasi come se avesse appena fatto una lunga corsa. -Va tutto bene?- gli domandò. Le sembrava agitato, anche se non riusciva a comprendere quale fosse il motivo.
Con un gesto delicato e gentile fece roteare la sedia a rotelle per poi spingerla in direzione del letto. La pompa elettrica per l'alimentazione forzata era posizionata proprio sul mobile lì accanto; in effetti sembrava abbastanza semplice da utilizzare. Afferrò con delicatezza il lungo tubicino di plastica e ne collegò una estremità a quello che fuoriusciva dalle narici del ragazzo, fissato sulla guancia con un semplice cerotto trasparente, poi premette con decisione il tasto di accensione.
Quanto tornò a sollevare lo sguardo, si accorse che Conrad la stava osservando in silenzio.
-Tua nonna si ricorda di accendere questo affare durante il giorno, vero?- mugolò, osservando il macchinario con preoccupazione. La corporatura del ragazzo era molto esile, con le ossa piuttosto esposte in molte sue parti; quasi certamente, non veniva nutrito abbastanza.
Sbuffò fortemente, cercando di sciogliere la tensione accumulata nel suo petto; non riusciva proprio a capacitarsi di come l'agenzia e gli assistenti sociali potessero ritenere quella donna ancora in grado di provvedere al nipote autonomamente.
Si mise a sedere sul bordo del letto, proprio accanto a lui, restando per diversi secondi in silenzio; la situazione la metteva alquanto a disagio, ma era quasi certa che Conrad avrebbe gradito un poco di compagnia, considerato che probabilmente trascorreva ogni singolo giorno in totale solitudine all'interno di quella stanza. Intrecciò le dita delle mani e iniziò a giocherellare con un lembo delle lenzuola, finché non si rese conto che lui aveva roteato la testa in sua direzione; il suo sguardo assente e privo di emozioni era adesso nuovamente fisso su di lei, con un'insistenza quasi fastidiosa.
-Ti sta bene se ti faccio un po' di compagnia, Conrad?... O Troy, se preferisci che ti chiami così- borbottò lei, senza rendersi conto che la sua voce stava tremando. Si sentiva spaventata, come se si aspettasse di vederlo saltarle addosso e aggredirla da un momento all'altro.
Ma il corpo stanco di Conrad rimase completamente immobile sulla sua sedia, fatta eccezione per le sue labbra: queste si schiusero molto lentamente, quasi penzolando. Ma ciò che lasciò davvero Catherine senza fiato fu udire ciò che lui disse dopo, con un filo di voce così sottile da essere a malapena distinguibile in quel silenzio soffocante.
-Io non sono Troy-.
Un violento brivido scosse il corpo della ragazza, che non riusciva più a staccare gli occhi di dosso al suo interlocutore. Era rimasta completamente spiazzata da ciò che aveva appena sentito, tanto da chiedersi se fosse tutto vero oppure si fosse trattato di un brutto scherzo giocato dalla sua mente stanca. Non era proprio possibile che quel ragazzo le avesse appena parlato, aveva letto accuratamente la sua scheda clinica e la condizione in cui versava era stata dichiarata senza alcun dubbio irreversibile.
Strinse un pugno, realizzando di avere le mani tremanti e sudate. -Tu... Parli- esclamò. Non si trattava di una domanda, ma di un'esclamazione.
Gli occhi di Conrad si abbassarono e le sue labbra tornarono lentamente a chiudersi. Forse avrebbe voluto dire qualche altra parola ma solo un attimo dopo un suono agghiacciante provenire dal bagno spezzò il silenzio: un grido soffocato, poi un tonfo sordo seguito da una serie di orribili rantoli di dolore.
Doveva essere appena accaduto qualcosa di orribile alla signora Milena.

CatatonìaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora