ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 23

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Una lunga fila luci a led proiettate lungo le pareti bianche di un corridoio, questa fu la prima cosa che gli occhi di Catherine poterono distinguere al suo risveglio. Sollevando le palpebre nel percorse i contorni, per poi mettere progressivamente a fuoco tutti gli altri dettagli dell'ambiente in cui si trovava: una serie di porte tinte di blu, una grande vetrata impolverata, il continuo via vai di medici e infermieri facilmente riconoscibili dai camici immacolati che indossavano. Capì immediatamente di trovarsi in ospedale, ma non in una stanza: era stata sistemata lungo un corridoio sopra a una barella accostata alla parete, e vagando con lo sguardo si rese conto che vi erano altre tre o quattro persone nelle sue medesime condizioni, tutte quante posizionate con le medesime modalità.
Espirò lentamente dal naso.
Percepiva un dolore acuto provenire dalla tua testa, come se fosse appena stata schiacciata da una macchina, mentre il braccio sinistro sembrava gonfio e arrossato.
Con la mente ripercorse molto rapidamente tutti gli eventi che riusciva a ricordare prima del suo risveglio, mentre puntando i gomiti sulla barella rizzava la schiena mettendosi seduta; uno dei medici di passaggio, realizzando che lei si fosse svegliata, la raggiunse poco dopo.
-Come si sente?- le chiese, osservando attentamente ogni sua reazione per verificare quali fossero le sue condizioni psicologiche.
Catherine istintivamente mostrò un piccolo sorriso; era abituata a farlo, odiava che gli altri si preoccupassero per lei e si sentiva come se fosse sempre obbligata a nascondere ogni malessere. -Un po' frastornata...- mugolò, massaggiandosi la fronte con una mano.
Un forte odore di disinfettante pizzicava le sue narici.
-Sì, ha dato una bella botta e si è rotta il setto nasale, per questo si sente così- le rispose il medico. -Ricorda quello che è successo?-.
Stringendo le spalle la ragazza annuì. Ricordava perfettamente l'aggressione di quell'uomo, il modo in cui l'aveva fatta sbattere contro alla parete e l'aveva lasciata a terra; tuttavia, non aveva la più pallida idea di quello che fosse accaduto dopo. Tutto ciò di cui al momento era certamente consapevole era il fatto di essere sopravvissuta, quasi miracolosamente, a una situazione estremamente pericolosa che aveva messo a repentaglio la sua vita.
-Come... Come sono arrivata qui?-.
Quasi stupito dalla domanda, l'uomo in camice sorrise ampiamente. -In ambulanza, ovviamente- le disse. -È stata soccorsa sul posto e portata qui. Purtroppo come vede il nostro ospedale ha raggiunto già da un po' la capienza massima, non abbiamo potuto assegnarle una stanza- le spiegò. -Ad ogni modo le sue condizioni sono buone, perciò non verrà trattenuta molto-.
Visibilmente confusa, la ragazza questa volta si limitò ad annuire. Nonostante si fosse appena risvegliata avrebbe già voluto andarsene via da quel posto, odiava profondamente gli ospedali; ma ancor più di questo, avrebbe voluto far luce su tutto ciò che era accaduto mentre lei era priva di sensi. Chi aveva chiamato l'ambulanza, tanto per cominciare?
Fu proprio mentre pensava a questo che allungò casualmente lo sguardo oltre le spalle del dottore, accorgendosi di una figura familiare che stava percorrendo il corridoio a passo svelto; pur facendo inizialmente fatica a mettere a fuoco la sua immagine, non esitò un secondo a riconoscere la camminata spavalda e sicura di Dave, che era solito far dondolare vistosamente entrambe le braccia.
-Chiami se ha bisogno di qualcosa- le disse il medico prima di allontanarsi; ma lei, con gli occhi puntati sull'ex fidanzato che si stava avvicinando alla sua barella, non lo degnò di una risposta. Sentì le sue budella attorcigliarsi, non riusciva proprio a credere che lui fosse davvero lì.
-Oh, eccoti qui-. Dave era vestito in modo piuttosto elegante; suoi suoi capelli corti, rizzati verso l'alto con un considerevole utilizzo di gel, erano adagiati un paio di occhiali da sole con lente a specchio e troneggiavano sul volto spavaldo di un venticinquenne fin troppo sicuro di sé.
Catherine restò in silenzio a osservarlo per una manciata di secondi, così stupita dal ritrovarsi davanti a lui da essere rimasta completamente senza fiato e senza parole; solo un attimo dopo, però, la rabbia le diede modo di abbattere quella falsa parete. -Tu che ci fai qui?- ghignò, ancora intenta a massaggiarsi le tempie.
Il ragazzo si diede un'occhiata intorno e affondò le mani nelle tasche, visibilmente a disagio nel rispondere a qjella domanda. -Ho saputo che eri stata portata qui in ambulanza, mi sono preoccupato-.
Una risatina amara sfuggì dalle labbra della ragazza, mentre assumeva un'espressione sprezzante. -Ma davvero? Eri preoccupato?-. Il tono della sua voce non era tanto intriso di rabbia, quanto di profonda delusione; dopotutto, quella davanti a lei era la stessa persona che pochi giorni addietro l'aveva scaricata con uno stupido messaggio dopo oltre due anni di relazione. Quale rispetto poteva mai meritarsi, a questo punto?
-Ok senti Catherine- ribatté lui, irritato. -Questo non ha niente a che fare con noi. Anche se è finita, credo di avere il diritto di preoccuparmi per te-. Le si avvicinò e tentò di afferrarle una mano ma lei prontamente la ritrasse, come avrebbe fatto con uno sconosciuto del quale non si fidava per niente.
-Tanto per cominciare, non c'era alcun bisogno di venire qui- ribatté aspramente, aggrappandosi al bordo della barella così forte da sentire le mani pulsare. -Perché sto bene. O meglio stavo bene, prima di vederti-.
Dave scosse la testa con una smorfia, sistemando distrattamente gli occhiali poggiati sul suo capo. -Mi dispiace per come sono andate le cose, dico davvero- continuò. -Avrei dovuto parlartene molto prima, lo so, ma non sapevo proprio come fare-.
Lo sguardo di Catherine incrociò il suo, trasmettendogli una sensazione gelida. Detestava quel suo atteggiamento lavativo, il modo in cui pensava di poter parlare con lei come se niente fosse mai accaduto. -Ma certo...Lei è qui?- gli domandò, riferendosi ovviamente alla nuova compagna, colei con la quale era stata sostituita, interrompendo bruscamente quella che fu la loro storia d'amore.
Il ragazzo annuì. -Mi aspetta fuori, ma non sono venuto per parlare di questo- le fece notare. Tentò ancora di stabilire un contatto con la ragazza poggiando delicatamente una mano sulla sua spalla; questa volta, per qualche motivo, lei lo lasciò fare.
-Ho saputo che sei stata aggredita, che non si è trattato di un incidente- continuò.
Un breve silenzio precedette la risposta muta di Catherine, che si limitò ad annuire.
-Chi è stato?- chiese ancora il ragazzo. -Devi denunciarlo, Catherine-. Nonostante tutto, a giudicare dal suo atteggiamento lui sembrava sinceramente preoccupato.
In quell'istante, come un fulmine a ciel sereno, nella mente della ragazza si accese un pensiero che fece rivoltare le sue viscere: Conrad doveva trovarsi ancora all'interno dell'appartamento, in balia dello zio e della nonna, a meno che nel frattempo non fosse intervenuta la polizia.
-Chi ha chiamato i soccorsi? Te lo hanno detto?- domandò, sollevando la testa di scatto.
Dave indietreggiò di un passo, liberando il corridoio al passaggio di una barella vuota spinta da un infermiere. -Sì, è stato il tipo a chiamare- disse. -Il... Il ragazzo di cui ti occupavi-.
Travolta da un tornado di emozioni, Catherine strinse le mandibole e sospirò lentamente. Soltanto adesso ricordava che nelle sue ultime memorie prima del collasso Conrad era vicino a lei, mentre cercava di recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni; doveva aver utilizzato le sue dita per sbloccarlo, in modo da poter chiamare i soccorsi.
Deglutí a vuoto, la sua gola era completamente arida. Che cosa era accaduto durante il lasso di tempo in cui lei era stata soccorsa e trasportata in ospedale?
-Conrad...- mormorò, con un filo di voce.
L'ex fidanzato annuì con un sorriso. -Certo che è stato sveglio, il tipo. Ti ha praticamente salvato la vita- commentò.
Lei restò per un po' in silenzio, tentando di riordinare i pensieri. -Tu sai... Sai dov'è adesso?-.
Dave scosse la testa. -Non ne ho idea, è intervenuta anche la polizia quindi... Beh, suppongo che la faccenda sia complicata-.
-La polizia?- esclamò lei, quasi gridando. Non poté fare a meno di pensare che quella fosse davvero una splendida notizia, poiché significava che probabilmente anche Conrad era stato portato in salvo. Se la faccenda della famiglia Page era giunta alle orecchie delle forze dell'ordine, allora vi erano ottime possibilità che amche lui fosse stato tratto in salvo.
-Esatto- rispose il ragazzo, iniziando a ciondolarsi con fare nervoso. -Sentì, Catherine, io adesso dovrei andare- disse poi, evidentemente in imbarazzo. -Volevo solo assicurarmi che stessi bene, per cui...-.
-Vai- gli rispose lei senza alcuna esitazione, nascondendo abilmente quanto pronunciare quella parola le avesse in realtà fatto male. -Non preoccuparti più per me-.

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