Capitolo VII: Uneven Odds

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The Universe Began With our Eyes Closed


Capitolo VII: Uneven Odds




Giorno 87



Harry è in sala d'attesa.

Si tiene la testa fra le mani, gli occhi chiusi, perché tutto in quella stanza è bianco e lucido, e quella luce è troppo forte per le sue retine, per la sua testa. Non sa da quanto tempo è seduto su quella sedia, aspettando che qualcuno gli dica qualcosa.

Louis ha smesso di respirare, e Harry non sa neanche perché.

La bile gli graffia la gola ancora una volta, mentre le immagini di quella mattina riaffiorano nella sua mente. Non ha mai provato una paura simile, mai una simile incertezza; è come se la terra su cui camminava fosse crollata improvvisamente e Harry non sapesse più dove appoggiare i piedi. È come essere in caduta libera, di continuo, di continuo.

E se fosse morto?

Harry non riesce neanche a concepire quel pensiero nella sua mente. Una luce così potente non potrà mai spegnersi così in silenzio, senza avvertire. Una stella non esplode da un giorno all'altro. Pensa alle stelle, Harry, centinaia di migliaia di anni luce lontane da lui – pensa a come noi possiamo solo vederne il passato, e mai il presente – quando osserviamo una stella morire, è già successo, anni prima, e quella è solo un'immagine antica, un fotogramma di un momento già passato e andato – e se fosse la stessa cosa per Louis? Se l'immagine che Harry ha di lui fosse solo un fotogramma del passato?

E se fosse partito così, senza neanche una parola, un addio, un a presto?

La porta si apre.

Appena alza gli occhi, Harry spera, quasi si immagina, di vedere Louis sorridergli, ridere, abbracciarlo, dirgli che era solo uno scherzo – ma è un'infermiera. La consapevolezza che forse non lo vedrà mai più, che forse l'ultima volta che ha potuto vedere il suo viso è stata mentre era steso su quella barella, con un tubo ficcato giù per la gola e gli occhi chiusi – dottori e infermiere che urlavano cose incomprensibili e Harry che non sentiva niente, non sentiva niente – non si è preso neanche un attimo per osservarlo bene, forse per l'ultima volta – non può essere morto, non così. Non ora.

"Jay?"

Gli occhi dell'infermiera sono puntati su qualcuno al di là di Harry, e Harry vorrebbe mettersi in ginocchio e sbattere le mani per terra, fare qualcosa, perché non ce la fa più ad aspettare – non riesce a stare con quel dubbio un secondo di più.

"Allora, Daisy?"

Harry è vicino alla porta, e non può fare a meno di ascoltare, perché almeno la loro conversazione lo distrae un po' dall'abisso che è diventata la sua mente.

"E' stabile. Fortunatamente l'hanno portato qui prima che il cuore smettesse completamente di battere."

Harry non sente voci per alcuni secondi, così alza lo sguardo sulle due donne davanti a lui. L'infermiera le ha appoggiato una mano su una spalla, mentre la donna si copre il viso con una mano.

"Jay, sta' tranquilla. Non è ancora il momento."

La donna rimane in silenzio per un momento, prima di chiedere: "Ma chi ha chiamato l'ambulanza? Non ho visto Zayn qui."

Harry alza gli occhi, le orecchie che fischiano, la testa vuota, e lui sa chi è Zayn.

"C'era un altro ragazzo. Credo sia lui." dice l'infermiera, indicando Harry.

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