CAPITOLO 2: NUOVI,IMPORTANTI VOLTI

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Uscimmo dall' appartamento; faceva freddo, nonostante fosse

Il primo di luglio, ma io stavo bene al freddo, dico sul serio. Adoravo quella nebbia mattutina, mi faceva sentire a casa, in qualche modo.

Salimmo sulla macchina che ci avevano noleggiato e che poco dopo mi decisi di acquistare, ma quella, è un'altra storia; un Mercedes GLE 63 faceva comodo no?

"Sembriamo del posto con sto bolide." Ironizzai.

Elia rise, ma era una risata debole, quasi forzata; era preoccupato, teso. Gli chiesi se c'era qualcosa che non andava.

"È la nostalgia zio, tutto questo mi ricorda quando giocavamo insieme; sono solo scosso, vedrai che quando stiamo in ufficio sto già meglio"

Annuì con la testa, sperando che fosse tutto vero, e mi misi a guidare, la strada non era trafficata e arrivammo alla sede che risedeva a pochi passi dal campo di allenamento, in circa 3 minuti.

Una volta scesi dalla vettura, vicino all' entrata della sede, iniziarono i flash dei fotografi; cavolo se erano fastidiosi, forse era il poco sonno che mi faceva questo scherzo, ipotizzai. Entrammo. L'ufficio era in fondo al lungo corridoio con moquette nera, la luminosità era bassa e le pareti erano bianche.

Entrammo nell'ufficio e il presidente ci accolse con un grandissimo sorriso e una calorosa stretta di mano. Iniziò a conversare in inglese, ma so, e sapevo bene il tedesco e lo interruppi subito per faglierò sapere. Poco dopo, senza neanche sedermi presi dal taschino della giacca la mia penna stilografica che mi porto sempre dietro e firmai il foglio per l'ingaggio.

Poco dopo, su un foglio diverso, fece la stessa cosa Elia; li capì che quello era la primissima parte di quel nuovo inizio di cui avevo parlato a college. Dopo le firme, le foto.

"Bene signori ora fate parte di questo club. Riguardo agli allenamenti e partite, tra qualche giorno arriverà il programma completo, tramite mail. Prima che andiate, però, vi volevo lasciare queste." Il presidente ci diete delle giacche eleganti nere, che sul taschino avevano lo stemma della squadra.

Ringraziammo infinitamente, uscimmo dall'edificio e ci dirigemmo verso la macchina per posare i nostri indumenti per mettere quelli che ci avevano fornito.

"Zi non voglio una giacca elegante; oddio c'è anche una tuta! No vabbè, la metto subito."

Elia non ama i vestiti eleganti, al contrario mio; ora sembravamo un agente dell'FBI e un teenager intento a fare jogging.

Ma ora arrivava la parte più importante: conoscere i giocatori.

Non ho mai fatto l'allenatore, ma so una cosa sola ovvero che i tuoi giocatori sono come i tuoi figli e io stavo per diventare papà.

Ci incamminammo frettolosamente ai campi, sperando di non fare tardi. L'emozione era al massimo, ero ansioso ed elettrizzato allo stesso momento; quella sensazione che mi avviene ogni volta che sono in tensione era ritornata: il cuore sembrava legato a ogni estremità e trainato da dei cavalli, il passo veloce accelerò ancora e quelle briciole di sonno che mi ero portato anche in dirigenza erano sparite come erano sparite tutte le parole che mi ero preparato la sera prima, per presentarci alla squadra.

Alla fine arrivammo presso l'entrata del campo: si entrava in una piccola reception, se così vogliamo chiamarla, sembrava più una sala da attesa di un ospedale, se devo essere sincero: nella stanza non c'era anima viva, mi domandai se era davvero una reception, oppure quattro mura per non lasciare l'entrata vera e propria spoglia, dando la sensazione di essere in un club come si deve, non uno di serie c.

In fondo alla stanza c'era un tornello, e serviva una carta magnetica, da appoggiare sul pad affianco al girello, per accedere all'effettivo campo da gioco.

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