01. Primo capitolo

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"There's nothing here for me on this barren road
There's no one here while the city sleeps
And all the shops are closed
Can't help but think of the times I've had with you
Pictures and some memories will have to help me through"
-Dear God; Avenged Sevenfold

Un anno prima...

La notte era giunta da parecchie ore e le luci della città si disperdevano alle sue spalle fondendosi con le prime stelle che risplendevano nel cielo scuro. I grandi display negli alti palazzi mandavano in onda le solite pubblicità e i rumori di una caotica Tokyo venivano ovattati dal rombo della sua Honda CB259T che sfrecciava per quelle strade incurante della velocità. Il vento sferzava sua testa priva di casco facendo scompigliare i suoi capelli; sapeva che fosse sbagliato andare in moto privo di alcuna protezione, ma era più forte di lui. Voleva sentire il vento sul suo viso, l'aria fredda imbattersi sul suo corpo e tagliare la sua pelle e godere di ogni sensazione che poteva percepire mentre correva sempre più veloce.
"Più veloce. Più veloce" pensava mentre sentiva il rombo del motore mischiarsi al battito accelerato del suo cuore. In quella città stava lasciando tutto: i suoi ricordi, la sua vita, il suo amore ormai finito. Più si allontanava, più metteva forza nelle marce e più sentiva la sua mente leggera.
Voleva dimenticare, ricominciare a vivere.
Andava bene perdere tutto, anche lasciare il motociclismo, se questo gli assicurava di riprendere a respirare.
Solo nell'istante in cui si fermò a un semaforo sentì il suo cellulare squillare. Sbuffò, cliccando sul pulsante di chiamata del suo auricolare, mentre si passò la mano tra la chioma nera sistemando i ciuffi lisci - più lunghi sul davanti - di quel taglio simile al coreano.
«Che vuoi?» domandò spazientito, anche senza vedere il display del suo cellulare sapeva benissimo chi era. Solo lui poteva chiamarlo a quell'ora.
«Seriamente, Mikey? Dove cazzo sei e cosa significa quel biglietto. Torna immediatamente a casa! Emma, io e Shin siamo preoccupati.»
La voce alterata dall'altra parte del cellulare fece ghignare Mikey, un sorriso dolceamaro che si formava sul suo viso ormai incapace di provare vere emozioni se non una facciata di falsa allegria che mostrava a tutti anche se dentro di sé si sentiva ormai morto. Pensò fosse fortunato ad avere una famiglia che si prendesse cura di lui eppure non poté fare a meno di pensare che era giusto così. Era giusto allontanarsi da quella situazione e da tutto quello che comportava.
«Ho preso la mia decisione. Non torno.» tagliò corto mettendo gas alla sua moto nel vedere il semaforo scattare sul verde.
Anche con il rombo del motore riusciva a sentire chiaramente le imprecazioni di Emma al telefono che gli intimava di rientrare. Sapeva di star facendo un torto alla sua famiglia, ma percepiva di non appartenere più a quel luogo.
Tutto era finito quel giorno e sentiva che nulla sarebbe stato più come prima: gli anni della Tokyo Manji Gang erano ormai un lontano ricordo; tutti erano andati avanti con le loro vite, avevano i loro progetti e i loro sogni da realizzare. Solo lui sentiva di non riuscire ad andare avanti, ogni passo in avanti si annullava facendolo tornare irrimediabilmente indietro, come se fosse in un circolo vizioso. Era legato a un passato e a una relazione che non avrebbe mai visto la luce del sole. Era incatenato in quel limbo di ricordi che continuavano imperterriti a ferirgli l'animo.
Ci aveva provato a dimenticare e andare avanti, ma proprio non ci era riuscito: per quel motivo voleva andarsene e ricominciare, soprattutto voleva dimenticare quel viso felice ignaro del dolore che gli causava senza rendersene conto.
Se chiudeva gli occhi riusciva quasi a sentire la sua voce, le mani di Takemichi sul suo corpo e il suo respiro nell'orecchio mentre chiamava il suo nome infinite volte.
A casa Sano erano riuniti intorno al tavolino del soggiorno. Emma era seduta accanto a Ken mentre si accarezzava il pancione ormai al limite. Ascoltava contrariata la chiamata in vivavoce di suo marito con suo fratello, imprecando contro quest'ultimo per avere il cervello di un bambino nel corpo di un adulto.
«Manjiro Sano, torna immediatamente a casa.» gli ordinò Emma con un tono che non ammetteva repliche.
Shin sospirò, appoggiato allo stipite della porta, mentre ascoltava in silenzio e osservava un punto indefinito sul pavimento.
Non si era intromesso, conosceva bene suo fratello e sapeva che se prendeva una decisione nulla l'avrebbe smosso.
Draken poggiò una mano su quella della sua compagna cercando di calmarla per paura che potesse succedere qualcosa alla bambina che portava in grembo.
«Almeno dimmi dove sei così ti raggiungo.» affermò Draken cercando un altro approccio, conscio che fin quando gli sarebbero andati contro non sarebbero riusciti a farlo d'esistere.
«Non è importante dove sono o dove sono diretto. Mi farò sentire appena posso.» affermò quasi urlando per farsi sentire al di sopra del motore.
Quel tratto di strada era deserto, come se pure quella città gli stesse dando il consenso a spingersi oltre e allontanarsi il più velocemente possibile da tutto e tutti.
«Mikey, torna a casa. Non possiamo aiutarti se non ci dici cosa succede.», la voce di Draken divenne dolce nel pronunciare quelle parole che sembravano come una supplica.
Mikey si chiese se davvero non avesse capito il perché di quella scelta o se lo stesse dicendo solo per evitare di dare un'ulteriore sofferenza ai suoi famigliari. Certo, se Emma e Shinichiro avessero saputo che lui aveva avuto una relazione con Takemichi probabilmente l'avrebbero anche capito e appoggiato, del resto non gliene avrebbero potuto fare una colpa se aveva capito di essere omosessuale. Anche se in realtà non sapeva neanche lui se fosse gay o meno, l'unica cosa certa era che quello che aveva provato, e che continuava a provare, per Takemichi andava oltre ogni logica. Nessun'altra donna o uomo era riuscito a fargli provare lo stesso e questo lo faceva infuriare.
Lui, Manjiro Sano, si era reso conto di essere totalmente dipendente da quel ragazzo.
«Rendetemi uno zio orgoglioso. In futuro teniamoci in contatto, Ken-chin.» affermò aumentando ancor di più la velocità vedendo la strada completamente sgombera.
Aveva la testa carica di pensieri, ogni fibra del suo corpo urlava quel nome che voleva assolutamente dimenticare, e mentre metteva sempre più gas, e si allontanava, sentiva il suo corpo e la sua mente più leggeri.
Draken non fece in tempo a controbattere che Mikey gli chiuse la chiamata. In quel momento aveva bisogno di stare da solo con i suoi tarli che pian piano sembravano lasciarlo respirare. La voce di Takemichi che lo chiamava sembrava dissolversi nel vento freddo di quella notte e il suo viso sbiadire nei suoi ricordi.
Le lacrime gli pungevano gli occhi mentre cercava di lasciare che quei ricordi si affievolissero sempre più.
E poi il nulla, solo lo stridere della sua moto che cercò di deviare il furgone bianco a cui tagliò la strada.
Non seppe quante volte rimbalzò, non provò neanche dolore nell'impatto col parabrezza.
Si ritrovò accasciato a terra, senza riuscire ad emettere alcun movimento. La testa gli pulsava e la vista diventò annebbiata, sentiva solo qualcosa di caldo sul viso.
Sbatté più volte le palpebre cercando di combattere contro quella stanchezza che sembrava non lasciargli via di scampo.
«Ta-Takemi...tchy...» riuscì a dire soltanto mentre lasciava che quel sonno prendesse il sopravvento.

The only hope for me is you Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora