Capitolo 3

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Miranda

<<Sei un fallimento. Non hai un cuore. Egoista. Perchè sei nata?. Mi maledico per averti creata. Abominio...>>
<<Smettila...SMETTILA BASTA!!>>

Sussultai. Sentivo il cuore spingere con violenza contro il petto: un incubo. Mi succede spesso quando fallisco, e le parole del preside mi hanno resa vulnerabile. Non posso permettermelo, devo essere l'eccellenza, devo essere la migliore...

Ma non c'è più tempo per rimuginarci sopra perchè, per mio grande dispiacere, oggi c'è la prima lezione di sostegno, e l'idea di rivedere quel cane rabbioso di Harris di sabato pomeriggio, mi innorridisce a dir poco.
Mi vesto comoda: pantaloni neri della tuta a zampa, top bianco aderente smanicato, una felpa nera con chiusura a zip, e le classiche Air Force Nike che non passano mai di moda. Lego i miei capelli in una lunga coda di cavallo morbida e decido di truccarmi quel poco che basta per rendermi presentabile. 'Di certo non mi faccio bella per lui..' Finisco di preparare la mia borsa di tela, che uso di rado solo quando ho bisogno di comodità, e scendo rapidamente le scale. Passo accanto al salotto e cerco di non attirare l'attenzione di Joshua, che è seduto sul divano insieme a quella snob della sua ragazza, che odio. Ma purtroppo quella vipera sente ogni minima cosa e ,nell'esatto momento in cui sto per varcare la soglia di casa, mi ferma. 'Ma porca puttana.'

<<Bene bene, guarda chi si rivede. Non mi saluti?>>
<<Vedi Odette, sono un po' di fretta. E poi non mi permetterei mai di interrompervi durante la vostra maratona di Twilight.>> si. Questa cosa della maratona al Sabato è una loro tradizione da ormai 2 anni. Vomitevole. Quasi quanto la voce di sta cretina.
<<Dove vai.>>
<<A farmi i cazzi miei se non ti dispiace.>>
<<Quando pensi di tornare?>>
<<Sei mia madre percaso? No. Allora vedi di farti un pacco di affari tuoi.>> mi blocca il braccio e mi attira a sé.
<<Razza di mocciosa, quando lo capirai che sei solo uno scarto in questa famiglia?>>
<<Quale famiglia?. >>la liquido velocemente e severamente, perchè sono veramente in ritardo, e quando si parla di scuola non ammetto mancanze. Salgo sulla moto e in pochi minuti raggiungo la scuola stranamente vuota. Grazie alla partita di football tutti i corsi sono stati annullati, tutti tranne il nostro ovviamente. 'Giuro che a quel pelato gli raso anche la lingua'.
Entro nell'edificio e mi avvicino alla mappa affissa sul muro destro dell'entrata per individuare la locazione della classe. 'Aula di sostegno, 405, piano terra' ottimo. Mi incammino e penso già ai mille e più insulti che tirerò a Harris non appena inizierà a fare il galletto. Giro l'angolo e non mi sorprende scoprire che questo sarebbe il momento giusto per farli uscire dalla mia bocca. Davanti a me ritrovo un teatrino niente male: Harris che con voracità stà infilando la sua lingua nella bocca di una matricola: Amalia. 'Cristo mi farà dannare'. È la sorella di quella stronza di Odette, ma è completamente diversa da lei: molto più ribelle e...attratta dai coglioni come lui. Non siamo né amiche né nemiche; la intimorisco, e mi ascolta per questo. Mi schiarisco la voce, incrocio le braccia al petto e mi appoggio sugli armadietti alla mia sinistra. Non appena mi vede Amalia spalanca gli occhi e con fare imbarazzato e in maniera molto rapida fugge via dalla vergogna. Ethan invece lo vedo più...aggressivo, e mi piace terribilmente quello sguardo che assume quando mi vede: fastidio, rabbia, divertimento. Questo esprime il suo volto.

<<Ancora tu..>>
<<La sola e unica. Muoviti, abbiamo una lezione e prima finisce, meglio è per entrambi.>>
Si avvicina a me con fare tranquillo, e quando è a solo qualche centimetro da me, mi intrappola tra le sue braccia appoggiando le mani sugli armadietti.
Si avvicina al mio orecchio destro,per fortuna, e me lo sfiora con le labbra. Questo contatto mi provoca un brivido inaspettato, ma con lo sguardo rimango ferma nella mia apatia più totale.
<<Mi devi una scopata.>>
<<Non ti devo un bel niente. Invece che pensare al tuo cazzo moscio, spostati che siamo in ritardo.>> Con svogliatezza si sposta e, ad addebita distanza, camminiamo verso l'aula. Entriamo e ad attenderci c'è solo una donna sulla cinquantina con due sedie piazzate davanti. Storco il naso mentre dietro di me Ethan sbuffa e farfuglia una delle sue solite battute. Mi giro verso di lui e ci scambiamo un lungo sguardo, come se avessimo pensato alla stessa cosa: noia.

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