Capitolo 4

28 0 0
                                    

Ethan

Porca...puttana.

Quando questa mattina mi sono svegliato con la rabbia che mi scorreva nelle vene, non avrei mai e poi mai pensato di finire il pomeriggio guardando Miranda Cooper ballare come se tutto attorno a lei fosse solo un lontano ricordo. Sapevo che non avrebbe ceduto. Sapevo che il suo orgoglio era di gran lunga superiore all'imbarazzo che poteva esserci: e infatti così è stato.

Non riuscivo a starle dietro con lo sguardo. Volevo guardarla tutta, ma i miei occhi si concentravano su tutti i micro-movimenti che il suo corpo faceva. Sembrava una piuma sull'acqua, eppure non schizzava neanche una goccia.

All'inizio, speravo di farla incazzare così tanto da farla uscire di testa e annullare la lezione. Ma quando ho iniziato ad accompagnare il suo ballo, perchè si sà era solo suo, ho percepito il suo bisogno reale di farlo. È vero, volevo che mi odiasse a tal punto da uscire dalla stanza, ma non in questo modo, non dopo che ogni fibra dal mio essere aveva potuto toccarla. Io amavo il caldo, ma quando lei si è avvicinata mi si è avvolta attorno un'aura di un freddo bollente che mi piaceva. Cazzo se mi piaceva.

Miranda era uscita e la signora Dressot mi guardava come se fosse tutta colpa mia. Io non capisco, ma non mi interessa più di tanto: faccio per mettermi le mani in tasca e andarmene, ma prima di uscire, la signora Dressot mi fa vivere lo stesso momento che deve aver passato Miranda quando ho pronunciato quelle fatidiche parole.

«Hai mai avuto un sogno Ethan? Un qualcosa che sognavi di vivere per tutta la vita?»

«Non sono tipo da stronzate come questa.»

«Mi dispiace per te. I sogni sono ciò che ci liberano da tutte le paure e da tutti i pesi che portiamo costantemente sulle spalle. Il fatto che tu non ne abbia mai avuto uno mi fa capire parecchie cose su di te.»

«Nessuno può capirmi, tantomeno lei che mi conosce da 1 ora, forse meno.»

«Si capiscono molte più cose di quanto immagini il poco tempo. E io lo faccio di lavoro.»

La sua voce calma e tranquilla spegne un po' la mia irritazione, ma ciò non mi impedì di risponderle male. Però non riuscivo a trovare parole per esprimermi; forse, e dico FORSE, aveva ragione lei e io, come un codardo restai in un silenzio assenso. Finché lei non riprese la parola.

«Vai a cercarla e riportala qui.»

Annuii in maniera quasi impercettibile e mi incamminai verso la porta.

«E parlale per l'amor di dio!» mi urlò la psicologa dall'aula.

***

Corsi lungo il corridoio. Mi guardai attorno in cerca della bionda chioma di quella ragazza. Uscì in giardino e sentivo di essere vicino a lei, poichè un profumo di vaniglia mi arrivò alle narici in tempo zero. Ad accompagnare questo odore una voce. La sua voce. Era un sussurro, quasi impercettibile, ma in riformatorio avevo tempo da perdere e mi ero dedicato ad affinare tutti i miei sensi, perciò sentii chiaramente quella voce fastidiosa che però avrei riconosciuto tra mille.

Era seduta dietro un albero, accovacciata. Pensavo stesse piangendo ma in realtà stava solo cantando tristemente. Mi appoggiai con la schiena dall'altra parte dell'albero: mi accesi una sigaretta e quando lei sentì il mio accendino smise di cantare e mi attaccò subito.

«Sò che sei te. Vattene.»

Non risposi subito. Soffiai una boccata di fumo e sospirai, quasi per riprendere fiato, perchè cazzo la sua voce era illegale.

«No. Sto solo fumando.»

«Non mi interessa se stai fumando o ti stai facendo una sega te ne devi andare punto!»

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: May 04 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

CONTACTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora