17| teniamoci la mano, io e te, tra i girasoli.

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SGRASSATORE PER CUORI!

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SGRASSATORE PER CUORI!

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Jimin si massaggiò il fondoschiena con le sue mani, che si riempirono di terriccio a contatto con i jeans. Se lo scrollò via, ma era ormai tardi: il fango e l'erba avevano macchiato il tessuto. Peccato, quello era il suo paio preferito: un'edizione limitata del modello skinny di Balenciaga prodotto nel 1980. Una rarità!

Il sole si affacciava tra le soffici nubi e rischiarava il cielo coi suoi raggi. Abbassò gli occhi sui ciottoli per il sentiero, ché la luce accecante investì il suo volto.

Non si mosse per una manciata di minuti, colto alla sprovvista dal dolore fisico, che cominciava a esser più formicolante e intenso. Non sollevò la gamba né i polpacci, temendo di soffrire una fitta lancinante. Sicuramente il suo sangue colava, mescolandosi alla fanghiglia e a ciò che rimaneva di quei jeans laceri.

Perdere l'equilibrio era elettrizzate, aveva ancora la pelle d'oca. Sentire la terra cedere sotto i suoi piedi, e sbatterci sopra, in tutta la sua solidità, lo sorprese.

Il cesto, nell'impatto, si svuotò bruscamente e il suo contenuto si riversò tutto lungo i bordi della strada. Lanciò un'occhiata ai frutti violacei, ora ammaccati, e alle volpi che li annusavano e li raccoglievano con i loro denti. Si ringhiaron addirittura a vicenda, ma non prestarono la minima attenzione al ragazzo che le scacciava e neanche a lui. Provò a raccoglierne un paio e proteggerle come meglio riusciva. L'estraneo, quindi, s'avvicinò suggerendo con i gesti di posare il misero raccolto al suo posto. Non pareva infuriato e, magari, incidenti simili gli accadevano assai spesso.

Le volpi, soddisfatte della loro succulenta caccia, se ne fuggiron via. Jimin le fissò sparire tra gli arbusti.

«Non riesci a sollevarti? Non volevo ferirti. Scusa.» Gli porse la mano per aiutarlo a rimettersi sui suoi piedi. Jimin lo scrutò vagamente infastidito e rifiutò la sua gentilezza senza batter ciglio. Il contadinello, come aveva deciso di soprannominarlo, non smise di sorridergli un attimo e ritirò il braccio in silenzio.

«Il mio nome è Jung Hoseok. Ti sei forse smarrito?» Riprovò ad attaccare bottone. Tuttavia, ricevette lo stesso trattamento distaccato. Jimin si alzò e prese a scrollarsi le vesti, controllando i vari strappi causati dalla colluttazione. Non ci voleva proprio, pensava.

«Lavori in campagna? Sai parlare il giapponese, o?» Quel tale, Hoseok, scandì le sue parole come fosse il più grande idiota sul suolo della città - o meglio, sul suolo della campagna. La sua condiscendenza, mista a quell'inopportuno tono premuroso, risvegliò in lui un'ira fiammeggiante e primordiale che il suo corpo stesso faticava a contenere. E le sue ossa vibrarono, quasi fossero le tesissime corde d'acciaio di un'arpa.

«Ma è ovvio che so parlarlo... E molto meglio di te!» Sbottò. Il succo di prugna aveva reso le sue manine insopportabilmente appiccicose. Voleva liberarsi al più presto di questo scocciatore e andarsene via da lì. Uscire era stata una trovata pessima, terrificante.

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