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Marinette era finalmente serena. Sapeva che dentro di lei qualcosa era cambiato, ed ora era più tranquilla. Dopo aver affrontato a tu per tu un discorso con Adrien, dove dubbi e incertezze erano definitivamente svaniti, lei era riuscita ad abituarsi alla presenza del suo vecchio amico d'infanzia. Certo, non così abituata da non irrigidirsi quando lo aveva difronte, ma aveva superato lo shock del suo ritorno a Parigi ed ora riusciva a parlargli senza alcun problema. Ed era anche un ottimo capo, doveva ammetterlo. Era in grado di rimetterla in riga nonostante la simpatia che intercorresse tra i due, ed era davvero ma davvero bravo nel suo lavoro. Riconosceva le stoffe di ogni tipo, sapeva individuare quali tipi dovessero essere usati per determinati vestiti, e poi, bisognava concederglielo, aveva davvero stile in tutto ciò che faceva. Non per nulla era letteralmente amato da tutte le donne che lavoravano lì (grandi e non).

Ma quella mattina avrebbe voluto far a meno del comportamento rigido del signor Agreste: era in ritardo. Di nuovo. Il motivo era più buffo del solito (aveva accusato la lavatrice di averle fatto sparire i calzini quando in realtà erano sotto il letto) ma come avrebbe mai potuto giustificare una sfuriata contro un elettrodomestico? Per fortuna a quell'ora la metro non era così affollata, ed era riuscita appena in tempo a prenderla. E si era anche vestita al buio: jeans e una semplice camicia bianca a maniche corte. Capelli? Una bella coda alta. Ormai il caldo si faceva sentire. Specie se si correva sotto il sole per evitare il ritardo circondata da centinaia di persone puzzolenti su un mezzo pubblico. D'altronde, Parigi era anche quella. Una città splendida, la più bella del mondo, ma pur sempre sporca, puzzolente e... con i suoi abitanti un po' particolari.

Cinque fermate ed era arrivata al suo ufficio. Solo dieci minuti di ritardo. Ma che equivalevano a seicento secondi, e per i signori Agreste erano decisamente troppi. Così si intrufolò nell'ufficio quattamente, non avendo neanche i tacchi che facevano rumore. Si guardò a destra e sinistra: nessuna traccia di un ipotetico nemico. Solo una Sophie rassegnata che la guardava sospirando. Ma ormai era fatta, due passi e sarebbe entrata nel suo studio. Le bastava afferrare la maniglia e...

«Marinette Dupain-cheng!»

Eccola che rizzava i capelli come fosse un gatto impaurito. La voce di Adrien l'aveva immobilizzata, e ancora di più percepiva la figura avvicinarsi a lei. Ormai non aveva scampo, la preda era stata accalappiata dal predatore e sarebbe finita nelle sue fauci. Morale: licenziamento.
Ma lo avrebbe affrontato a testa alta, e così si girò verso di lui. Inspirò.

«Scusi per il rit-»

«Devo discutere con te di alcune cose»

Fece il ragazzo. Poggiato con l'avambraccio sul muro accanto a lui mentre la guardava dall'alto sorridendole. Cos'era, uno scherzo? La calma prima della tempesta? Marinette avrebbe rischiato di impazzire! Ma ovviamente si limitò a tacere e a seguirlo nel suo studio.
Uno studio davvero umile. Ovviamente umile si fa per dire. Non solo era il più grande e il più spazioso di tutto l'edificio, ma era arredato nei minimi dettagli: pareti dipinte di grigio, scrivania di legno di Noce Nazionale puro, lucidato e modellato perfettamente. La poltrona era di pelle nera, sintetica, ma comunque molto pregiata. E ovviamente non poteva mancare un computer di ultima generazione, forse il più costoso che c'era nel campo.
C'era da rimanere a bocca aperta per il lusso, ma non da stupirsi ricordando quanto Gabriel volesse solo il meglio per il proprio figlio.

Adrien richiuse la porta dell'ufficio dopo averci fatto entrare la ragazza, che invitò a sedersi davanti la sua scrivania.

«Allora, Marinette...»

«Otto sveglie!»

Adrien la guardò confuso.

«G-giuro che metterò otto sveglie, la mattina! So che sono un disastro, ma davvero, è più forte di me! Non so come...»

Seven years || Miraculous ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora