Il mare davanti a me si rompeva nelle sue increspature, come un cavallo imbizzarrito. E forse proprio come quelle rabbiose onde il mio animo era scosso. Non era rancore, non era ira, non era tormento, era solo una dilaniante e malinconica attesa. Ero seduta sulla stessa panchina, sulla panchina di sempre, con il suo legno usurato di un castano invecchiato. La salsedine mi inebriava il respiro e forse si sedimentava sulla pelle del mio volto. Le mie mani stringevano delicatamente, ma decise, forse aggrappandosi, un mazzo di fiori di ogni colore. Era stretto a me quel pegno d'amore, quell'ingombrante presenza e continuo promemoria. Aspettavo da ore, da giorni, da mesi quella promessa, quella promessa disperata... Non mi ero vestito elegante, sapevo che nell'eventualità non sarebbe importato, sarebbero bastati gli sguardi e quell'ipnotica connessione dei nostri occhi: i suoi caldi e neri, i miei malinconici e castani. Forse dai miei sarebbe scesa una lacrima e, di conseguenza, i suoi avrebbero sorriso gentili e divertiti dalla fragilità dei miei. E aspettavo, aspettavo... Non sapevo se in bene o forse invano. Aspettavo quella pelle e il suo sorriso, quei corvini ricci e il suo dolce viso. Ma soprattutto aspettavo un giuramento di cui ero stato privo, delle sue labbra e del mio nome nella sua voce. Aspettavo però anche il rispetto del mio esistere, del mio esserci per lei, del mio amore provato su questa panchina davanti al mare. E intanto il sole calava e si faceva il crepuscolo su di me, con il rischio che la notte mi cadesse addosso, nell'attesa.
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Writober 2023
Short StoryPer 31 giorni vi accompagnerò con miei piccoli racconti, da scoprire di giorno in giorno.