CAPITOLO 4 - Connessioni

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Era il grande giorno. E quel grande giorno cadeva purtroppo in mezzo alla settimana. Per cui Clara aveva dovuto prendere un giorno di permesso a lavoro, nonostante sapesse bene di aver finito da un pezzo la sua scorta di ferie accumulate. Bob Carnet non sarebbe stato affatto contento. Di sicuro pensava – come molti – che per partecipare ad una semplice festa, dodici ore di preparativi erano un tempo totalmente esagerato. Peccato che quella a cui avrebbe partecipato Clara non era una semplice festa. E poi la persona in questione era la stessa che, a Natale, considerava il massimo dell’eleganza abbinare ad un completo senape e marrone, una cravatta con sopra stampato un grosso “Merry Christmas”. E con questo dato, la questione era bella che conclusa.
Clara quella mattina aveva molto su cui lavorare e giusto per incominciare da qualcosa, aveva ripescato da un angolo remoto del mobiletto che aveva in bagno, il suo personale kit per le unghie. Era lì che stava cercando di decidersi tra i colori naturali che aveva – che comunque non possedevano il fascino intramontabile del nero – quando Tommy le annunciò una persona inattesa alla porta.
<<Trasmetti da telecamera due>> comandò lei al suo assistente.
Questo eseguì e allora in salotto si materializzò l’immagine bidimensionale del corridoio oltre la sua porta d’ingresso.
Lì, proprio nel mezzo, c’era la sagoma di una persona dalle spalle larghe e una testa piena di capelli selvaggi. Conosceva solo un uomo con quella caratteristica.
<<Come diamine ha fatto a salire?>>
<<Non saprei signora>> rispose Tommy. <<Il video comunicatore esterno al palazzo è perfettamente funzionante. Il portone non è stato forzato>>.
Clara andò subito ad aprire.
Khalybri era davanti a lei, con indosso una giacca di pelle nera, così come il resto del suo abbigliamento. Aveva un aspetto letale, come se fosse stato un sicario inviato a compiere un lavoro sporco. La guardia del corpo la sondò da capo a piedi, l’occhio androide che dilatava la sua pupilla fino ad inghiottire quasi del tutto l’iride color smeraldo, riproduzione perfetta dell’ occhio sinistro. Forse, accoglierlo in canotta e pantaloncini corti, non era stata una buona idea.
<<Ho cercato di chiamarla, signorina Chop, ma il suo telefono risulta spento>>.
<<Il mio telefono è acceso. Quello del signor Ghutier invece, è ancora nella scatola>>.
A sentire quella risposta, la faccia del uomo si impietrì. Khalybri si prese qualche secondo. Alla infine, disse: <<Bene. Sono venuto per portarle questo>>.
Cacciò dalla tasca del suo soprabito un astuccio di velluto. Lo aprì e glielo avvicinò per mostrarle il contenuto. Era una pillola, piuttosto grande, trasparente, con microscopici e brulicanti puntini neri al suo interno. Clara aveva letto di quegli affari, ma non credeva che un giorno ne avrebbe visto uno da vicino.
<<Ti prego, dimmi che non è quello che penso>>.
L’uomo alzò un sopracciglio.
<<Se lo dico, le mentirei>>.
La bocca di Clara si piegò in una smorfia.
<<Sono contento di non doverle spiegare di cosa si tratta>>.
<<Credevo di dover tradurre personalmente>>.
<<E lo farà. Per la Signora Ghutier. Telepaticamente>>.
<<Dannazione!>>
Suo malgrado, Clara prese la pillola. L’avrebbe ingerita più tardi, con un grosso bicchiere di vino. Solo per aiutarla a sciogliere la tensione, ovvio. Infondo, avere una massa di nanorobot attaccati all’emisfero sinistro del cervello, che si sarebbero prodigati nel trasmettere le informazioni  dalla sua mente a quella di una multimiliardaria, era una prospettiva che avrebbe reso nervoso chiunque.
Khalybri sogghignò appena e salutandola le disse che si sarebbero rivisti presto.
<<Prometto che la prossima volta sarò vestita meglio>> disse Clara, camuffando il disagio dietro ad un sorriso.
La guardia del corpo era già dieci passi lontano da lei. Indugiò ancora una volta con lo sguardo sul suo outfit casalingo. Un luccichio sinistro balenò sulla superficie del suo occhio più minaccioso.
<<Non potrà essere meglio di così, mi creda>>.

Palazzo Minchumina distava appena quattro chilometri da New Anchorage. Era una costruzione trasparente che si affacciava su un lago, da cui prendeva il nome. Era uno dei pochi laghi rimasti invariati dopo l’innalzamento del livello dei mari. Quando, un paio di secoli fa, l’originale Anchorage fu sommersa, si pensò di ricostruire proprio lì, per dare alla nuova città un valore simbolico. Palazzo Minchumina fu uno dei primi edifici tecnologici costruiti in quell’epoca, cosa che non era da poco. Perché l’umanità intera, prima dei floridi tempi che vivevano, era stata testimone di disastri ambientali di ogni genere, di siccità mai viste che avevano stravolto le nazioni. I loro stessi confini erano stati cancellati fino a trasformare del tutto l’intera superficie terrestre. La povertà e l’indigenza aveva regnato per lungo tempo. E di conseguenza, il progresso, come molte altre cose, aveva subito una battuta d’arresto. Ma poi, grazie ad uno sforzo politico ed umano senza precedenti, c’era stata una ripresa.  A prendersi il merito della magnificenza di quella costruzione edilizia, simbolo della rinascita di quella nuova era, fu proprio la Ghutier Construction. Ad oggi, Palazzo Minchumina era il vanto che nessuno poteva negargli. L’evento di beneficenza a cui era stata invitata Clara non era l’unico che aveva approfittato della storicità di quell’edificio. Ce n’erano stati molti, ovviamente, e tutti esclusivi. E mai una volta Clara aveva mancato di sognare di farne parte, di varcare finalmente quella soglia con un invito ufficiale. Dunque quello, per lei, era un vero e proprio sogno ad occhi aperti. 
Si trovava lì da appena mezz’ora e già aveva contato una ventina di persone famose. Affianco a lei c’era Khalybri, che si era fatto trovare in limousine davanti al suo palazzo,  appositamente per accompagnarla fin lì. Era stato un intervento necessario, poiché da quando il Signor Ghutier si era presentato nel suo distretto, Clara era stata costantemente perseguitata dai paparazzi. E tutto questo, Clara, ancora doveva decidere come la faceva sentire. Quello di metterle a disposizione una guardia del corpo e una limousine, era un gesto galante, certo, ma sapeva bene a cosa mirava l’uomo d’affari. L’intento principale del Signor Ghutier era – come lui stesso aveva precisato - quello di impressionare l’opinione pubblica. Ogni sua mossa, anche se pareva frutto di nobili intenzioni, era studiata con pragmatica astuzia. Non si arriva al successo proprio in questo modo?
Clara si era posizionata tra una parete in vetro ed una colonna, apparentemente fatta dello stesso materiale. Quelle pareti erano come degli schermi TV che, in perfetta sintonia con l’ambiente, trasmettevano immagini interattive di animali estinti e non. Alcuni ti fissavano curiosi, altri si lisciavano sornioni il pelo, altri ancora sbattevano le ali e planavano da un angolo altro della sala. Il pavimento rifletteva un vuoto cristallino: si poteva intravedere, attraverso l’oscurità della notte, un manto erboso lontano dai propri piedi almeno una ventina di metri. Tutto ciò dava l’impressione di essere sospesi in aria dentro una fragile bacheca, dalla quale si poteva osservare con ammirazione il selvaggio paesaggio dell’Alaska a ovest, lo skyline di New Anchorage ad est. In alto invece, l’immenso cielo faceva loro da soffitto. Era uno spettacolo da mozzare il fiato, che poteva migliorare ulteriormente con l’insorgere dell’aurora boreale. O almeno, così dicevano le persone che si erano trovate ad assistere. Nel frattempo, in mancanza di quella, la magia hi-tech aveva riprodotto del pulviscolo iridescente tridimensionale, che pareva venire giù dal soffitto danzando e piroettando intorno alla gente e ai tavoli imbanditi.
Tutta quella stupefacenza metteva soggezione. Perciò Clara continuava a controllare che il suo outfit fosse impeccabile attraverso il riflesso della colonna a cui si era fatta amica.
Il vestito regalatogli da Abram le calzava a pennello. Era tagliato in diagonale dalla spalla sinistra al fianco destro, cosi da mettere in risalto il profilo sinuoso del collo e dunque anche una parte della sua cresta dorsale. Il petto era in evidenza quel tanto che bastava, senza farla sentire a disagio. I suoi fianchi stretti erano valorizzati dalla gonna vaporosa del vestito, che si apriva a ruota e che le si fermava appena sopra le caviglie. Il nero poi del velluto, insieme ai dettagli argentati, le davano importanza senza tuttavia appesantirla. Tra i capelli corti si era sistemata un bel fermaglio, datole in prestito dalla madre. E si era persino truccata – certo! Margaret si era preoccupata di accertarsene in video chiamata. Prima di uscire Tommy le aveva scattato una foto, in modo da avere un parere da Abram. Lui era stato più generoso coi complimenti, rispetto a quelli sempre un po’ critici dei suoi genitori. Clara ne era stata talmente lieta, che se avesse avuto il detective a portata di mano, gli avrebbe di certo dimostrato quanto, rovinandosi il rossetto.
<<Siete nervosa, signorina Chop>> constatò Khalybri. Non si era mai allontanato da lei, ma aveva parlato così poco che quasi si era dimenticata di averlo affianco. Eppure, un uomo come lui, sarebbe stato difficile da dimenticare per chiunque.
<<Un po’>> rispose Clara, minimizzando.
<<Non ne avete motivo. Siete splendida>>.
Clara lo ringraziò, sorpresa di ricevere da lui un altro complimento. La prima volta aveva avuto paura di fraintendere, ma ora era stato abbastanza chiaro. Solo in quel momento si rese conto che la guardia non aveva alcuna mutazione visibile che rendeva chiara la sua classe di appartenenza. Forse era per via del suo occhio androide che aveva tralasciato quel dettaglio? Khalybri era un uomo che emanava un’aura magnetica, oscura ma intrigante in egual modo. Era facile dimenticarsi di cere cose, quando un tipo come lui ti era vicino.
Clara cercò un pretesto per iniziare una conversazione.
<<Il signor Ghutier si è privato di una delle sue migliori guardie del corpo per una semplice traduttrice. Mi sembra esagerato>>.
Khalybri fece un sorrisetto, mettendo in risalto una parte della sua dentatura perfetta.
<<La maggior parte delle donne ne sarebbero lusingate, invece>>.
<<Credevo che fosse chiaro che io non sono tra questa maggioranza>>.
<<Già, questo è più che evidente>>.
Clara lo guardò incuriosita ed ebbe il presentimento che nascondesse qualcosa di più, dietro quella maschera da efficiente e fedelissimo soldato.
<<Khalybri, anche tu sei un Alpha?>> arrivò subito al dunque.
Avrebbe dovuto chiederglielo in altro modo? Era stata troppo sfacciata?
Khalybri la fissò, l’occhio destro che sotto le luci della sala rifletteva strani riflessi rossi, quello sinistro che invece semplicemente la studiava. Dopo essere rimasto immobile per un lunghissimo momento, si sistemò con una mano i ricci, portandoseli dietro l’orecchio. Al contempo, volse lo sguardo davanti a sé, verso la bella gente. Così Clara ebbe la sua risposta. Khalybri non era un Alpha 1.
<<È sempre così diretta con gli uomini?>> chiese la guardia del corpo.
<<Lo sono all’occorrenza, Khalybri. E comunque puoi darmi del ‘tu’>>.
Lui si ravviò i capelli, così che le sue orecchie mutanti– molto simili a quelle di un pipistrello – tornarono a nascondersi sotto di essi.
<<Non accadrà mai, finché sarò al servizio del signor Ghutier. Ma lei può chiamarmi semplicemente Khal>>.
Il naso di Clara si arricciò appena, perciò fu brava a dissimulare quanto fosse contrariata. Tuttavia, un bravo osservatore, avrebbe per lo meno intuito che non era affatto tranquilla. La irritava, infatti, che Ghutier Senior avesse tutto questo ascendente sulle persone. E a proposito di uomini influenti, il magnate in persona fece il suo ingresso insieme alla consorte proprio in quell’istante.
Tutti gli invitati in sala, compresi i camerieri, si fermarono ad ammirare la splendida coppia. Partì un grande applauso, che l'Alpha cercò pacatamente di frenare. Teneva le braccia in alto e larghe, come se volesse raccogliere l’intera folla con quelle. Poi sorrideva. Sorrideva tanto.
La moglie invece, la Signora Ghutier, era il ritratto dell’austerità. Ma solo in viso. Il resto di lei era vivo, sfarzoso e tremendamente desiderabile. Il suo corpo flessuoso era avvolto da un vestito bianco che si avvaleva di una maglia di catene d’oro per dar sfoggio di sé. Questa rete cadeva dritta e pesante dalle spalle fino a terra, quasi come un armatura. Era certamente un capo di abbigliamento poco pratico da indossare, ma di sicuro effetto. Sulla testa della donna, tra i capelli biondi intrecciati, c’erano borchie appuntite e sfaccettate che riflettevano la luce, apparendo così, minacciose e intriganti al tempo stesso. Tutti, Clara compresa, fecero fatica a distoglie gli occhi da quella visione. 
<<Non so dirvi quanto vi sia grato>> prese a dire Ghutier Senior, con voce altisonante. <<Ho l’onore, anche quest’anno, di avervi qui con me, nel quattordicesimo evento di beneficenza dedicato alla ricostruzione della nostra amica Russia, devastata dalla guerra civile>>.
La gente in sala fece partire un applauso fragoroso. Il magnate cercò di nuovo di placare l’entusiasmo e continuò poi a parlare. Khalybri, intanto, si avvicinò all’orecchio di Clara.
<<Ha ingerito la pillola che le ho portato?>>
<<Certo>> confermò lei, piuttosto mestamente.
Proprio in quell’istante, nella mente di Clara si amplificò una voce femminile. Questa voce sussurrava in lingua straniera parole di disprezzo e di risentimento, che Clara riuscì a comprendere solo dopo un grande sforzo. A rendergli ardua l’impresa, fu da prima la velocità con la quale queste parole si erano ripetute nel suo cervello, poi il modo enfatico con il quale erano state pensate, generate, dalla mente che le aveva trasmesse. Ogni sillaba e vocale infatti, erano intrise di emotività, tanto da rendere l’interpretazione quasi impossibile. Era come se, girando le manopole di una vecchia radio, Clara stesse cercando di sintonizzarsi sulla frequenza giusta, provando al contempo, a leggere i sottotitoli di un film Russo. Perché Russo? Perché era in quella lingua che la voce mentale della donna stava insultando Ghutier Senior, apostrofandolo con epiteti tanto coloriti quanto crudeli.
<<Accidenti>> sussurrò Clara, portandosi una mano alla fronte. Khal la sostenne appena notò che l’equilibrio le stava venendo a mancare.
<<Tutto bene?>> chiese.
<<Bene! Certo. Mi hanno appena scaricato nel cervello una valanga di odio maritale>>.
<<È riuscita a comprendere cosa diceva?>>
<<Chi?>>
Clara era confusa. La voce nella sua testa aveva rallentato, ma continuava ad usare un tono aspro, che divorava le parole, lasciandone molte a metà.
<<La signora Ghutier è di Tula, una città a sud di Mosca>> la informò Khal. Poi, stupito, chiese: <<Quante lingue parli?>>
Clara alzò un sopracciglio.
<<Siamo passati al tu?!>> Gli fece notare la dimenticanza. Subito dopo, aggiunse: <<Comunque, il Russo è stata la terza lingua che ho perfezionato all’università. Da ragazza avevo intenzioni più nobili. Volevo lavorare sul fronte come mediatrice>>.
Khal, da prima impressionato, si fece contemplativo, fino a chiudersi in un ermetico silenzio. Nel frattempo però, l’evento che li circondava era andato avanti. Ghutier Senior aveva concluso il suo discorso con un brindisi e aperto le danze, per così dire, agli invitati, che per lo più sembravano interessati al buffet. Con una piroetta elegante la coppia  facoltosa scese dal palco e si diresse con disinvoltura proprio verso Clara e il suo accompagnatore.
<<Come sta, signorina Chop? È tutto di suo gradimento qui?>> Le chiese conviviale il signor Ghutier. E lei, decise di non essere da meno.
<<Come potrebbe non esserlo, signore. Questa location è magnifica>>.
L’uomo annuì soddisfatto, dopodiché con una mano sospinse appena la moglie verso Clara, come per invogliarla a partecipare alla conversazione. Nella mente della donna, c’era un mormorio confuso che a stento Clara riuscì a sentire. Sembrava che la signora Ghutier avesse tutto ad un tratto abbassato il volume dei suoi pensieri, apposta per non farseli carpire. Forse, si domandò, quelli di prima le erano sfuggiti? Comunque le due donne si scambiarono uno sguardo veloce, carico di tensione. Nessuna delle due aveva idea di cosa fosse più opportuno dire.
<<Perdoni mia moglie, signorina Chop. Lei viene da una cultura dove le parole sono spesso superflue. È per questo che non sa come esprimere la felicità di vederla qui questa sera. E soprattutto, le è grata per il servizio che le sta offrendo, vero cara?>>
La sua signora, che grazie ai modi melensi del marito, aveva avuto abbastanza tempo per ritrovarsi, rispose: <<Le sono grata, signorina Chop. Le sono grata per essere sopravvissuta a James, apposta per essere qui con noi oggi>>.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 12, 2023 ⏰

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