01. In principio era il caos

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Faceva freddo.

Nonostante settembre non fosse nemmeno iniziato, l'aria notturna era tutt'altro che piacevole. Il leggero venticello tirava da ovest, basso e continuo, e mi obbligò a stringermi nelle spalle. Occhieggiai allora l'altro lato della strada che stavo percorrendo, con le mani infilate nelle tasche del cardigan scuro che indossavo, e notai un gruppetto compatto di ragazzi e ragazze che ridevano tra loro, davanti all'entrata di un locale la cui insegna si illuminava a malapena. Nessuno di loro si accorse della mia presenza, quindi distolsi l'attenzione e continuai a camminare verso una meta che ancora non conoscevo.

Forse non era stata una buona idea avventurarmi da sola per le strade di Cleveland, ma ero arrivata il pomeriggio precedente e avevo passato le ventiquattro ore successive a svuotare scatoloni; e dopo aver analizzato il mio guardaroba, avevo poi constatato che necessitavo di indumenti nuovi e più adatti a quel clima.

Mentre camminavo, mi dedicai allora a osservare i negozi che costeggiavano i marciapiedi. Erano tutti chiusi, eccezion fatta per i pub, dai quali entravano e uscivano persone a intervalli più o meno regolari.

Mi ero a malapena accorta che il sole era tramontato da un pezzo, e infatti occhieggiai il mio orologio da polso, che segnava le dieci e un quarto di sera. Se fossi stata più cosciente sarei tornata a casa, ma non avevo davvero voglia di farlo, perciò continuai a camminare verso la parte opposta della città.

Mi fermai soltanto davanti all'ennesimo pub, poiché qualcuno aveva aperto la porta e un profumo di cibo mi aveva investito le narici; il mio stomaco rilasciò un breve brontolio, e nonostante avessi fame, decisi tuttavia di non entrare e proseguii con la mia passeggiata notturna. La piccola borsa a tracolla mi sbatteva contro un fianco, mentre dall'altra parte tenevo la busta del negozio in cui ero riuscita a comprare giusto pochi indumenti, poiché alla fine mi ero innervosita e avevo abbandonato l'idea di rifarmi il guardaroba quello stesso pomeriggio. L'avrei fatto il giorno successivo, o quello dopo ancora, d'altronde non avevo alcuna fretta.

No, non avevo fretta. Non più.

Una lieve morsa all'altezza del petto mi fece rilasciare un sospiro rumoroso. Ero arrivata da ventiquattro ore e già sentivo la mancanza di San Diego. Non ero una patita della spiaggia, ma sentivo la mancanza del mare californiano. Non ero una fan sfegatata delle feste, eppure sentivo perfino la mancanza dei raduni estivi, nei quali la musica che risuonava all'aperto copriva qualsiasi altro suono.

E mi mancava Harper, la mia migliore amica. Ci eravamo sentite per telefono quella stessa mattina, e nel frattempo in cui svuotavo altri scatoloni, l'avevo ascoltata blaterare riguardo una festa a cui aveva partecipato la notte precedente. "Senza di te non è stato lo stesso", aveva proferito d'un tratto, dopo aver sospirato. Mi si era stretto il cuore, ma avevo cercato di mascherare il mio malessere interiore con una breve risatina. "Io ti avrei obbligata a tornare a casa un'ora dopo", avevo ribattuto.

Decidere di lasciare la mia vecchia vita a San Diego per trasferirmi a più di tremila chilometri di distanza non era stato di certo facile, ma si era rivelato necessario dopo ciò che era accaduto. Tuttavia, era come se una parte fondamentale di me fosse rimasta in California, ma confidavo nel potere del tempo ed ero convinta che quella strana sensazione, prima o poi, sarebbe svanita nel nulla.

Non ebbi neanche il tempo di realizzare dove realmente fossi, quando mi resi conto di essermi effettivamente persa. Non conoscevo la città, però il giorno prima avevo fatto un breve giro turistico in auto con mio padre ed ero riuscita a individuare il centro; in quel momento, invece, mi accorsi di aver proseguito troppo, e non ricordavo nemmeno dove avessi svoltato.

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