Riprogrammarsi

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Ripresi a ricostruire la mia rete sociale. Con difficoltà ritornai in
contatto con alcuni amici, cercando di reagire anche quando le energie non ce n'erano. Mi feci forza. Dopo alcuni mesi riuscii ad avere una vita normale, ma vuota. Quell'esperienza mi aveva
segnato per sempre. Ripresi ad uscire con altre compagnie, ma
sempre con lo stesso senso di vuoto che accompagnava i miei
momenti solitari. Il vuoto era diventato il mio compagno di vita.
Non credevo più a nulla.
Le nuove frequentazioni femminili duravano l'arco di qualche settimana, addirittura a volte l'arco di una sola notte. Troppo poco entusiasmo per buttarsi in altre storie, non credevo più alle relazioni di coppia, non credevo più a nulla. Passai più di un anno in questa condizione quasi asettica, senza provare il benché minimo sentimento o la minima emozione, quasi congelato.
E poi una serata di novembre di due anni fa, anomala per una
città come Roma, dal cielo nero scendeva una leggera pioggerellina fastidiosa che non si limitava a bagnare solo i
vestiti ma penetrava fino alle ossa. Il freddo pungente condiva
tutto in un clima più milanese che romano. La mia nuova
conoscenza, la mia nuova incolpevole e inconsapevole amica.
Solare e trasparente, bella, di una bellezza sincera, nulla di
artefatto o costruito, pura nella sua semplicità. Non ne ero
innamorato, ma stavo davvero bene con lei. Tuttavia dentro di
me sentivo che i nostri incontri sarebbero terminati presto. In me c'era la forte convinzione che una storia prima o poi finisce: ero attento ai campanelli d'allarme, li avevo sentiti questa volta.
Decisi di continuare consapevole di questo. Avevamo trovato un
equilibrio, forse solo apparente.
Continuammo per alcuni mesi, poi scattò in me la paura, il
timore che io potessi farle del male. La vedevo più coinvolta, la
vedevo presa dalla storia più di quanto non fossi io. La lasciai
andare e chiusi la possibilità di creare una relazione. Temevo di
farmi male di nuovo, potevo farlo a lei. Se c'è una cosa che in
questi anni mi sono sempre promesso, è che non voglio essere per nessun'altra persona quello che la donna manager è stata per me.Nessuno deve pagare colpe non sue. Non avevo cercato rivincite o rivalse ma in alcuni atteggiamenti mi vedevo freddo, cinico e distaccato. Parlavo anch'io di paura d'amare, di blocco emotivo.
Troppo simile a lei, la mia nuova amica non meritava questo.
Ora mi mancano i suoi sorrisi, i suoi abbracci e i suoi grandi
occhi verdi, ma credo che a volte voler bene a una persona
significa anche lasciarla andar via. Eppure la vista di quelle foto,
di quella compagnia al suo fianco, mi ha fatto male.
Davanti a me una distesa grigiastra... un'immensa colata
d'asfalto. Il cielo cupo e triste aumenta quel senso di malinconia, nessuno intorno a me. La distesa grigiastra si muove lentamente liberando nell'aria un odore acre misto tra salsedine e acqua stagnante. Lo chiamano mare, il mare di Roma. Il mare d'inverno aiuta, non parlo dei benefici naturali dello iodio, ma aiuta quel senso di tristezza e di malinconia a manifestarsi, alleggerendo l'anima di un peso. Spesso l'inverno mi trovo qui a fissare un punto all'orizzonte per cercare delle risposte

CàpitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora