È scappare questo?

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Era una serata di novembre di due anni fa, anomala per una città come Roma. Dal cielo nero scendeva una leggera pioggerellina fastidiosa che non si limitava a bagnare solo i vestiti ma penetrava fino alle ossa, il freddo pungente condiva tutto in un clima più milanese che romano. Eravamo rimasti d’accordo per una passeggiata serale a Trastevere, ci eravamo accordati il pomeriggio stesso, e non che, quel pomeriggio, il tempo fosse migliore. Una passeggiata a Trastevere è quello che ci vuole come prima uscita. Lei carina, dolcissima, una tipica bellezza del sud, calda nel
carattere e di una simpatia coinvolgente. Quella sera parlammo a lungo passeggiando per i vicoli, tra una pozzanghera, una raffica di vento e qualche brivido di freddo. Bella l’impressione che mi fece. Fino a quel momento avevo passato gli ultimi anni della mia vita da single, felicemente single.
Avevo frequentato e conosciuto molte donne in quegli ultimi
anni e attraverso queste esperienze avevo scoperto molto di me stesso. Avevo scoperto, ad esempio, il piacere di essere solo, di vivere solo. Forse la paura dell’ennesimo fallimento e tanta
disillusione verso quel sentimento chiamato amore mi avevano in quegli anni a rimanere single. Lei era diversa rispetto alle altre, lei era speciale. Riconoscevo in lei tante cose che mi piacevano e che avrebbero potuto spingermi a frequentarla con impegno, chissà, magari instaurando un rapporto di coppia. Quel tipo di rapporto che in passato, però, mi aveva schiacciato, svuotato e ucciso il sentimento. Tuttavia negli anni avevo imparato anche ad ascoltarmi: sapevo di non dover sottovalutare né il richiamo
della mia libertà né la paura del fallimento.
Cominciammo a frequentarci. Dentro di me sapevo che lei
poteva essere la persona giusta, non che io fossi in cerca della
persona giusta, ma lei aveva le caratteristiche della persona che a me piace. Riflettevo molto su questo: il richiamo della libertà e le mie paure spingevano per lasciarla andare, troppo pericolosa per me o forse troppo pericoloso io per lei.
Il nostro rapporto continuò per alcuni mesi, le mie riflessioni si
facevano sempre più frequenti e costanti: mollare perdendo una
persona che in definitiva non chiedeva di più di quello che io ero disposto a dare o continuare nascondendo a me stesso quella
voce che mi suggeriva l’epilogo scontato di una storia già vissuta? Inizialmente decisi di continuare, di vivere alla giornata.
Lei sempre carina e dolcissima riusciva ogni volta a strapparmi
un sorriso. Quante volte mi sono frenato! Quante volte avrei
voluto donarle la luna. Quante volte avrei desiderato di
manifestare l’emozione del momento. Sapevo che era solo un
momento, e che l’indomani avrei ripreso a pensare alla mia
libertà. Ora mi manca, mi mancano le sue risate, i suoi abbracci, i suoi occhi verdi. Non posso tenerla legata a me, non è giusto. È giusto che lei sia libera di vivere la sua vita. Che male la vista di quelle foto!
“Hai paura di vivere un rapporto” mi disse quando decisi di chiudere con lei. Mi disse che stavo scappando, che lei era
disposta a mettersi in gioco ma che io volevo solo scappare. Non
da lei ma da me stesso. Per me era l’esatto contrario, per la prima volta in vita mia non stavo scappando, soprattutto da me stesso.
Ero lì fermo davanti al mio dolore, davanti alle mie paure e per la prima volta le stavo guardando in faccia. Le stavo sfidando. È scappare questo?

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