3. Agli ordini Coach!

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Per me non è un problema dover ritrarre qualcuno, anzi ritengo che il corpo umano sia tra le cose più belle esistenti al mondo proprio per la sua diversità e unicità; ogni corpo ha la forma, dimensione, colore e aspetto. Cosa c'è di più bello nell'essere unici? 

Eppure, mentre mi guardo allo specchio alla ricerca di qualcosa da mettermi che non mi faccia sembrare una botte che mi segna nei punti sbagliati, faccio fatica a credere a quello che penso, soprattutto se accanto a me ho Rosie che si sta provando una minigonna inguinale da capogiro.

«Come sto con questa?» fa un giro su se stessa con le braccia allargate.

«Bene, ma non credi sia un po'... eccessiva per le prossime due ore che dovremo passare a bordo campo?»

«Nulla è mai troppo eccessivo se vuoi attirare l'attenzione di qualcuno.»

Prendo dall'armadio dei pantaloni a palazzo a vita alta e recupero un dolcevita tortora a manica corta. «E Logan è quel qualcuno?» le guance le si colorano di rosso. «Non ti è bastato quello che è successo l'anno scorso?»

Non voglio essere stronza e ricordarle quanto ha sofferto per lui, a insaputa di Logan ovviamente. Rosie si è presa una sbandata per lui che a distanza di un anno ancora non le è passata.

«Però già che siamo finiti in coppia insieme è un segno, no?»

No. «Potrebbe essere. Andiamo?» mi infilo gli anfibi, recupero la cartellina da disegno controllando di avere tutto l'occorrente e ci avviamo verso i campi sportivi dietro all'ultimo edificio, dove di solito frequento le mie lezioni.

Arriviamo che ci sono già altri compagni di corso, tra cui anche Dawson.

«Ho preso i posti migliori.»

«Che carino, non dovevi.»

«Ma figurati.»

«Dico davvero, Dawson...»

Mi spinge con una spallata beccandomi della solita noiosa.

Apro la cartellina e tiro fuori un foglio nuovo completamente bianco, scelgo di utilizzare una matita a mina morbida e dai tratti sottili, così sistemo la punta con il temperino e aspetto guardandomi intorno.

Ad un certo punto un fischio richiama l'attenzione di tutti e in fila di due i nostri prossimi modelli raggiungono il campo. Non indossano la divisa, hanno comunque dei vestiti tecnici con tutte le protezioni varie. Il coach li fa sistemare in fila indiana di fronte a noi. L'imbarazzo che provo svanisce non appena ci guardano con sufficienza. Posso leggergli la parola "sfigati" in faccia.

«Tigers, vi prego di accogliere con educazione e professionalità gli studenti del Laboratorio di Arte, che si impegneranno in un progetto fino alla fine del semestre. Vi prego non fatemi incazzare.» quest'ultima frase la sussurra, ma io la sento benissimo e riesco a trattene a stento un sorriso per via di due occhi blu come la notte più profonda che mi inchiodano sulla panchina. «Siete stati messi in coppia, quindi chiedo all'artista di raggiungere il proprio compagno.»

Fantastico, è tipo la camminata della vergogna.

Man mano ci alziamo dalla panchina e ci affianchiamo a colui che dovremmo ritrarre, e non appena mi avvicino a Derek posso sentire benissimo lo sbuffo che rilascia con tutta l'aria nei polmoni.

Iniziamo bene...

«Comportatevi da persone adulte quali siete, il primo che fa una cazz... cavolata o che si rivolge all'altro in modo non adeguato lo caccio via dal campo. Che sia uno dei miei o della Rogers. Intesi?»

«Sì Coach!»

«Sto parlando con tutti quanti voi!»

Il suo tono mi fa sobbalzare e tutti quanti come dei bravi soldatini rispondiamo all'unisono: «Sì Coach!»

Torniamo a sederci ai nostri posti e impugniamo le nostre matite iniziando a preparare il foglio da disegno. Ancora non ho idee su come rappresenterò il mio compagno, però mi piacerebbe fare qualcosa che ritraesse il suo ruolo, quello del capitano e non di un qualunque giocatore nella squadra.

Il coach inizia ad urlare comandi su come muoversi, nuovi schemi di attacco e difesa e su come la strategia del gioco sia importante. Li incita anche se stanno giocando tra di loro e li mette in competizione in modo da tenere alta la concentrazione e la voglia di vincere a tutti i costi.

Sono talmente tanto concentrata sull'osservare come si muovono sul campo che il mio foglio, a dispetto di quello di Dawson, è ancora bianco.

«Hai intenzione di disegnare o cosa...?»

«È tutto qui dentro», picchietto la matita sulla tempia. Sto registrando ogni movimento di Derek e mentre osservo l'intera figura muoversi in un'estensione completa per afferrare la palla e cadere a terra sulla linea del touchdown, vengo percorsa da un brivido nello stesso istante in cui il suo copro si scontra e si incastra perfettamente con quello di Logan.

Sono consapevole delle loro protezioni addosso, ma il rumore dei muscoli che si scontrano con altri muscoli mi fa sciupare la saliva. Afferro la borraccia e bevo qualche sorso.

«Già incantata dai loro fisici?»

«Dawson pensa a disegnare.»

Derek e Logan si tirano in piedi battendosi qualche pacca sulla spalla, mentre io li guardo sconvolta: hanno appena fatto un volo di qualche metro, corpo contro corpo e nessuno dei due mostra segni di stanchezza o dolore, se non un po' di fiato corto.

Abbasso immediatamente lo sguardo quando gli occhi di Derek incontrano i miei e scivolano lungo la mia figura.

Non ho mai avuto modo di intavolare una conversazione con lui, se non l'anno scorso durante una festa dove mi sono presa della sfigata asociale e penso anche della gattara. Ero occupata a non piangere davanti a tutti e beccarmi ulteriori offese e insulti.

Da allora ho smesso di frequentare feste continuando a fare quello che ho sempre fatto.

Ma lo sguardo di Derek ha qualcosa di forte e profondo che mi fa perdere tutte le sicurezze che sono consapevole di avere, come, per esempio, la capacità di vincere al gioco di sguardi. Con Dawson vinco sempre. Con Derek posso solo che perdere.

L'allenamento finisce e con esso anche la mia giornata, seguo Dawson lungo il campo e mi avvio all'uscita quando una mano forte mi afferra il polso e mi fa girare. Derek punta gli occhi nei miei, lo sguardo ancora intenso riporta la sua concentrazione nel gioco; piccole gocce di sudore gli scorrono lungo le tempie e le ciglia imperlate risaltano gli occhi blu oceano.

«Hai bisogno di qualcosa?» Chiedo con un filo di voce.

«Sì, che tu non mi faccia fare una figura di merda con questo stupido progetto.» La sua voce graffiante e tagliata dalla fatica mi perfora la pancia e mi fa provare un fastidio viscerale che quasi vorrei vomitargli sulle scarpe da gioco.

Vedo Dawson fare un passo avanti, pronto a prendere le mie difese, ma non ne ho bisogno.

«Non ti preoccupare, l'unico che può farmi fare una figura di merda quello sei tu.»

Lo vedo boccheggiare ma non gli lascio il tempo di rispondere perchè ormai sto raggiungendo l'uscita dal campo con passo veloce, ma appena entro in stanza lancio tutto l'occorrente sulla scrivania e mi siedo sul letto con gambe molli e le mani tremanti. 

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