Cervello ammuffito

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Sicuramente è colpa dell'umidità e di questo caldo afoso se il mio cervello si è così tanto ammuffito fino a incepparsi. 

Sento che dalle rughe della mia corteccia stanno zampillando come piscio tutti i miei pensieri e le mie certezze, lasciando solo un guscio secco e vuoto come solo il cervello di uno della mia età può esserlo. 

Non so più a cosa stavo pensando, ma per qualche motivo mi è spuntata davanti agli occhi l'immagine del ghigno del Lucchesi, con i suoi incisivi sporgenti e il suo labbro leporino. Storia triste quella del Lucchesi, l'ennesima a cui ripenso in questi giorni. Era stato mio compagno di classe alle superiori e aveva trascorso la maggioranza della sua vita da adulto in un ufficio di contabilità. La sua placida quotidianità venne interrotta solo quando sua figlia si traferì a Milano per studiare al Politecnico. Per mantenerla lassù a studiare, il Lucchesi ogni giorno usciva dal suo ufficio, faceva un salto a casa per cambiarsi, ed usciva nuovamente la sera tardi per fare il portapizze. A sentirlo parlare, quello era il lavoro migliore del mondo. Certo, la paga non era certo abbondante, ma almeno il motorino che usava era quello della pizzeria e il proprietario, che si comportava da amicone, non era un tipo così esigente nelle prestazioni, e se un dipendente prendeva una pausa tra una consegna e l'altra, neppure si lamentava. Una volta mi disse che veniva pagato sostanzialmente per andare a giro per Soffiano in motorino, come faceva da ragazzo. «Buon per te!» gli dissi. Sì, mi sembra che gli dissi proprio così, "buon per te!", e due anni dopo venni a sapere che uno stronzo col Range Rover alle undici di un mercoledì sera era passato col rosso ad un incrocio e aveva buttato a terra il Lucchesi e il suo motorino, polverizzandogli il femore, le rotule e la possibilità di pisciare in piedi per il resto della sua vita. Ho allenato così tanto la mia immaginazione che ormai riesco anche a ricreare la scena dell'incidente. Vedo la via di notte, buia e silenziosa, scorgo il motorino della pizzeria buttato in un angolo della strada, ammaccato e con i fanali rotti, nell'aria si sente l'odore di sangue e di carne bruciata, e riesco a immaginarmi l' espressione di disperazione sul volto del Lucchesi mentre fissa le sue gambe maciullate e si rende conto che tutto il futuro della sua famiglia era finito in frantumi per colpa di quella capricciosa e della quattro formaggi spiaccicate sull'asfalto accanto a lui e che avrebbe dovuto consegnare. E sento il suo grido, il motore del Range Rover ancora acceso, e il frinire impassibile delle cicale del rione.

Poco tempo dopo l'incidente, sua figlia tornò da Milano. Altre notizie non mi sono mai arrivate.

Ecco, io a differenza del Lucchesi ho la pensione a mantenermi e in generale non esco quasi mai, se non per andare all'edicola qui vicino o per fare la spesa.

Ma se un giorno, puta caso, magari proprio mentre sto tornando a casa dall'edicola, uno stronzo col Range Rover mi dovesse mettere sotto, ecco, io non solo spero che nessuno mi soccorra, ma prego Dio o chi per lui di farmi sbattere forte la testa contro qualcosa, che sia l'asfalto, il gradino del marciapiede o, ancora meglio, contro il cofano dello stronzo in questione. Piuttosto che fare la fine del Lucchesi preferisco la demenza o la morte, nondimeno.

Perché?

Innanzitutto, appare ovvio, ci sono le complicazioni inevitabili della vita da disabile. In quanti posti potrei andare in carrozzina? Forse riuscirei ancora a fare la spesa, ma i musei? E i cinema? E i locali? Per non parlare poi degli autobus! Se si riesce anche a conservare un minimo di desiderio di socialità, di fronte a tutti questi fastidi, alla fine a uno gli passa anche la voglia di uscire di casa. L'ultima volta che ho visto il Lucchesi è stata prima della morte di mia madre, circa venti anni fa, e nessuno del nostro gruppo di amici lo ha più visto in giro. Se uno anche sopravvive alla noia e alla decadenza della vecchiaia e al rosicchiare lento e inesorabile delle prospettive future, una vita del genere rischia di impigriti se non opponi un po' di resistenza, se non ti impegni con le tue forze a renderla vivace, o anche solo un po' intrattenente. Che cosa rimane, se non la noia inevitabile dell'esistenza, di questa vita così poco entusiasmante?

E poi, c'è la questione più semplice. Mentre il Lucchesi ha una moglie e, a suo malgrado, una figlia che possono preoccuparsi per lui, aiutarlo, scambiargli una parola ogni tanto, se un giorno, sempre per ipotesi, anche io finissi in carrozzina, chi si occuperebbe di me, eh?

Non ho una donna con me, né tantomeno figli, e mio padre e mia madre sono morti. A chi mi appoggerei? Anche solo pensare a questa cosa mi riempie di una tristezza infinita. Finirei probabilmente nelle mani di medici, infermieri, assistenti sociali, terapeuti, personale sanitario... Dio me ne scampi! Sono troppo orgoglioso, troppo coerente per svendere a questa gente la dignità della mia vita di clausura, la solenne solitudine che mi sono costruito! Che senso avrebbe uscire dal mio guscio ora che sono debole, infermo e vecchio solo per gettarmi tra le mani di gente che non mi conosce e che si occupa di me solo per lavoro?

Quindi, a questo punto, preferirei che lo stronzo in Range Rover mi facesse la cortesia di farmi venire un po' di innocua demenza. Mi danneggi pure il cervello, brutta testa di cazzo che ha rovinato la vita di una persona e della sua famiglia, a questo punto potrebbe anche farmi il piacere di stracciare via qualche porzioncina di corteccia da questo cervellaccio e farmi perdere un po' la testa, mi procuri un po' di innocua follia! Mi allontani dalle mie miserie, mi faccia correre e saltellare per le strade come un bambino, senza più giudizi o sensi colpa! Mi faccia perdere questa coscienza opprimente, questo giudice crudele che la gente come me desidera solo di mettere a tacere! Ma se proprio non può farlo e le risulta una cosa troppo difficile, mio caro signore, limitarsi a far perdere la ragione a una persona, allora vorrei che il mio cervello venisse spappolato dal cofano del suo Range Rover come un budino di carne, senza possibilità di recupero. Una morte secca, a strappo, come togliersi un cerotto, il cosiddetto farmaco di Epicuro, o la cura di Battiato. È troppo da chiedere? Non è un ragionamento sensato? Se lo dicessi a qualcuno, concorderebbe con me, vero? Ma sì, sono certo che mi darebbe ragione! Oddio, adesso mi ricordo a cosa stavo pensando all'INIZIO, so come sono arrivato a pensare al Lucchesi! Stavo pensando a questa semplice verità che mi era balenata in testa! E cioè che quando vivi in uno stato miserabile come il mio, di solitudine assoluta, la cosa peggiore che ti può capitare non è avere bisogno di qualcuno, ma restare lucidi!

La lucidità è la prima fonte di disgrazia dell'esistenza umana, e sicuramente è fonte di disgrazia per la mia vita, e prima la perdo, prima guarirò!

Ora sento un gran bisogno di bere. Mi accorgo che sto parlando da solo dall'inizio, e che dalla cucina mi sono spostato in salotto. Dovevo finire di caricare la lavastoviglie, e adesso mi ritrovo a fissare il quadro di natura morta sopra il mio divano, con ancora indosso i guanti di gomma presi dal lavandino. Sconsolato, mi giro su me stesso e torno da dove sono venuto. Quindi è questo il genere di cose a cui si pensa quando si arriva a quest'età? Si tratterà di un normale processo fisiologico? In ogni caso, per un po' sarà meglio che mi tenga lontano dalla strada: sia mai che un giorno vedendo davvero avvicinarsi a me un Range Rover ad un incrocio io non faccia qualcosa di stupido.

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