Giovedì

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Oggi è giovedì, e come ogni giovedì è venuta a trovarmi Kamila. Abbiamo concordato come giorno il giovedì, perché è il giorno in cui ha l'ora di religione e, dato che non la frequenta, può venire prima a casa mia. Kamila, dopo essersi tolta le scarpe, si è messa a sedere sul divano, e ha appoggiato a peso morto la testa contro il guanciale. Sembra più abbattuta del solito. Ha detto che è stanca per via dello studio: ha paura dell'esame di maturità, ma non perché abbia paura di non passarlo, ma teme di non ottenere un punteggio finale abbastanza alto.

«Perché pensi tanto al voto della maturità? Tu sei sempre stata brava» le dico.

Kamila scuote il capo e sospira. Indossa dei pantaloncini corti e una maglietta bianca con il disegno di un coniglio.

«Lascia perdere, non importa» mi dice «Oggi cosa c'è da fare?»

«C'è il bagno da pulire, e poi dovresti passare lo straccio in camera e in cucina»

«Solo questo?» si gira inarcando le sopracciglia folte e accavallando le gambe. Imbarazzato, annuisco, ma sento che c'è qualcosa di strano.

«Va tutto bene?»

La ragazza sposta lo sguardo e scivola con le gambe sulla punta del guanciale. Col dito inizia ad annodarsi i capelli ricci e neri come il piombo e d'un tratto mi pare assorbita in una profonda malinconia.

«No, nulla» risponde alla fine «Quando si mangia?»

Oggi sembra parecchio nervosa, per cui è meglio non insistere troppo con le domande, mi dico. Non mi sembra giusto ficcare troppo il naso negli affari che non mi appartengono, specie se si tratta di lei.

«Dammi dieci minuti e ti chiamo» e appena dico questo, fuggo in cucina, dove ad attendermi trovo il pollo alla pizzaiola e le zucchine e le cipolle in padella. Sono estremamente cosciente di me stesso, probabilmente a causa del lungo tempo che ho trascorso da solo, per cui posso dire con piena competenza in materia che ho pochissime qualità, tra le quali spicca il non essere una completa disgrazia dietro ai fornelli. Tuttavia, c'è da precisare che dietro questa mia passione culinaria non si cela una genuina passione, bensì la sincera e schietta necessità di preservare la mia sanità mentale. Quando sei solo, e non hai nessuno intorno a te e non esci quasi mai di casa, l'unica cosa che può aiutarti a differenziare ogni giorno dall'altro (in altre parole, a non impazzire) è imparare a cucinare bene. La pigrizia e l'abitudine uccidono la vita, e cosa c'è di più vitale per uno sciagurato se non mangiare qualcosa di diverso ogni giorno? Ho sentito amici, soprattutto vedovi o vecchi soli come me dire che mangiavano pasta con tonno almeno quattro volte la settimana, alternate a uova al tegamino oppure pane e burro, perché "è più comodo e veloce così", alcuni addirittura mangiavano queste robe per almeno un mese di fila. Io mi chiedo ancora adesso come abbiano fatto queste persone a non uscire fuori di testa. Sono convinto che se seguissi il loro esempio e riempissi la dispensa di scatolette di tonno, ceste di uova, affettati e formaggi, in tempo due settimane mi ritroverei in impermeabile a mostrare il mio coso ai bambini di fronte agli asili, perché è questo il genere di cose che manda in cortocircuito la gente normale: metti un uomo a mangiare solo uova e formaggio tutti i giorni, e vediamo che succede. Nonostante tutto, cucinare mi fa stare bene, è divertente, e lo è ancora di più quando posso cucinare anche per qualcun altro. È il mio modo per scusarmi (sia con Kamila che con me stesso) per l' aver assunto una ragazzina delle superiori come donna delle pulizie. Lei è la figlia di una donna del condominio che abita al piano di sopra. Un giorno ho incontrato la madre per le scale, e di colpo mi ha chiesto se potessi assumere sua figlia per farle fare dei lavoretti in casa mia, roba di pulizia. Era la prima volta che parlavamo, neanche sapevo come si chiamasse. Mi disse che avevano bisogno di soldi, e che era stata sua figlia a offrirsi per lavorare come donna delle pulizie (cosa che poi Kamila confermò il primo giorno che venne in casa mia). La trovai molto scortese. Cercai in tutti i modi di rifiutare, ma la signora era furba, e giocò la carta del senso di colpa. Raccontò di come si sentisse isolata dai suoi colleghi di lavoro, di come non fosse riuscita a creare una rete forte di amicizie, escluse quelle tre o quattro donne conosciute al centro di accoglienza per i migranti e mi disse che le sembrava di avere intorno una bolla che la estraniava dal nostro quartiere, impossibile da perforare. Inoltre, aveva capito dalle chiacchiere del condominio che non ero di certo un rincoglionito con la lupara in braccio pronto a sparare a chi avesse la pelle di un altro colore dal mio, e sperava che io non la ignorassi come avevano fatto gli altri. Alla fine, mi sono ritrovato costretto a darle retta. E tutto questo durante una delle mie rarissime escursioni verso l'esterno! Come sa essere infame il destino!

KamilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora