Capitolo uno Giulia, domenica 27 marzo 2016, Monza

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Le frange degli ombrelloni colorati danzano col vento che scombina i capelli. Sabbia, fine, sotto ai piedi. Non hai idea di quanta luce ci sia vicino al mare, non riesco a tenere gli occhi aperti. Ci sei tu, bellissimo, che cammini sul bagnasciuga. Costa Azzurra, viaggio di nozze, prima­vera 2009. Felice. Tanto.

Tanto.

Vento. Profumo di creme abbronzanti, odore d'estate, chiacchiere da spiaggia. Scogli. C'è la voce del mare tra gli scogli. Parla il mare. Parla sempre il mare vicino agli scogli. Una lingua che non so. Agli scogli il mare li racconta i suoi segreti. Al mare li puoi raccontare i segreti. Bambini. Loro non li hanno. Cercano le conchiglie, i bambini, d'esta­te al mare su una spiaggia vicino agli scogli. Ce ne sono di bellissime davvero. Se gli uomini le usassero al posto del denaro la povertà non esisterebbe. Potremmo tutti trovare le nostre conchiglie sulla spiaggia e poi scambiarcele.

«È tua questa?».

«Sì».

«Posso vederla?».

«Sì».

«Complimenti, è proprio una bella conchiglia, ti ci potresti comprare la felicità».

Costa poco la felicità, se ci sei tu al mio fianco.

Siamo in barca, a vela, di papà, mare ovunque, prima azzurro, poi verde e poi ancora blu, sempre più scuro. Le onde battono regolari sulla chiglia. Vento in poppa. Diciotto nodi che gonfiano il fiocco, ri­empiono i polmoni e svuotano i pensieri. Rotta verso Cannes, Îles de Lérins. Rosso, di quando chiudi gli occhi controsole. Sale, sulle labbra. Tu, al timone. Diamanti, che si accendono e si spengono sopra il pelo dell'acqua, mare e orizzonte senza terraferma. Tutto qui. Non serve nient'altro. E poi ci siamo noi, a galleggiare sopra e sotto questi due infiniti blu e a tutta questa profondità. Nudi. Ci amiamo e basta. Senza fine e senza paura. Un giorno il mondo si dimenticherà di noi ma ades­so, adesso siamo infinito.

Rumore della pioggia che batte sul tetto. Mi sveglio con gli occhi riempiti di incrostazioni cercando d'impulso Luca con la mano. Non trovo nessuno. Rimango interdetta come quando sei certa di qualcosa ma poi l'evidenza dei fatti ti smentisce. Realizzo di essere sola. Guar­do istintivamente nel punto in cui si addensa l'oscurità più profonda. Paura congenita del buio. Il cuore mi batte nelle tempie, forte, fortis­simo. Trovo a tastoni l'interruttore. Il passaggio dall'oscurità alla luce è repentino e violento, pensieri lenti e veloci insieme. Resto seduta sul letto con un insopportabile senso di inevitabilità. Sento il cervello pre­mermi sulle pareti interne del cranio mentre mi assale il panico di averlo sognato di nuovo e di non potere fare niente per impedirlo. Mi odio con tutte le forze. Sono le 3.54. Mi accuccio in posizione fetale sapendo che l'altra metà del letto sarà sempre di troppo.

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