Capitolo sei ¬- Luca, mercoledì 8 giugno 2016

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Fuori dal mio ufficio l'azzurro del cielo spadroneggia, dalle finestre entra una luce bellissima e gialla del giallo dei pennarelli che usano i bambini a scuola per colorare il sole, cappa di pensieri, voglia di correre e di sporcarmi di felicità, ho la sensazione di essere inchiodato a questa sedia, torno a fissare il monitor del computer che ho davanti. Routine, cerco su Wikipedia, nel linguaggio informatico è un particolare costrutto all'interno di un programma che permette di raggruppare una sequenza di istruzioni in un unico blocco espletando così una specifica operazione sui dati del programma stesso. Terminata l'esecuzione, la routine restituisce il controllo al programma principale che l'ha richiamata e che può così proseguire il suo avanzamento. Come ogni mattina ho digitato RUN sulla tastiera e ho dato avvio al mio programma principale, lettura delle mail, controllo dei bonifici in entrata e delle fatture anticipate che vanno in scadenza, esame del tabulato dei prelievi in contanti e degli sconfini. Controllo, ecco quello che faccio, come una routine, ogni giorno, vite che prendono e spendono stipendi, eredità in frantumi, famiglie che giocano in borsa, patrimoni che crescono, clienti che si suicidano. Vite tracciate da flussi di denaro, senso di instabilità, errore di runtime, crash del sistema, reinstallazione del sistema operativo.«Permesso.»Lo sento sussurrato in punta di voce da dietro la porta, rispondo di venire pure avanti. «Buongiorno direttore.»Non l'ho mai visto prima, non è un cliente, è un signore sui settanta, lo invito ad accomodarsi. Arrangia la sedia con cura e senza fretta, poi si siede emettendo un sospiro, nei suoi movimenti trasuda una sorta di riverenza per la banca intesa come istituzione. «Mi scusi il disturbo, non ci conosciamo, mi chiamo Giorgio De Rossi e sono il marito della signora Margherita De Fabbris.» e si ferma per un istante come per prendere la rincorsa «... ecco, confesso di essere qui anche con un certo imbarazzo, non so come cominciare... le volevo domandare se per caso fosse stata qui mia moglie a chiedere un prestito in questi giorni...»Ha addosso un abito blu di buona fattura e una camicia bianca senza cravatta, porta i mocassini e si capisce che è abituato a vestire così tutti i giorni nonostante l'età da pensione. Gli osservo i capelli bianchi e pettinati con la riga da parte pensando che deve essere stato molto allo specchio prima di uscire e che l'eleganza non si improvvisa.«Non sono informazioni che siamo tenuti a rendere pubbliche, mi spiace, non dipende da me ma c'è tutta una normativa sulla privacy che lo vieta.»Gli vedo negli occhi una venatura di tristezza che li attraversa, mi sento tremendamente ridicolo subito dopo aver finito la frase, fuori suona un'ambulanza.«Lo so che non lo potrebbe fare ma glielo chiedo per favore, facevo anche io un lavoro simile al suo, avevo un'agenzia di assicurazioni qui a Milano in zona torre Velasca, siamo brava gente, abbiamo lavorato per quarant'anni ma da quando siamo andati in pensione a mia moglie è venuta la febbre del gioco, ho già venduto due appartamenti...» e mentre lo dice è come se una lancia gli trapassasse il cuore. «La prego, per favore, non le dia quel prestito, lo so che non dovrei essere qui a chiederglielo ma non posso permettere che vada tutto in malora, per favore.»Lo riesco quasi sempre a riconoscere l'odore della menzogna, come il sangue uno squalo, a chilometri di distanza, li conosco bene i bugiardi, il mio lavoro si concretizza fondamentalmente nell'individuarli. È quasi divertente, mettono su un teatrino quelli, si schiariscono la voce e danno un colpetto di tosse, si mordono i lembi interni delle labbra sollevando un pochino il mento e deglutiscono troppo o non lo fanno affatto, e le mani, dicono tutto le mani, quando nascondi la verità le dita si muovono troppo poco oppure tremano, non sanno mai dove metterle le mani, se guardi quelle non puoi sbagliare, e poi c'è poi il grande classico del sorriso trattenuto, l'essere vaghi e generici nelle risposte e la ridotta espressività facciale, il battito delle ciglia e la mobilità dello sguardo, lo sfregamento del naso e il tempo di latenza tra la domanda e la risposta. I bugiardi tendono a mantenere lo sguardo sull'interlocutore più fissamente del normale, sanno che devono guardarlo negli occhi per essere creduti, aumentano i gesti inutili, controllano se il cinturino dell'orologio è chiuso o se la cravatta è a posto, usano avverbi come mai, sempre, dovunque, nuovamente e utilizzano pochi dettagli spaziali temporali. I bugiardi li conosco meglio di me stesso, forse perché anche io in fondo sono uno di loro, penso a Giulia e al fatto che impiegheremo il resto delle nostre esistenze a cercare di dimenticarci, menzogne, mi passa davanti un film senza sonoro, ricordi che mi girano dentro a vuoto e che si depositano sul fondo, paludi di solitudine. «Da quanto tempo siete sposati?»Alza lo sguardo verso il mio, ha le sopracciglia sollevate e gli occhi più aperti del normale e puntati dritti verso i miei, poi torna a guardare nuovamente verso il basso fissando qualcosa vicino alle scarpe e infine mi guarda nuovamente come se fossi riuscito a dare la spallata definitiva a un muro pericolante che stava già per crollare, mi risponde con una voce incrinata e un pianto trattenuto a fatica.«Abbiamo fatto quarantasette anni di matrimonio la settimana scorsa, ci siamo sposati nel sessantanove.»Non mente questo romantico ed elegante signore sposato da quarantasette anni, e lo dice come se per un istante fosse ancora là nel sessantanove a promettere nuovamente amore eterno.Fanculo le regole e il manuale di istruzioni, gli rispondo di stare tranquillo e di non preoccuparsi per il prestito.Si alza lentamente sistemando la sedia nella posizione in cui l'aveva trovata, si congeda stringendomi la mano e ringrazia nuovamente prima di chiudersi la porta dietro di sé.

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