Capitolo 1

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Perché non posso essere come gli altri?

Questa è la domanda che si insinua continuamente nella mia testa e che non riesco a scacciare. È una persecuzione, una zanzara che vuole il tuo sangue ad ogni costo.

«Grace, ci sei?» mia madre si preoccupa sempre quando mi perdo nella mia mente e non do dei segnali che provino che io sia ancora viva.

Ho sedici anni, ma chiunque mi ascolti mentre parlo, me ne darebbe almeno dieci in più.

Tutti credono che la mia maturità sia un pregio, senza sapere che in realtà è frutto di traumi su traumi che non sono mai riuscita a risolvere e a superare.

«Grace!», finalmente mi risveglio da quello stato vegetativo e mi scuso con mia madre per averla fatta preoccupare ancora. Niente di nuovo. Mi succede molto spesso di isolarmi in quella maniera, soprattutto durante i viaggi in macchina per andare allo studio della psicologa, come quello di oggi.

Quanto vorrei non doverci andare, quanto vorrei che la mia vita fosse normale e spensierata come quella di qualsiasi adolescente.

Purtroppo, la mia vita non potrà mai essere normale, perché è stata rovinata da troppi avvenimenti dolorosi che mi hanno segnata in modo troppo profondo ed evidente.

Primo fra tutti è stata la morte di mio padre quando avevo solo sei anni. Non ricordo nemmeno il suo volto. 'È normale che tu non riesca a ricordartelo' mi aveva detto una volta la psicologa 'il cervello umano quando subisce traumi così profondi, li elimina per evitare che tu possa soffrire. Nel processo si perdono anche tutti gli altri ricordi legati a quel periodo, ma è un meccanismo fatto solo ed esclusivamente per proteggerti, capisci?' Già, per proteggermi. Ma a che costo?

Vorrei solo tornare a quando c'era lui e tutto era spensierato e a colori.

Ora non più. Il mio mondo adesso è tutto in bianco e nero, come una di quelle pellicole che guardavo con lui per ore ed ore senza annoiarmi mai.

Il motore si spegne. Siamo arrivate.

Oggi è martedì e come ogni martedì che si rispetti mi devo recare dalla psicologa, più che altro per far star tranquilla mia madre, che pensa che abbia pensieri suicidi.

Fa bene a crederlo, perché tutto ciò che vorrei è sparire da qui e andarmene lontano, magari nel luogo dove si trova mio padre e finalmente tornare a vedere la vita a colori.

Ma non posso. Gliel'ho promesso. Mentre si trovava su quel lettino d'ospedale. Fu l'ultimo desiderio che espresse, voleva che fossi felice, nonostante tutto e tutti.

'Ti è stata donata la vita tesoro, così fragile e preziosa, che basterebbe una virgola sbagliata per perderla, ma è allo stesso tempo la cosa più sottovalutata di tutte e ce ne si rende conto soltanto quando la si sta per abbandonare; perciò, non lasciare che la tua si spezzi a causa mia. Vivila intensamente e goditi ogni istante, perché potrebbe essere l'ultimo'.

Queste sono le ultime parole che mio padre mi rivolse prima che il suo cuore si fermò per sempre.

Quel giorno piansi per quello che mi sembrò un tempo infinito. Non provavo niente. Non ero felice, non ero triste, neanche arrabbiata. 

Ero vuota.

Lo sono ancora adesso, nonostante mia madre si sforzi di essere sempre presente, purtroppo il suo lavoro non glielo permette. Da quando mio padre non c'è più è costretta a fare doppi turni pur di pagare le bollette, il cibo, i vestiti e soprattutto la psicologa.

Quanto la detesto quella signora sulla sessantina con i suoi tailleur firmati. Prova sempre ad entrare in empatia con me, a farmi aprire e a mettermi a nudo, al cospetto di tutte le mie fragilità. Ma non ci riesce mai, forse a causa di quell'enorme muro invalicabile che mi sono costruita negli anni e che ormai è diventato indistruttibile anche per me e credo che nessuno riuscirà mai a scavalcarlo, per permettermi di fuggire dalla mia prigione oscura e buia fatta di pensieri contorti e distorti che mi fanno crollare a pezzi.

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