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ad un certo punto non riuscii più a prestare attenzione ad alcuna parola, non ascoltavo i miei amici e nemmeno quelli di angelica, le loro voci si mescolavano insieme in un caos che presto mi divenne insormontabile. mi accorsi che qualcuno mi stava chiamando, o meglio, tutti lo stavano facendo, era ormai da mezz'ora che non proferivo parola e per giunta non avevo affatto una bella cera. non ero sicuro di cosa mi stesse succedendo di preciso, l'unica cosa che sapevo era che non avrei desiderato altro che scomparire in quell'istante, non solo fisicamente ma anche nella memoria di chi mi conosceva. sentii qualcuno scuotermi, a quanto pare ero rimasto anche immobile, ero completamente perso in un loop di pensieri che, poco a poco, stavano prendendo la forma di una sensazione perpetua, se ne avessi dovuta scegliere una simile ma più concreta per rendere più chiaro cosa stessi provando, avrei optato per la solita e banale metafora del pugnale che trafigge il cuore. se tale paragone era così comune c'era un motivo, e in quel momento lo compresi appieno: ogni singola parola pronunciata da quelle persone era stata un colpo al cuore. eppure non aveva senso che mi sentissi in quel modo a causa di una ragazza che avevo incontrato solo una volta e che non conoscevo quasi per niente. ma certo è che più passavano i secondi e più avevo voglia di piangere, peccato che non ci riuscissi, che il rubinetto delle lacrime non si attivasse e che mi trovassi quindi a provare in ogni modo a sputare quel dolore, questo era però bloccato nel mio corpo e ciò mi avrebbe provocato una sofferenza eterna. dovevo fare qualcosa per tirarlo fuori, dunque non ebbi scelta e feci qualcosa di poco corretto e che forse avrebbe rovinato la mia reputazione per sempre, avrebbe mutato la mia fisionomia sia davanti ai miei amici che davanti a quelli di angelica che, certo, non mi avrebbe mai amato, ma che avrei segretamente voluto avere accanto fino alla fine dei tempi. se prima non ero sicuro al cento per cento di amarla, quella serata ne era stata la conferma. e quindi mi alzai, finalmente strizzai gli occhi e presi coscienza della scena che stava avvenendo dinanzi a me: mariangela, ignazio e silvia mi stavano guardando con aria seriamente preoccupata, ignazio mi prese per un braccio e mi chiese cosa avessi intenzione di fare. se gliel'avessi detto, non mi avrebbe mai permesso di farlo, quindi mi limitai a voltare lo sguardo verso l'altro tavolino, non ebbi il coraggio di avvicinarmi ad esso, ma dissi, o meglio, urlai di proposito: "e così adriano sa fare tutto. è il ragazzo perfetto. allora è meglio che sia lui a dare ripetizioni di francese ad angelica, vorrà dire che toglierò il disturbo." e, senza voltarmi indietro, mi incamminai verso una meta ignota, non curante delle persone che stavo spintonando e di quali vie stessi percorrendo, avevo un solo obiettivo: scappare, il più lontano possibile.
si trattava di uno di quei momenti in cui agivo ma non senza pensare, anzi, mentre mi comportavo in quel modo bizzarro la voce nella mia testa continuava a sparare sentenze, quella volta esse furono: e così l'hai fatto, è andata, hai perso i tuoi nuovi amici, la ragazza che ami, perché sì, la ami pur non conoscendola, non vorrà saperne più nulla di te. dovevi fare una sola cosa, tacere, ora è tardi per sistemare le cose, ed era ahimè la verità. non c'era modo in cui potessi trovare la via d'uscita da quel labirinto che m'ero costruito da solo.
ero inoltre, nel profondo del cuore, soddisfatto della mia scenetta, non potevo negare che l'avevo fatto per stare meglio e che, se avessi evitato, sarei probabilmente morto, o avrei fatto qualcosa di peggiore. d'altronde quelli se lo meritavano per aver parlato in quel modo della mia donna, della ragazza in divisa di quel pomeriggio nei pressi della chiesa, perché lei non poteva essere come la dipingevano, vero? lei era diversa, lei voleva me, non voleva adriano e forse io ero il primo a piacerle davvero. perché le piacevo, non è vero? niente affatto. non avevo alcun ruolo in una storia d'amore embrionale che sarebbe sbocciata di lì a poco; loro erano fatti evidentemente l'uno per l'altra e lo sapevamo tutti, lei non avrebbe avuto motivo d'amare un altro se poteva avere lui; quando andava a casa della sua migliore amica si preparava per incontrare lui; quando avevano qualsiasi tipo di interazione durante un campo o una route, i loro compagni si guardavano e sorridevano sapendo che loro due erano i soli a non essere al corrente del filo invisibile che li teneva uniti da anni; le strade per le quali correvo quella sera loro le avevano percorse mentre io ero chissà dove a fare chissà cosa, magari ridevano e scherzavano, chiacchieravano senza sosta finché non arrivava qualcuno a separarli, altrimenti avrebbero continuato all'infinito - così funziona quando si è destinati a stare insieme; forse proprio quella sera erano insieme e sceglievano un nome da attribuire ai sentimenti che entrambi provavano, e io pretendevo egoisticamente di essere un personaggio nella storia della loro vita, senza sapere che non ne ero neppure una comparsa.
improvvisamente il mio futuro non stava più in piedi perché a reggerlo sarebbe stata, nella mia testa, proprio lei, e ora che apparteneva (un termine che non mi piace troppo) ad un altro, e quindi io non potevo appartenere a lei, non avevo più un nome, un'età, uno scopo, delle capacità, di certo non avevo più degli amici e tanto valeva nascondermi dal mondo per il resto della mia esistenza.
le luci dei locali che fino al giorno prima mi avevano scaldato il cuore, quella sera me lo facevano a pezzi, lo sezionavano senza pietà, gli parlavano all'orecchio e gli dicevano: anche loro sono stati qui, anzi, solo loro, tu con lei non ci verrai mai, non avrei mai toccato con mano quella felicità che per loro sarebbe stata all'ordine del giorno se solo avessero avuto l'audacia di esporsi l'uno all'altra. io che avevo tutto il coraggio del mondo, non avevo lei, non avevo la sua attenzione, la sua cura, il suo affetto, lei sapeva solo il mio nome e da me ricavava solo qualche nozione di francese, non il segreto dell'amore.
volevo morire, e non iperbolicamente, non era giusto che lui sedesse al mio posto, non poteva essere così, doveva esserci un errore. ma a quel punto non c'era più niente da fare, se non piangere, sbraitare, colpire i muri di quella città infernale, prendere un treno e tornare a casa con la speranza che l'aria meridionale spazzasse via dalla mia memoria l'accaduto di quei giorni.
ad ogni modo non mi ero pietrificato in un luogo comodo, quindi andai a sedermi su dei gradini, sotto una sorta di galleria un po' malmessa. qui, poco dopo aver appoggiato il mento alla mano, rialzai la testa sentendo che qualcuno stava chiamando il mio nome; mi parve strano, chi avrebbe mai voluto vedermi dopo ciò che avevo fatto?
"sono io, silvia. non so se hai voglia di parlare, ma non mi sembrava il caso di lasciarti da solo in una città che non conosci bene. ignazio e mariangela se ne sono andati, non perché siano arrabbiati con te, ma perché pensavano che tu ce l'avessi anche con loro e hanno preferito lasciarti i tuoi spazi, normalmente dopo aver saputo che ti avrei recuperato io". non fui in grado di rispondere, ero troppo imbarazzato, o meglio, umiliato. poi non meritavo di esser trattato in quel modo, e in parte speravo che se ne andasse, perché se le avessi risposto non sarebbe stato con un tono particolarmente gradevole. e mi dispiaceva che la vittima del delitto commesso da qualcun altro finisse per essere lei.
"non devi ringraziarmi, comunque. sono venuta a prenderti perché credo di aver capito cosa ti sia successo. mi sembri una persona davvero sensibile e immagino quanto ti abbia fatto male sentire quelle parole, perché sì, le ho sentite anch'io. ho una vaga idea di chi sia angelica il poco che so di lei è abbastanza positivo, ma se sei così innamorato di lei, forse ti farebbe bene starle lontano. mh...che ne pensi di restare un po' con me? so che non conosci bene neanche me e che ora fidarti di qualcuno che conosci poco ti risulterà ancora più difficile, ma magari stare con una sola persona ti farà sentire meno a disagio. che ne pensi? conosco un bel locale qui vicino, e ti assicuro che non ho mai visto angelica entrarvi".
"forse non mi resta che tornare a casa. sono appena arrivato e ho già fatto abbastanza danni; sono destinato ad una vita monotona, questo è quel succede quando mi spingo troppo oltre"; "non c'è molto che io possa dirti per farti cambiare idea, mi conosci a malapena e non ti biasimo se non sei pienamente convinto di poterti fidare di me. però non sai la strada per tornare a casa e non posso lasciarti qui. che tu lo voglia o meno, ti devo accompagnare io". e aveva ragione; da una parte, però, mi sentivo tremendamente in colpa perché occuparsi di me non era di certo nei suoi piani. ma non ebbi scelta e salii in macchina. proprio in quel momento notai alcuni messaggi dei miei zii che mi comunicavano che i miei genitori avevano cambiato idea e, anziché venire due settimane dopo, sarebbero arrivati il pomeriggio seguente. fu un'informazione dal sapore dolceamaro: da un lato, se ci fossero stati loro, non sarei potuto uscire con i miei - credo - amici, dall'altro stavo troppo male e, se mai l'avessi manifestato, non me l'avrebbero mai fatta passare liscia. ero ben consapevole che, se quella sera fossi tornato a casa in quelle condizioni, la mattina dopo mi sarei svegliato completamente asfissiato dal ricordo di quelle terribili frasi. ma anche se fossi rimasto con silvia non sarei stato capace di pensare ad altro. l'unica cosa che mi avrebbe guarito sarebbe stata vedere angelica, forse mi avrebbe rassicurato che non era vero niente e che era stato solo un brutto sogno. non poteva essere così.
"quindi? decidi ora o mai più: quale strada prendo? ti porto a casa o no?", "portami dove vuoi, ma non a casa".
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champagne problems
Romanceil narratore (eugenio morel) trascorre, per la prima volta, l'estate nella nuova casa dei suoi zii, a sant'iriano. reduce di una storia d'amore unilaterale e grottesca, si prefigge di non ripetere gli stessi errori. il destino ha altri piani. [stori...