Prologo

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Il sapore delle prime volte, impresso agrodolce sulla punta della lingua, lo ricordo.

L'aria stanca e le tue labbra rannicchiate tutte a sinistra mi hanno portata direttamente a te. É stato come essere attraversati da una forza pulsionale, una di quelle che non ti fanno pensare ma ti conducono.

E ti penso con stupore, e ti ricordo sempre un po' tremante, anche quando ci sei, anche quando vorrei spingerti via e trovare mille modi per fuggire lontana, ma sempre vicina a te.
Ma fuggire dove? Quando le mie mani hanno la forma del tuo viso e la mia bocca il sapore del tuo nome.

E forse perdo parole, ci sono troppi momenti in cui anziché conservare il dolore lo spingo verso di noi, ed è inqualificabile sulla scala delle nostre emozioni il modo in cui mi porti giù e poi mi rianimi l'attimo dopo.

Tutte le volte.

Come quella sera in cui mi hai detto «siediti sulle mie gambe perché siamo stretti» eppure c'era spazio per due.
É stata proprio quella la mia epifania. L'attimo in cui ho capito quanto il mondo fosse troppo piccolo e tu troppo grande per rimanere da solo con te e le tue paure.

Come quella volta in cui ho stretto gli occhi e  ho detto che non c'era spazio per l'amore, che alla mia vita ci tenevo troppo per iniziare a parlare al plurale e tu mi hai spinto sulla punta del naso un paio di occhiali da sole e mi hai detto «se cambi le prospettive, allora cambierai anche tu».

Forse è stato il momento in cui hai preso un paio di forbici ed hai tagliato tutti i bordi che mi stavano stretti a farmi dire di sì.

Nessuno si salva da solo e non ho bisogno di cambiare le mie prospettive per capire che tu sarei sempre tra quelle.

Prospettive /Holden/ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora