XXXVI

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Che quando non ritorni
ed è già tardi,
e fuori è buio.
Non c'è una soluzione
questa casa sa di te.

La lotta verso un implicito fremente di esplicitarsi, striscia nelle interiora e soccombe alla ragione. La volontà si prostituisce a caro prezzo, viene fuori dall'indesiderato, si rianima nell'idea di possibilità.

Poi ricade.

Un rumore sordo.

Le ginocchia sanguinanti brancolano nel buio, i polpastrelli stridono contro le mura,
testimonianze corrotte dal diniego.
Vicoli ciechi e circoli viziosi,acque putride in cui tu, tenera e persa affoghi, speranza.

Ti vorrei, ti vorrei come sempre ti vorrei.

-

Jacopo al suo fianco presenza nuova e costante.
Giorno e notte, mentre imparava a navigare tra le acque mosse dei silenzi della più piccola.

No

Joseph era andato via senza dire niente, eppure la sua presenza echeggiava in ogni angolo dell'abitazione e adesso la ritrovava negli occhi del fratello maggiore di quest'ultimo.
«Dovresti ritornare a casa Ja, io sto bene. Davvero.» mentì al maggiore.
«Voglio sta qua, sto più tranquillo» confidò lui.
«Non ci dovresti essere tu qui» sospirò rassegnata.
«Mi dispiace Mati'» rispose lui, facendole sprofondare il cuore per la somiglianza persino nell'inclinazione della voce tra i fratelli.

«Nun scherza' amo, da qua nun me sposta manco er diavolo»
Avresti dovuto disimparare la menzogna prima di me amo'.
Mo che hai combinato? Un cuore rotto per l'ennesima volta. E la tua tossicità che inquina qualsiasi cosa ti circondi.
Ho smesso di giustificarti Jo'.

«Comunque, ho chiesto a mia madre il numero di una ginecologa» Matilde impallidì a quelle parole.
«Che? Tua madre sa?» implose di vergogna, come se la stessa avesse motivo di esistere.
«Ho detto che era per un'amica» la rassicurò perché mai avrebbe abusato della sua fiducia.
«Grazie» esitò.
«Vabbè, la chiamiamo magari?» continuò poi, ricercando appoggio dall'unica figura che si era degnata di restarle accanto.

[...]
«Jo', ma che cazzo ci fai a Milano?» Jacopo aveva raggiunto il terrazzo per chiamare segretamente il fratello.
«C'ho bisogno de tempo» rispose il più piccolo dall'altro capo del telefono.
«Ma ce stai tu con Matilde?» proseguì abbassando il tono della voce, perché pronunciare quel nome nella sua situazione avrebbe significato profanarlo.
«Ma come ragioni?» lo ammonì il fratello.
«Ce sto io a casa vostra, ma lo sai meglio di me che non dovrei starci» indurì la voce.
«M'ha scritto» confessò l'inconfessabile.
«E che t'aspettavi? Non ne hai lasciata una Jo, ne hai lasciati due.»
«Devo andare» sviò Joseph.
«Jo» lo richiamò il fratello.
«Se devi tornare, fallo con la sicurezza di uno che non se ne andrà più. Non se lo merita.» concluse non ricevendo risposta alcuna.

[...]
«T'ho preparato qualcosa da mangiare» Matilde lo colse alla sprovvista.
«Non dovevi» scosse la testa, preoccupandosi che non facesse sforzi.
«So incinta, mica invalida» rispose di getto lei, sgranando gli occhi il secondo successivo.
La prima ammissione, la prima realizzazione.

Sono incinta.

«Vie' qua piccole'» la abbracciò d'impulso empatizzando con il suo dolore, ammiratore della sua forza.
«Grazie» si beò di quel calore fraterno.
«Ok, non devo piangere-» tirò su con il naso, tamponandosi gli occhi con i polpastrelli.

«-non basterà a farlo tornare».

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