1. Umano

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TW: Scena spicy non esplicita, ma con aspetti emotivi e mentali non sani

POV: Y/N

Incrocio Price nel corridoio. «Eccoti» dice serio. Mi afferra il braccio e per qualche secondo sembra pensare se dirmi o no qualcosa. «È tornato, ma...» Lascia la presa, si gratta il retro del collo e le sue labbra si assottigliano, spariscono sotto i baffi. «È stata peggio di quanto pensassimo...»

«È ferito?»

«Non... fisicamente. Vorrei che non lo vedessi così, ma so anche che sei l'unica con cui parlerebbe. Non ci ha detto niente.»

Le sue parole mi lasciano confusa. L'unica? Ma se non mi parla quasi mai... la mia mente va alla ricerca di qualche momento che possa giustificare la convinzione del capitano. Quelle notti insonni passate con Simon a guardare il cielo in completo silenzio? O quando ero l'unica a cui aveva chiesto aiuto con suo fratello? Forse Price era rimasto colpito dal fatto che, in missione, ero la sola a poterlo medicare e che una volta aveva persino tolto la maschera davanti a me.

«È nella sua stanza. Credo» conclude il capitano.

Seguo alcune impronte di sangue fino alla stanza di Simon. Apro la porta. É seduto a terra, la schiena appoggiata al letto. La divisa, le mani, la maschera... coperte di sangue. Il suo respiro affannoso riempie la stanza. Non l'ho mai visto cosi sconvolto.

«Simon...» sussurro, anche se raramente lo chiamo così, ed entro. A nessuno è permesso farlo. A me è capitato solo un paio di volte, solo per aggiustare un cassetto di un vecchio mobile che si ostinava a tenere.

«Avvicinati, Y/N...» La sua voce è un sussurro roco, non ha il tono di una richiesta, ma di un ordine.

Mi avvicino e mi inginocchio di fronte a lui. Simon allunga la mano verso di me, trema. Ha ancora tutto l'equipaggiamento addosso. Alza la mano verso il mio viso. Le sue dita umide di sangue mi sfiorano la pelle. Mai, da quando sono stata arruolata, mi ha toccata. Solo in casi di emergenza, in missione. Le sue pupille sono dilatate, ha ancora l'adrenalina nelle vene. I miei muscoli sono tesi, è una situazione strana e... pericolosa. Anche se non ho paura.

«Guardami» mormora.

Alzo lo sguardo. Alcune gocce di sangue hanno superato la maschera e sono ancora appese alle sue ciglia. Mi accarezza il labbro inferiore con il pollice, il suo respiro rimbomba sotto la maschera.

Resto in silenzio. Simon non mi sta vedendo davvero, se ci fosse un'altra persona farebbe lo stesso... ha bisogno di un'ancora, qualcosa che tenga la sua mente lontana dalla morte, dal sangue, dalle bombe. Non so perché, ma lo so.

Simon afferra il colletto della mia maglia e mi attira più vicino.

«Simon, dovresti...» la voce mi esce a fatica. «Riposare.»

Simon continua a fissarmi. L'altra mano si sposta sulla mia nuca, i suoi occhi spalancati fissi nei miei.

Sono come pietrificata. Simon è più vicino di quanto sia mai stato. E più lontano.

Un gemito basso e un sospiro. La sua mano risale verso il mio viso, le dita premono contro le mie labbra, è come se avesse un bisogno estremo di premere la sua pelle contro la mia.

Si toglie la maschera. Per un istante non respiro. Stringe il mio viso e lo avvicina a sé. Simon si aggrappa a me come a un sostegno nella realtà, come se toccando carne e pelle viva potesse cancellare la morte che ha visto e causato.

Le sue labbra incontrano le mie, la sua mano avvolge la parte posteriore del mio collo. Senza poter trovare la forza di oppormi, o senza volere, lascio che Simon, il tenente Simon Riley, Ghost... riempia il suo vuoto. Le sue ferite, quelle che non si vedono, non possono essere curate... io sono solo un controllo di realtà, il mio corpo solo una conferma che lui è vivo e che è ancora umano.

Le sue labbra rimangono contro le mie. Il suono del suo respiro affannoso è interrotto da gemiti. Lascio che le sue mani, strumenti di morte, si aggrappino alla mia carne. Permetto alle sue labbra di soddisfare la sua fame di umanità su di me. Sento pena per lui? Forse. Sono talmente sconvolta da non sapere cosa provo. So solo che il mio corpo non rifiuta il suo.

Si stacca da me e mantiene la presa sulla mia mandibola. Chiude gli occhi per qualche secondo, la sua gola è raschiata da gemiti cupi. «Non...» La sua voce è roca. «Io...» Riapre gli occhi, sono fissi e inespressivi. «Y/N...» È a malapena un sussurro tra le labbra.

«Permettimi di aiutarti... sarai stanco di essere forte» sussurro.

«Lo sono.» Sospira e schiaccia la mano contro il mio viso, in una disperata ricerca di conforto.

Gli prendo il volto tra le mani e lo bacio. La sua foga aumenta. Mi afferra i capelli e mi fa stendere a terra. Mi abbassa i pantaloni, sento il suono metallico della sua cintura e i suoi ansimi frettolosi. Con un movimento veloce, si rifugia dentro di me con un gemito liberatorio. Con foga, quasi con disperazione, come se essendo così vicino a me, fosse al sicuro dalla dannazione, dalla maledizione che sente di portarsi dentro. C'è odore del sangue che ha addosso e della polvere da sparo. Le sue braccia mi avvolgono e mi stringe, il suo respiro caldo e rauco aumenta ancora.

I miei gemiti sono di piacere e di sorpresa. Sono incredula. Sono travolta, sopraffatta da tutto questo. Non sono mai stata così... in tutta la vita, Simon è come una tempesta che si abbatte su di me. I suoi affondi sono potenti e veloci. Come se volesse liberarsi il più in fretta possibile, come se il suo bisogno di cancellare dalla mente quelle immagini, quel tormento e quel dubbio di essere ancora umano dovessero essere eliminati subito, sciolti dal semplice calore umano.

«Y/N...» il mio nome emerge come un ringhio.

Si muove rabbioso dentro e sopra di me. Una mano mi stringe miei capelli, tenendomi la testa contro il suo petto. L'altra mi tiene la vita con forza. L'ultima spinta è accompagnata da un urlo soffocato tra i denti. Resta immobile per qualche istante, non saprei nemmeno calcolarlo. Lui non è lucido, ma di certo non lo sono nemmeno io.

Si stacca da me e si allontana. Non ho il coraggio di guardarlo. Entra nel bagno, lascia aperta la porta e poi apre l'acqua della doccia.

E io rimango lì. Seduta accanto al letto, sconvolta da quello che ho permesso che accadesse. Mi alzo, mi rivesto e mi giro vero di lui.

Simon alza la testa, e mi guarda attraverso lo specchio. «Y/N...» Le sue labbra si muovono per dire altro, ma resta solo il suono dell'acqua. Continuava a guardare il mio riflesso nello specchio. Ancora lontano... «Mi dispiace...» La sua voce è così bassa da essere sovrastata dal suono della doccia.

Una parte di me, la più razionale, vorrebbe insultarlo, urlare. Ma l'altra... quella più oscura e che tengo sempre a bada, quella che fantastica su Simon da mesi, anche se non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura, quella di cui mi vergogno... quella che gli ha permesso di entrare dentro di me. Quella si contorce ancora eccitata in me, anche se insoddisfatta, anche se presa e usata per il solo sfogo e piacere di lui.

«Non... non preoccuparti» mormoro in tono neutro ed esco dalla sua stanza.

Il mio letto mi accoglie con un cigolio. Il silenzio è fastidioso, troppo vuoto. Vorrei sentirmi così, svuotata, vorrei essere furiosa e disgustata, ma non lo sono... non lo sono e la vergogna mi stringe lo stomaco. Non lo sono. 

Vorrei sentirmi vuota e invece sono piena. Piena di dolore, disperazione, paura... le sue. Ho lasciato che dividesse parte del suo peso con me, l'ho permesso. Lui non mi avrebbe mai costretta e io sono addestrata per difendermi. Non mi sono difesa. Non gli ho mai chiesto di essere gentile, non gli ho mai chiesto di chiacchierare con me o di uscire, come amici o altro. Non gli ho mai chiesto di essere qualcun altro per compiacermi.

Stasera non gli ho chiesto di parlarne, di essere dolce, di pensare anche a me perché sapevo... sapevo che non ne era capace. Un uomo distrutto, perso, come poteva esserne in grado? Come potevo pretendere questo da lui? Non l'ho fatto. E non ho preteso niente nemmeno da me. Non ho voluto essere forte, non ho voluto negare quello che il mio corpo diceva... ho voluto solo essere umana. Ed esserlo con lui. Per lui.

ANCORA VIVIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora