Prologo

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Dopo la terza settimana di lavoro l'unica cosa che percepisco è il dolore ai muscoli delle cosce, degli addominali e delle braccia. Non riesco a sentirmi neanche soddisfatta quando il capo, o meglio Carlos, passa a tutti una busta con dentro la paga.

«Forester, è finito il tuo tempo di prova. Sei assunta ufficialmente» afferma con un sorriso quando arriva a me. «Vieni domani mattina nel mio ufficio» conclude con un occhiolino amichevole l'uomo di mezza età.

Quando mi sono presentata quasi un mese fa con il curriculum in mano aveva la faccia più scettica che avessi mai visto in vita mia, ma ormai mi saluta ogni giorno e si congratula per l'impegno che ci metto. Se non mi servissero soldi, non penso ci avrei mai messo piede qui dentro. È uno dei locali più noti per quanto riguarda i drink, quello a cui tutti pensano quando vogliono prendersi una birra. A parte questo, la location non è delle mie preferite: molte luci soffuse, divanetti in pelle e tanti, troppi tavoli che rendono difficile il passaggio.

«Carlos ti ama più delle sue birre!» si mette a ridere Barney, un mio collega, circondandomi le spalle con un braccio. È stato lui in realtà a consigliarmi di venire qui: ci siamo incontrati un paio di mesi fa in lavanderia ed è ormai diventato un appuntamento fisso. 

«Smettila, non è vero» tento di fargli abbassare la voce per non farsi sentire dal diretto interessato. Al nostro capo non si possono toccare solo tre cose: le sue birre, le sue scarpe e i suoi occhiali da sole.

«Sono contento che ti abbia assunta» dice dopo qualche secondo di ridarella. Il fatto che quando ride apre la bocca porta a far notare il suo incisivo superiore sbeccato. Mi ha raccontato che se l'è rotto in una rissa tra maschi dieci anni fa.

«Finalmente mi darà un giorno libero!» esclamo ragionando sui miglioramenti che riceverò. Alcuni giorni, con la scusa che ero in prova, sono rimasta a lavorare per i due turni previsti.

Io e Barney continuiamo a scherzare tra di noi nel parcheggio del locale; lui mi inizia a fare il solletico sui fianchi al quale reagisco male. Lo odio perché arrivo ad avere male in zone che non pensavo di possedere e sembra ogni volta che mi stia per venire un infarto.

«Basta, ti prego!» urlo con le lacrime agli occhi. Provo a coprirmi ma Barney è troppo veloce nel suoi movimenti.

«Polizia, mani in alto!» una voce ferma e possente entra nel nostro campo uditivo. «Lasciala andare, Howard. Non mi sei mai piaciuto» sputa fuori quelle parole con così odio.

«Merda» sospira Barney di fianco a me, eseguendo gli ordini. Mentre gli risponde, io mi soffermo sull'uomo davanti a noi: non ha la divisa addosso, solo la pistola in mano che mi fa un po' accapponare la pelle poiché non ne ho mai vista una nella realtà se non nei film. Salgo più su con lo sguardo per smettere di avere paura. Analizzo per bene il suo viso contornato da corti ricci biondi, un velo di barba a coprirgli le guance; ciò che mi fa sussultare sul posto sono i suoi occhi che fissano il mio amico, nei quali non si può non notare un oceano anche di notte. D'un tratto sposta lo sguardo su di me, riuscendo a mettermi in imbarazzo.

«Ti stava molestando?» domanda a bruciapelo, facendomi aggrottare le sopracciglia.

«Perché dovrebbe?» guardo il trentenne di fianco a me confusa. Lui sbuffa e mima con un dito che mi avrebbe raccontato prossimamente.

«Rispondi, ragazzina. Sì o no mi risulta semplice» continua a tenere la pistola puntata verso Barney.

«No, non mi ha nulla perché stavamo giocando ed è un mio amico. Dio, può toglierla ora quella pistola? Penso che avrò gli incubi stanotte» finisco col pronunciare a voce alta anche i miei pensieri. Fortunatamente non sono usciti quelli su di lui, perché giuro sul gatto imbalsamato nel mio salotto che non sono per nulla puri.

«Te l'avevo detto!» dice vittorioso Barney, abbassando le braccia. «Laila, non ti piacevano i film d'azione? È divertente la tua espressione» riprende subito a ridermi in faccia.

«Se è tua amica, penso sia spaventata da te» borbotta quello che penso sia un agente di polizia. Grazie al cielo toglie dalla mia vista l'arma letale, qualche altro secondo in più e me la sarei data a gambe levate.

«Anzi, sai che ti dico?» guardo male il mio amico, già con la vendetta pronta. «Stava tentando di uccidermi, agente. Non ha con sé nemmeno il casco per la moto»

Barney sgrana gli occhi e ora potrebbe davvero tentare al mio omicidio; il poliziotto, invece, mi guarda interessato e divertito. Lo conferma la sua dentatura bianca che fuoriesce dalle sue labbra sottili.

«Infrazione del codice stradale e tentato omicidio. Era volontario o involontario?» si rivolge a me con ancora un tono divertito. Sarei rimasta a fissarlo per ancora molto tempo se Barney non si fosse iniziato a lamentare.

«La smetti di starmi col fiato sul collo? Sono più innocuo di una farfalla morta e ora vorrei andare a casa a segarmi su una foto di mia moglie» sbuffa sonoramente.

«Passavo di qua e una donzella ha urlato aiuto, era un caso che fossi tu. Non sentirti importante» ed ecco di nuovo la versione arrogante, qualcosa che mi aspetterei da tutti gli agenti di polizia. «Anche se muoio dalla voglia di vederti dietro le sbarre»

«Dopo aver sentito le perversioni sessuali di un agente, penso di poter tornare a casa e mettermi a piangere per i traumi a cui mi avete sottoposta» annuncio con una velata ironia, almeno per una piccola parte. È anche vero che mi sento a disagio mentre questi due sembrano pronti ad azzuffarsi, soprattutto per gli occhi azzurri che mi fissavano intensamente, e non vedo l'ora di scomparire per andare a dormire.

«Se stai pensando a denunciarmi, Howard, non esiste alcuna legge che vieti di traumatizzare qualcuno a parole» sorride il biondo. «Mi chiamo Logan O'Conner, piacere» allunga la mano verso di me che stringo per non ritrovarmi ammanettata. Non penso abbia una grande sensibilità nei confronti delle persone. Angelo di aspetto, diavolo di animo, no?

«Sappi che se c'è lui nei paraggi devi scappare» consiglia Barney.

«Ma tu non dovevi andarti a segare?» lo interrompe Logan con un ghigno furbo stampato sulla faccia. Barney guarda il cielo e impreca qualche santo prima di salutarmi con un abbraccio.

«Hai un passaggio per tornare a casa?» mi torna a guardare Logan.

«La macchina qui a fianco è mia ma grazie lo stesso, credo» mi mordo la lingua per l'ultima parola che mi è scappata. «Sarebbe strano arrivare a casa in una macchina della polizia anche se tu ora non indossi l'uniforme quindi non avrai neanche la macchina»

«Non sono riuscito a seguire una parola» scuote la testa come se avessi appena parlato in arabo. «Guida piano, le bionde fanno paura alla guida» conclude questa finestra di dialogo tra noi due.

«Sì, agente O'Conner» sbuffo, recuperando le chiavi. Non sopporto quando cercano di consigliarmi qualcosa che suona più come un ordine e soprattutto le battute squallide sulle ragazze bionde.

«Come ti chiami?» domanda prima che io possa chiudere la portiera e partire.

Lo guardo dal basso verso l'alto e ragiono su cosa rispondergli. Lo vedo il suo sguardo che tenta di togliermi dalla bocca le parole, non so se sia volontario o involontario ma se non fossi abbastanza incazzata avrei già ceduto.

«Se sei interessato, cercami» mi chiudo in macchina. Ora accuso molto di più la stanchezza di questi giorni e non vedo l'ora di essere nel letto e dormire.

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