Cecora

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Elsie mi stava fissando. Le rivolsi un'occhiata. 

«Che c'è?» 

Si morsicò il labbro. «Sei strana, con questi capelli.» 

La ignorai, stanca di sentirmi squadrata per uno stupido taglio. Nonostante questo, non mi tolse gli occhi di dosso. 

La guardai male, ma appena aprii la bocca, mi precedette. 

«Pensi che non verrà?» 

Sbuffai e mi allontanai di qualche passo. Il caldo era insopportabile. Le sue domande erano insopportabili. L'attesa era insopportabile. «Certo che verrà, Elsie.»

La chioma rossa e riccia di Tyson spuntò proprio in quel momento. Elsie si girò come se ne avesse percepito la presenza e si alzò in punta di piedi, la bocca tesa in un sorriso a trentadue denti. «Tyson!» 

Il ragazzo si voltò. Scorse Elsie, ma ricambiò il sorriso solo una volta che trovò me. Serrai i denti. Non riuscivo a capire cosa ci trovasse in lui. 

Si fece strada tra le persone in attesa davanti alla sala delle simulazioni e ci raggiunse in un battito di ciglia. Appena mi mise a fuoco, sul volto gli si dipinse una maschera di sorpresa. «Wow, Halley. Stai bene con i capelli corti.» 

Banale. Scontato. Assolutamente privo di tridimensionalità. Qualcosa, forse l'unico neurone bruciato nel mio cervello, mi riportò a Colin.  

Scacciai immediatamente il pensiero e ignorai l'impacciato tentativo di Tyson di fare conversazione. 

«Fa caldo oggi, non è vero?» Continuò.

Ero l'unica ad essere preoccupata della possibilità che ci dovessimo scontrare l'uno contro l'altro?

«Fa caldissimo!» Concordò Elsie, totalmente rapita dal suo inesistente fascino. «Stamattina mi sono dovuta lavare due volte, perché continuavo a sudare. Sudavo così tanto che non riuscivo neanche a sentire il mio odore. Mi sono svegliata che non avevo proprio un buon odore...»

Arricciai il naso. Ma che cavolo, Elsie. 

Tyson parve stupito. Cercò il mio sguardo, ma la porta del capanno si aprì e ne spuntò la solita dottoressa. Senza dire una parola, iniziammo a entrare in fila indiana. Elsie, prima di me, inciampò.

Le afferrai il braccio prima che potesse cadere e fissai la sua espressione imbambolata con disappunto. Per quanto ancora sarebbe riuscita a sopravvivere?

Superammo l'anticamera e ci posizionammo nel grande rettangolo luminoso. Stetti bene attenta a prendere le distanze dagli altri, ricordandomi le parole di Bice. 

Quando la simulazione finisce, ti ritrovi nella stessa posizione in cui ti sei messa quando è iniziata. Di fianco a te, rimangono i cadaveri. 

La porta si chiuse tonfando e la voce dell'altoparlante riempì il silenzio. «Inizio del test: Quattordici e trenta. » 

Le pareti e il pavimento si dissolsero, ma non battei ciglio, ormai fin troppo abituata. 

«Nome del test:  Cecora.» 

Al posto del soffitto, si andavano formando delle grosse grate che componevano una cupola che ci inglobò in un cerchio perfetto. Oltre le sbarre, il cielo azzurro splendeva limpido e terso, senza una traccia di vento. Il caldo asfissiante era stato sostituito da aria immobile, racchiusa dentro pareti di cemento alte almeno tre metri. 

Davanti a noi, un tavolo di metallo straripava di armi. A destra, invece, lo affiancavano file pericolanti di scudi rotondi. 

«Non sono mai stata in un labirinto», mi confidò Elsie, che nel mentre si era avvicinata al mio orecchio. 

BREATH. Respiro cortoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora