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Il suono delle sirene della polizia rimbombò nelle orecchie di Celeste. La ragazza era inginocchiata a terra, tra le lacrime, con i vestiti pieni di sangue. Accanto a lei giaceva il corpo, ormai privo di vita, di un ragazzo.
«La dichiaro in arresto!» esclamò un poliziotto, ammanettando la giovane, quest'ultima non provò neanche a controbattere, pianse solamente. Venne strattonata e fatta entrare dentro la volante.

«Passerai la notte in centrale, poi verrai portata nell'IPM di Nisida» la informò una poliziotta porgendole dei vestiti puliti con qui cambiarsi «Vabbuo', grazij» rispose cercando di essere più garbata possibile. Dopo essersi cambiata venne portata in una delle celle provvisorie, su una panchina erano posti un cuscino e una specie di lenzuolo. Si stese, poggiando la testa sul cuscino e coprendosi con il lenzuolo, nonostante ciò tremava.

Celeste quella notte non chiuse occhio, non perchè non fosse stanca, ma perchè ogni volta che lo faceva rivedeva la scena appena vissuta, il corpo di quel ragazzo steso a terra, il ragazzo che lei stessa aveva ucciso.

«Alzati!» le ordinò un poliziotto aprendo la cella, e lei così fece. La prese sottobraccio conducendola nell'auto della polizia.

Il tragitto verso l'IPM fu silenzioso, e Celeste non potè fare a meno di pensare a cosa ne sarebbe stato di lei. Quanti anni di reclusione le avrebbero dato? Sarebbe mai uscita di prigione? E se fosse uscita avrebbe avuto un futuro? Queste domande non ebbero risposta. La ragazza poi pensò a com'era la sua vita prima dell'omicidio: era una normale ragazza di 16 anni, andava a scuola, usciva con gli amici, studiava, ma soprattutto leggeva ed ascoltava musica. Non immaginava la sua vita senza i libri grazie ai quali riusciva, anche se per poco tempo, a dimenticarsi della realtà e a viaggiare con la mente in posti lontani, dove i suoi problemi non esistevano. Il suo rapporto con la musica invece era un po' più complesso: la ragazza suonava la chitarra, ma dopo un avvenimento che l'aveva segnata profondamente si era ripromessa di non farlo più.

A risvegliarla dai suoi pensieri fu il poliziotto che le disse di scendere, ad accoglierla trovò una donna sui quarant'anni dai capelli castani raccolti in una treccia disordinata. Celeste uscì dall'auto «Ciao, ij so' Liz. Tu devi essere 'a nuova arrivata, Celeste Lo Russo» le disse sorridendo, la ragazza annuì «Viene, te porte ra' direttrice» la informò prendendola sotto braccio.
Passando per il cortile, sentì i ragazzi che facevano apprezzamenti su di lei che la fecero rabbrividire, abbassò lo sguardo. «Guaglio', basta!» gli sgridò Liz, si avvicinò un ragazzo: occhi verdi, capelli castani tirati indietro con il gel e un sorriso capace di far innamorare qualsiasi ragazza. "Davvero bello" pensò Celeste «Piccrè, comme te chiame?» le chiese mettendosi davanti alle due «Vettene Edua'» disse Liz «Nu minuto, nu mma tene ancora risposto» disse il ragazzo, Edoardo, mostrando un sorriso smagliante «Celeste» prese, a quel punto, parola la ragazza «Wa, che bel nome» si complimentò con lei, la ragazza accennò un sorriso. «Edua' ora vattene» gli ordinò Liz, portando Celeste nell'ufficio della direttrice «Ce verimmo piccrè!» salutò, la ragazza, Edoardo.

«Direttrì, le ho portato Lo Russo» disse Liz entrando in un ufficio. Celeste alzò lo sguardo trovando seduta ad una scrivania una donna sui quarant'anni dai capelli biondi e gli occhi chiari. Accanto a lei era in piedi un uomo un po' più grande con barba e baffi. «Accomodati pure» le disse la direttrice
«Allora, Celeste, io sono Paola» si presentò «Ij so' Massimo, 'o comandante» disse l'uomo accanto a lei «Perchè hai ucciso quel ragazzo?» le chiese la direttrice «Nun teneve altra scelta» rispose la ragazza rimanendo vaga «Si tu nu' nce spieghi cosa è successo nuje nun putimme aiutarti» la incoraggiò Massimo, lei però stette in silenzio «Ve bene, quando vorrai raccontarci cosa è successo siamo qui» le disse la donna prima di lasciarla andare.
Venne scortata da Liz nella sua cella «Chesti so' 'e lenzuola e 'a coperta. Fatti 'o liette e po' aspetta cca ca tra poco jamme a mensa» spiego alla ragazza «Vabbuo'» rispose la ragazza «Vedrai che ti troverai bene» la rassicurò Liz prima di andarsene. Dopo aver seguito le indicazioni di Liz, Celeste decise di riposarsi un po'. Non sarebbe riuscita ad addormentarsi, ma almeno il letto era più comodo di quella panchina sulla quale aveva passato la notte.

Dopo qualche minuto ritornò Liz «Celeste, è venuta na donna, ha ritte e chiamarsi Marica, ca te tene purtate nu borsone co delle tue ccose, e chesta» le disse porgendole il borsone e una chitarra «Grazji» si limitò a dire Celeste. A quel punto le toccava anche sistemare i suoi vestiti in una specie di armadietto di ferro. Ne aprì uno, trovandolo pieno, dedusse che avrebbe avuto una compagna di cella. Non ci penso molto, cominciando subito a sistemare i suoi vestiti nell'altro armadietto. Oltre ai vestiti trovo alcuni dei suoi libri preferiti, e altri che non aveva avuto tempo di iniziare. Ma cosa più importante trovò delle sue foto insieme alle persone a lei più care: una rappresentava lei e suo fratello maggiore Michele, abbracciati, una raffigurava solo Michele, un'altra era di lei e la sua sorellina Alba e per ultima c'era una foto di tutta la sua famiglia. Dopo aver sistemato i vestiti ed essersi cambiata, appese le foto sul muro. Poggio la sua chitarra, che non suonava ormai da tempo, accanto al letto e si stese su quest'ultimo.

Dopo una mezz'oretta arrivò Liz «Celeste, alzati ja! Jamme a mensa» le disse, la ragazza fece come ordinato. Fuori dalle celle, in fila indiana, c'erano le altre ragazze, lei si mise a fine fila ed entrarono in mensa. Proprio mentre loro entravano, i ragazzi stavano uscendo e Celeste incrociò lo sguardo con Edoardo che, sorridendole, le fece un occhiolino. Quando arrivò il suo turno, prese il suo vassoio e si schifò solo a guardare il menù di quel pranzo: come primo c'era un brodino che sarebbe dovuto essere zuppa, il secondo invece consisteva in una specie di poltiglia di verdure di un marrone diarrea che solo a vederlo la diarrea veniva veramente. Decise quindi che per quella volta avrebbe mangiato la mela, e avrebbe bevuto un po' d'acqua. Si sedette ad un tavolo in disparte, cercando di non attirare troppo l'attenzione ma a quanto pare non era passata inosservata a nessuno. Infatti tutte le ragazze parlavano di lei lanciandole occhiataccie. Si avvicinò a lei una ragazza dai capelli ricci rossi «Ciao, io sono Viola. Se hai bisogno di qualcosa chiedi a me» le disse con un ghigno «Celeste» si presentò lei «Viola, vattene» disse un'altra ragazza che pareva essere una rom «Fatti i cazzi tuoi zingara di merda» disse la rossa per poi andarsene, al posto suo si sedettero due ragazze: la rom, accompagnata da un'altra ragazza, davvero bella, dai capelli castani. «Nun ascolare chella, è na pazza. Ij so' Naditza» parlò la prima «Ij so' Silvia» disse l'altra «Piacere, ij so' Celeste» rispose cercando di risultare il più gentile possibile «Perchè si' stata arrestata?» le chiese Naditza «Agge ammazzate nu guaglione» rispose Celeste abbassando lo sguardo. Silvia e Naditza si guardarono dispiaciute «Me dispiace, ij nun vuleve...» «No, tranquilla. Nun 'o putive sape'» la interruppe Celeste.

Le tre ragazze passarono il resto del pranzo a chiacchiere e legarono molto.

Nun è colpa mij || Rosa RicciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora