𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐

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"Certe ferite sono troppo profonde
per guarire, sopratutto quando chi te le
infligge è qualcuno che una volta
credevo di poter amare."
#SarysBooks

• APHRODITE •

La luce dell'alba filtrava appena dalle tende della mia camera, gettando un alone grigiastro sul pavimento. Avevo dormito solo qualche ora dopo la notte turbolenta al Neon Club, eppure la mia mente non sembrava disposta a concedermi un attimo di pace. Pensavo ancora allo sguardo di Aaron, alla tensione di quella conversazione che sembrava risuonare come un'eco fastidiosa.
Avevo appena iniziato a rilassarmi quando sentii bussare alla porta, troppo forte per quell'ora del mattino. Sbuffai, cercando di ignorare, ma il battito divenne più insistente. Con un groppo in gola, mi trascinai fino all'ingresso.

- Aaron? -
esclamai, la sorpresa mescolata alla stanchezza.

Lui era lì, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate e un'espressione che non prometteva nulla di buono.
- Posso entrare? -

Non aspettò la mia risposta. Si fece strada nella mia stanza, osservando ogni angolo con disprezzo, come se ogni centimetro del mio spazio personale fosse contaminato da qualcosa che non poteva sopportare. Chiusi la porta dietro di lui, sentendo un senso di disagio crescere dentro di me.

- Che cosa vuoi? -
chiesi, cercando di mantenere la calma.

Aaron mi lanciò uno sguardo freddo, gli occhi brillanti di quella rabbia trattenuta che avevo visto anche la notte prima.
- Sai, ho parlato con mio fratello. -
iniziò, la voce tagliente.
- E mi ha detto tutto. Mi ha detto di come ti infili in situazioni assurde senza un briciolo di coscienza. -

- Non è affar tuo. -
risposi, cercando di mantenere la mia voce salda. - Non ti riguarda quello che faccio. -

- Oh, invece sì, perché tu sei una rovina. -
sibilò, facendo un passo verso di me.
- Tu stai rovinando te stessa e, peggio ancora, trascini mio fratello in questa spirale. Lo sai quanto si preoccupa? Quanto lo stai facendo soffrire con le tue scelte irresponsabili? -

Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo. Sentivo il petto stringersi, ma cercai di mantenere la faccia.
- Forse tuo fratello dovrebbe imparare a farsi i fatti suoi, come dovresti fare anche tu. -

Aaron scosse la testa, con un sorriso amaro.
- È così facile per te, vero? Sei una delusione per tutti quelli che ti circondano e nemmeno te ne rendi conto. -

Quelle parole ferirono più di quanto avessi voluto ammettere, ma rifiutai di lasciarglielo vedere.
- Non sai niente della mia vita, Aaron. Non sai quello che passo ogni giorno, le ragioni per cui faccio ciò che faccio. E onestamente, non mi interessa quello che pensi. -

- Ti comporti come se fossi la vittima di tutto questo. -
disse lui, con una risata fredda.
- Ma sei tu che scegli. Nessuno ti obbliga a lavorare lì, nessuno ti obbliga a vivere così. Non è il mondo che ti ha costretta a diventare una vergogna. -

Lo fissai, sentendo il sangue ribollire.
- Vergogna? -
ripetei, con un tono di incredulità.
- Solo perché non rientro nei tuoi schemi moralistici, sono una vergogna? -

Aaron si avvicinò di nuovo, fino a trovarsi a pochi centimetri dal mio viso. Potevo sentire il suo respiro, l'odore di menta e rabbia.
- Esatto. Sei un disastro ambulante, e l'unica cosa peggiore di te è la tua completa mancanza di rispetto per chiunque intorno a te. -

La mia mano si strinse in un pugno, ma trattenni l'impulso di reagire. Invece, gli lanciai un sorriso freddo.
- Sai una cosa, Aaron? Non mi importa. Puoi odiarmi quanto vuoi, puoi giudicarmi quanto ti pare, ma io non cambierò per te o per nessun altro. -

Lui mi fissò per un istante, come se stesse cercando di trovare qualche segno di rimorso nei miei occhi, ma non glielo avrei mai concesso. Alla fine, sbuffò e si allontanò, scuotendo la testa.

- Non preoccuparti, Aphrodite. -
disse, avvicinandosi alla porta.
- Io non ho nessuna intenzione di stare qui a guardarti distruggerti. Da oggi in poi, fai quello che vuoi. Per me sei solo uno sbaglio di cui non voglio più avere a che fare. -

E se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo che sembrava risuonare nel mio cuore. Rimasi lì, immobile, mentre un misto di rabbia e tristezza mi travolse. Forse aveva ragione su di me. Forse ero davvero una delusione. Ma non glielo avrei mai detto.

Passarono diversi giorni senza che vedessi Aaron, e anche mio fratello sembrava evitarmi. L'aria in casa era diventata pesante, opprimente, come se le pareti stesse trattenessero il peso di tutte le parole non dette, di tutte le accuse lanciate a bassa voce.La sera, al Neon Club, tutto sembrava procedere come sempre. Le luci, la musica martellante, gli sguardi distratti dei clienti. Era quasi rassicurante sapere che, almeno qui, il mondo continuava senza troppe complicazioni. In un certo senso, il club era il mio rifugio, il luogo dove potevo fingere che i giudizi degli altri non mi toccassero. Ma proprio mentre finivo un'esibizione e stavo scendendo dal palco, lo vidi. Aaron, in piedi vicino al bar, con le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di me. Sembrava fuori posto, il suo viso severo e il suo completo casual che stridevano con l'atmosfera caotica del locale.

- Che ci fai qui? -
sbottai, avvicinandomi a lui senza preoccuparmi di sembrare gentile.

Lui mi guardò con quella stessa espressione giudicante, che ormai sembrava scolpita sul suo volto. - Non mi aspettavo di vederti così... a tuo agio. -
disse, il tono tagliente.

Incrociai le braccia, imitando la sua posa.
- Sei venuto solo per dirmi che non ti piace il mio lavoro? Perché, davvero, ho già capito che pensi che sia sotto di te. -

- Non è il lavoro, Aphrodite. -
rispose lui, abbassando la voce.
- È il modo in cui ti stai trattando. È come se stessi cercando di distruggerti con le tue stesse mani.-

Mi venne da ridere, un suono amaro che attirò qualche sguardo curioso dai clienti vicini.
- Aaron, pensi di conoscermi, ma non sai niente di me. Non sai cosa mi ha portato qui, cosa ho passato. -

Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli, come se fosse frustrato da qualcosa che non riusciva a capire.
- Hai ragione, forse non so tutto. Ma ti conosco abbastanza da sapere che non sei felice. -

Sentii le sue parole come un colpo basso. Non ero felice, certo, ma chi lo era davvero? E lui, cosa ne sapeva dei miei sacrifici, delle scelte difficili? Era facile parlare di felicità quando si viveva in una realtà lontana dalla mia.

- Ti prego, risparmiami la tua psicologia da quattro soldi. -
risposi, cercando di sembrare indifferente.
- Non sono venuta qui per farmi salvare. E di certo non da te. -

Aaron scosse la testa, e per un istante, nei suoi occhi, vidi qualcosa di diverso dalla rabbia. Forse era delusione, o forse qualcosa che non volevo vedere.
- Sai una cosa, Aphrodite? Mi fai quasi pena. -

Quelle parole mi colpirono più di quanto volessi ammettere. Vederlo andarsene, allontanarsi da me con quell'espressione di pietà mista a rabbia, mi lasciò un vuoto difficile da ignorare. Ma non mi mossi, restai immobile, fingendo di essere impassibile, come avevo imparato a fare.

Quando finalmente lui sparì tra la folla, sentii le gambe tremare. Mi aggrappai al bancone per ritrovare un minimo di stabilità, e il barman mi lanciò uno sguardo preoccupato. - Tutto bene? -

Annuii, cercando di sorridere. - Sì, tutto a posto. - mentii.


PARTE AUTORE

Cara lettrice, caro lettore.

grazie per aver letto il secondo capitolo del mio romanzo! Spero di averti trasportato nel mondo di Aphrodite, tra i suoi conflitti, le sue emozioni intense e i suoi sogni nascosti. La storia di Aphrodite e Aaron è fatta di incomprensioni, orgoglio e tensioni, ma anche di una scintilla che non può essere ignorata. È un viaggio pieno di colpi di scena, dove il passato e il presente si intrecciano in modi inaspettati.

La tua attenzione e il tuo interesse significano moltissimo per me. La tua lettura dà vita ai personaggi e rende reale ogni emozione che ho cercato di trasmettere. Spero che continuerai a seguire Aphrodite nel suo cammino, con tutte le sfide e i drammi che l'attendono.

Con gratitudine.
#SarysBooks

THE ENEMY'S KISSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora