capitolo quattro

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Erano passati già tre giorni e per Sara era arrivato il momento di partire, il suo aereo era previsto per le ore 12:00.
Perciò doveva uscire presto per prendere il pullman e trovarsi all'aereoporto almeno due ore prima.
Anche se il check-in lo aveva già provveduto dal suo cellulare. L'unico aereo che aveva trovato nelle vicinanze partiva da Bari per Lecce; dopo di che avrebbe dovuto prendere il treno per arrivare da Giulia.
Erano le 6:30 del mattino, Sara era già vestita e con la valigia pronta.
Apri appena la porta, cercando di orgliare le varie discussioni dei suoi e riuscì a sentire sua madre che diceva:
<Paolo, che dobbiamo fare con Sara? È una settimana che è chiusa in camera e ancora ci ha chiesto scusa> disse Michela, mentre versava il caffè al marito.
Sara continuò ad ascoltare voleva sapere dove sarebbero andati a pagare.
<Ho parlato con mia sorella. La manderò da lei in convento, così può essere che le passino queste idee strane dalla testa> rispose Paolo.
<La mandi da tua sorella la suora?>
<Si, è un problema per te?>
<No, no, anzi, è ottimo come idea. Può essere avvicinandosi a Dio,  tornerà sulla retta via>.
Il fratello di Sara che era lì, ascoltò incredulo; non voleva credere a ciò che stavano dicendo i suoi genitori.
Tutta via, non intendeva mettersi in mezzo, conoscendo bene suo padre; perciò, finì di bere il latte e si alzò per andare a prendere la giacca. Fu allora che vide Sara scedendere dalle scale con una valigia in mano. La ragazza si diresse dritto in cucina, dove il padre era intento a leggere il giornale e la madre a pulire.
<Buongiorno, pensate forse di vivere nell'ottocento, che mi volete rinchiudere in un convento? Perché, a questo punto, non mi chiudete in un manicomio?> Esordì Sara, cercando di mantenere un tono pacato.
Il padre appoggio il giornale sul tavolo e la guardò fisso negli occhi;  la madre smise di pulire è, asciugandosi le mani con uno strofinaccio, si avvicinò a sua figlia.
<Non osare avvicinarti. Dio... Mi fate  vomitare. Sono vostra figlia e voi volete rinchiudermi in un convento solo perché sono lesbica. Ma vi rendete conto di cosa state facendo?>
Paolo restò in silenzio,i pugni serrati  sul tavolo.  Fu Michela, sua madre, a risponderle:<Tesoro, noi lo facciamo per il tuo bene. Sei giovane e non capisci ancora molte cose. Sicuramente quegli amici che hai conosciuto si internet ti hanno allontanato dalla via del Signore. Noi vogliamo solo rimetterti  sulla giusta strada>.
<Mamma... Che stai dicendo? Qui parliamo del mio futuro! Della mia sessualità! Non si tratta della mia fede in Dio. Vi rendete conto di ciò che dite ?> Sbottò Sarà, infuriata. Il padre, che fino a quel momento non aveva spiccicato parola, scattò in piedi e si diresse verso la figlia. Il ceffone fi così forte da mandarla in terra.< Tu!
Tu... farai ciò che diciamo noi. Sennò, sei libera di andartene.Ma sappi una cosa: se esci da quella porta, per me sei morta. Meglio una figlia morta che lesbica>. Sara a quelle parole  non poté trattenere le lacrime  e inizio a singhiozzare. Si alzò da terra, prese la sua valigia e si avviò verso la porta. Uscì senza dire una parola. Sbatté con violenza la porta alle sue spalle e si incamminò per la fermata del pullman. La panchina era gelida al contatto, sapeva che avrebbe dovuto aspettare per molto tempo prima che giungesse la sua corsa. Passarono pochi minuti che un anziano signore si sedette al suo fianco. Aveva un cappotto grigio e un capello dello stesso colore, con sé una busta che appoggiò tra le gambe,
Sara stava ancora piangendo. Le ultime parole di suo padre  continuavano a tuonarle nella testa,  scavando come una punta di un trapano. Il signore al suo  fianco  si girò verso di  lei ed esordì:<  che succede, signorina? Perché  piange  così? Sa. Le belle ragazzine non dovrebbero  piangere>.
Sara non gli rispose, prese un fazzoletto di  carta dalla tasca del giubbotto e iniziò ad asciugarsi  le lacrime.
<Signorina > insiste  lui, non preoccupi . Non sono il classico vecchietto che ci prova con le ragazzine >. Un sorriso gli distese il volto, < Mi scusi , non insinuavo nulla del genere. È solo che ho la testa da un'altra  parte >.
<Se le  va,  può raccontarmi. Tanto  dobbiamo aspettare Il pullman e non arriverà  per ora > disse,  guardandola  negli occhi con aria gentile. Lei lo studiò  per  un attimo e si sentì  rassicurata, per certi versi le ricordava  Il suo caro  nonnino.
< Stamattina ho discusso con mio padre...  Vuole mandarmi in convento> iniziò  a raccontare Sara.
< Cosa? In un convento?!  Neanche ai miei tempi si mandavano i figli  nei conventi!  Perché  mai  vuole mandarti in  un  posto  del  genere?>
Sara sospirò. < Perché  gli  ho  detto che sono lesbica,  si insomma,  che mi piacciono le donne. Loro pensano che io sia malata, che mi sia allontanata da Dio. Ma non è così. Io sono una persona come tutte le altre,  è solo  che amo le donne. Non penso che amare sia un peccato, no?>
Disse lei, mentre continuava ad asciugarsi gli occhi.
< Ascoltami, signorina. Io ho un nipote gay e lo amo lo stesso. Permettimi di darti un consiglio: Vai per la tua strada. Non pentirti mai delle tue scelte. Tu sei giovane e il tempo farà il suo corso. Ogni cosa che farai, ogni scelta falla con la testa, la tua testa! Poi  vedrai che i tuoi genitori si pentiranno e saranno loro a cercarti>.  Quelle parole colpirono Sara nel profondo, l'angoscia sembrò  sciogliere un poco  i suoi lacci. Adesso stava meglio, Sì adesso sentiva una nuova forza. Adesso poteva affrontare una vita nuova.

                           la conquista di IDIDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora