They see right through me(Max)

54 1 0
                                    

Ci fu un tempo in cui tutto era felice, papà non urlava, mamma era a casa, non ero costretto a proteggere Vic. C'è stato un tempo in cui delle corse sapevo solo che papà non ne aveva vinte, che erano per i grandi. All'epoca giocavo a calcio, ero felice, credo. Non credo di conoscere la felicità, non più. Anzi, temo di non averla mai conosciuta. Forse quei sorrisi, quelle risa, che liberavo sul campo da calcio di Bree altro non erano che spaccati della vita felice e domestica dei miei amici, di cui entravo a far parte. Ricordo il giorno in cui papà mi portò sui kart la prima volta. In realtà ero troppo piccolo per ricordare, ma mi tornano alla memoria il vento nei capelli e l'orgoglio negli occhi di quell'uomo che per il mondo era mio papà. Ricordo le prime volte sui kart competitivi, le prime gare, le domeniche in pista, essere i primi ad arrivare, gli ultimi ad andarcene. Non mi dispiaceva, amavo il mio kart, amavo correre. "Un giorno sarò come te papà!" Strillavo seduto sul sedile anteriore della macchina. Ero troppo piccolo all'epoca per stare davanti e senza seggiolino. Le leggi parlavano chiaro, ma papà diceva che non importava l'età, che dovevo farmi le ossa e nessun pilota si fa' le ossa sul sedile posteriore.

Ricordo quando papà era ancora in gara, gli scontri con zio Michael e mamma e zia Corinna che scherzavano insieme. Spesso andavo in vacanza con loro. Zio Michael mi portava in Germania sulla neve e io ero gioioso. Ma erano attimi, giorni, settimane, se ero fortunato, prima di tornare alla routine. In quei momenti frequentavo la Chiesa. Lo zio diceva che era importante, soprattutto per uno come lui, che rischiava la vita, credere in Dio e ringraziarlo per ogni respiro. Papà invece è ateo, non crede, per lui la vita è un dato di fatto, nulla per cui essere grati a uno "Stupido Dio". Da quando  Zia Corinna, facendo inginocchiare me, Mick, Gina e suo marito, fece dire a tutti le preghiere e arrivato il mio turno scoprì che non sapevo farlo, fu la famiglia Schumacher a crescermi in timore di Dio. Sono grato a loro, perché se nò non avrei dogmi religiosi. Per un periodo ricordo di essere stato arrabbiato verso Dio. Era circa il momento dell'inizio stagione e vedevo come gli altri genitori si comportavano, e poi vedevo il mio. Quelle sere, però, la preghiera prima di andare a dormire, fatta di nascosto per nasconderla all'occhio di falco di papà, c'era sempre. In quei momenti di riflessione chiedevo una famiglia diversa, amorevole. Chiedevo un cognome nuovo, un cognome che io conoscevo fin troppo bene.

Ricordo il giorno in cui papà disse che non sarei andato più in Germania con la famiglia Schumacher, che io e Mick non potevamo essere amici. Ricordo un episodio in particolare che avvenne prima di ciò. Mick e io partecipammo nel campionato di Kart europeo e io vincevo tutte le gare, e ricordo che una volta arrivai secondo, per me non era un gran problema ma mio padre ingigantiva tutto. Mick arrivò terzo, il suo primo podio. Zio Michael ci portò al ristorante per festeggiare, ma papà non era contento del mio secondo posto. Non ho grandi memorie di ciò che avvenne dopo, ma mi arrecò danno fisico in qualche modo.

La mia adolescenza durò poco, tra gare di go kart e il mio debutto in Formula uno. Riguardando il tutto ora, temo che sia stato commesso un errore. Ero troppo giovane, stupido ed irresponsabile, ma non era nelle mie facoltà ritirarmi. Non ho molto da dire sulla mia vita fuori dalle corse. Non ce n'era molta all'epoca, a parte il fatto che a me piacesse studiare. Ho sempre trovato le materie umanistiche in particolare interessanti. I dettagli della storia, gli amori proibiti, il coraggio dei soldati, le congiure, i tradimenti erano così affascinanti. Avevo più che buoni voti a scuola, non solo tutte sufficienze, ma anche voti molto alti, la cui natura era dovuta perlopiù allo studio di nascosto alle tre di notte con la torcia. Papà lo riteneva una perdita di tempo. Ma a me piaceva. Io amavo la scuola, la bramavo, bramavo l'ansia prima dell'esame all'ultimo anno, la paura prima delle verifiche, i santini nell'astuccio, le preghiere prima delle interrogazioni. Mi sarebbe piaciuto andare all'università, forse in Olanda, non in Belgio, e fare storia. O magari filosofia con i pensieri contorti dei filosofi, la forma più pura di umanità e del pensiero non filtrato, la più bella forma di poesia alle mie orecchie. A mia mamma sarebbe piaciuto che io prendessi lettere, era quasi riuscita a convincere mio padre. Poi però, dopo conflitti e lotte, divorziarono. Non so bene come, ma papà fece in modo che mia madre sembrasse instabile, ciò le fece perdere la mia custodia, però mantenne quella di Victoria, mia sorella. Non andai mai all'università, anzi non finii nemmeno la scuola superiore. Papà volle che io intraprendessi in primo il professionale. Era praticamente un avviamento al lavoro, 5 anni di meccanica e ingegneria, materie che a me non piacevano. Ma non ebbi molta scelta. Il quinto anno non lo iniziai proprio, compiuti i diciassette, mio padre mi procurò un nullaosta. Lasciai gli studi, misi da parte i libri e mi concentrai sulle corse. Ecco, forse, la felicità, la mia felicità era nello studio. Ma questo temo che non lo saprò mai.

Dei primi tempi nella Formula 1 ricordo poco, se non le sbronze colossali e le stronzate ancora più grosse. Di netto richiamo solo la festa tenuta al mio sbarco in Red Bull. Ricordo la stretta di mano di Christian e le pacche sulle spalle da parte di tutti. Richiamo la confusione e l'odore dell'alcol. Ma non di più.
Ora non so quanto ciò che affermo sia vero, ma non cambiò molto nella mia vita all'epoca, in realtà quasi nulla. Ma una cosa nuova c'era. Ad assicurarsi che prendessi antidolorifici ad ogni sbornia c'erano sempre le stesse nuove persone, persone che tutt'oggi sono la mia famiglia, e no, né mio padre né mia madre sono fra questi. Non quelli biologici almeno. Accanto a me c'era sempre Daniel, accoccolato al mio fianco come un fratello maggiore alla prima sbronza del fratello più piccolo, e sapevo che seduti sul divanetto sotto la televisione c'erano Christian e Geri. Papà e Mamma. I miei veri mamma e papà. Non che io li chiami così. Ciò mi renderebbe ridicolo, ma lo sono e ne sono grato.

Non ricordo il momento esatto in cui conobbi Charles, forse ero troppo piccolo, forse troppo distratto, ma so che in un modo o in un altro, lui mi cambiò la vita. Non sono gay, non sono mai stato attratto dagli uomini, non che ci sia nulla di male, onestamente non mi importa se qualcuno ama una persona dello stesso sesso, anzi non mi importerebbe, in linea teorica, di ciò che il mio partner ha in mezzo alle gambe, non è ciò che conta. Ciò sarebbe importato a mio padre, non a me, io amo i caratteri, i personaggi. E onestamente, se proprio dobbiamo paragonare la vita a una serie TV, preferirei stare con un personaggio secondario e retrocedere di mille miglia, perdendo tutto ciò che ho, vivendo in pace da nessuno più totale, che finire come quell'uomo che viene definito così solo da chi ha abbastanza stamina da chiamarlo tale.

Parliamoci chiaro, la vita non è un romanzo, io ho avuto tutto e il contrario di tutto. Avevo fama, soldi, possibilità già da quando ero così piccolo da non capire nulla, ma ho mancato tante, forse troppe, piccole cose, come le giornate facili a scuola, che saltavo per stare alla pista, o le feste di compleanno da piccolo. Ho passato tutti i miei compleanni dai 4 ai 17 anni sulla pista o sul simulatore ad affinare tecniche di guida forse troppo avanzate per la mia età. E l'unico che posso incolpare è me stesso. Se solo avessi avuto più impeto, più coraggio. Se solo avessi avuto più... se solo non avessi avuto paura di chi ero, sarei potuto essere Max, solo Max, non Max il cannibale, non Max il campione, solo Max. Ma forse è meglio così, a nessuno piace Max, a tutti piace "Verstappen numero 1", ma a chi importa di quel bambino che ancora oggi piange e si dispera nella solitudine della mia cabina... Vorrei solo potergli dare una possibilità, portarlo dove voleva, lassù, in alto, sulla Luna. E forse, allora, qualcuno potrebbe vedere attraverso quel cerone di Max e guardare Maxy negli occhi. Forse basterebbe, o forse no. Ma in ogni caso devo proteggerlo.

God shines brightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora