Epilogo

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"Non può essere vero."

Per tutto il tragitto in auto dallo stadio alla Continassa ripeto in continuazione le stesse quattro parole. Isabel dorme nel sedile posteriore e se ne sta con la testa appollaiata contro il seggiolino della sua sorellina. Tutt'intorno a noi c'è un silenzio che incute timore. Nelle macchine accanto e dietro di me scorso tifosi bianconeri avviliti, con la testa bassa e bambini con le lacrime agli occhi. Non ci sono bandiere che sventolano alte nel cielo e gli ultras tornano velocemente verso i loro pullman.

All'uscita dal parcheggio rimango bloccata nel traffico per una decina di minuti, poi finalmente riesco a divincolarmi e immettermi sulla strada che mi porterà al quartier generale. Ci sono diverse persone radunate fuori l'entrata principale degli uffici, alcuni di loro sembrano davvero arrabbiati.

Avremmo dovuto immaginare che, dopo una sconfitta così pesante contro una squadra che negli ultimi anni è diventata una delle nostre principali rivali, ci sarebbe stata una contestazione da parte della nostra stessa tifoseria. Dio, dovremmo contestarci noi stessi per il modo inguardabile in cui abbiamo affrontato gli scontri nell'ultimo periodo.

Vance è nella macchina dietro di me, scende e mi raggiunge prendendo il posto del passeggero nella mia auto. "Signora Agnelli, dovremmo entrare dal retro."

Resto ferma perché, nonostante io sia ben consapevole che sia la scelta giusta per evitare che si trasformi in qualcosa di più grave, e che devo tenere le bambine al sicuro, voglio ascoltarli, sapere perché sono così tanto arrabbiati.

"Prendi la macchina e portale dentro. Io entro da qui." Una volta che sono certa che abbia compreso le mie parole e che sia Isabela che Anita siano al sicuro con lui, scendo dall'auto.

Il rumore dello sportello che si richiude alle mie spalle attira l'attenzione di alcuni di loro e ben presto viene creato un corridoio per raggiungere l'ingresso. Dalle retrovie provengono lamenti impetuosi, mi vengono rivolti appellativi per niente carini e alcuni insultano anche le mie bambine.

Nonostante io provi un profondo affetto per la nostra tifoseria, non tollero che questi attacchino Isabela e Anita. Loro sono pure ed innocenti, e lo saranno ancora per un bel po', e non meritano di essere immischiate in questioni che ancora non possono ancora comprendere a pieno. Io ho compreso solo intorno agli otto anni il peso del mio cognome e quello che esso significa per Torino. Loro avranno più difficoltà di me perché i loro cognomi sono due e nessuno di questi è "leggero" da vestire.

"La squadra deve svegliarsi!"

Mi si para davanti un uomo che non avrà più di cinquant'anni, i capelli corti e brizzolati e la barba appena incolta. Indossa la maglia a strisce bianconere e intorno al collo porta una sciarpa degli stessi colori. Tra le mani stringe una bottiglietta d'acqua e un berretto.

"Signora Agnelli, la prego, bisogna fare qualcosa. Questi ragazzi hanno perso la propria identità. La Juventus ha preso la propria identità! Non c'è fame. Non c'è voglia di vincere, o per lo meno di provarci." Mi guarda con le lacrime agli occhi e la voce tremante. Allungo una mano e la stringo attorno alla sua come ad infondergli coraggio. "È un'umiliazione vedere una squadra che ha vinto tutto ciò che c'era da vincere. Questi ragazzi non sanno per cosa stanno giocando, non conoscono la storia."

"Non lasciate la squadra ad un mercenario, una persona che deve fare soldi. Pensate a noi tifosi, non solo alle casse da riempire."

All'improvviso il mio braccio viene afferrato ed io vengo trascinata via di forza da Luca. Solo dopo aver varcato la soglia d'ingresso del centro mi rendo conto che è stato fatto esplodere un fumogeno a qualche metro da dove ero ferma io poco prima e che ha fato scappare l'uomo con cui stavo parlando.

Il Più Bel Goal 3|| P. DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora