Per l'intera settimana le mie giornate ruotavano intorno a scuola, pomeriggi in biblioteca e Tommy. Sí, perché nel fine settimana spettava a me fargli da "mamma", non che fosse un peso per me, adoravo stare con Tommy, perché nonostante fosse un bambino piccolo di 3 anni riuscivo a interagire con lui come se ne avesse 10. Quel sabato nel pomeriggio però, Giselle mi aveva invitata ad una festa che si sarebbe tenuta quella stessa sera e di solito agli inviti di Giselle rifiutavo categoricamente, non ero amante di feste e "riunioni sociali" (così Giselle li definiva per cercare di convincermi), ma quella volta, non ne seppi il motivo, me la sentivo e ci volevo andare, ahimè sapevo che era impossibile per i miei doveri. Devi sapere caro lettore, che, anche se non era mio figlio, mi sentivo al 110% responsabile e anche se penserai che, avrei dovuto andare a quella festa, perché quegli anni non sarebbero più tornati, io decisi comunque, quel pomeriggio a tratti nuvoloso a tratti soleggiato, che non potevo stravolgere i piani della mia famiglia. Quindi, quella sera rimasi a casa e badai al mio nipotino, fu come tutte le serata di quel tipo: dopo essere ritornata dalla biblioteca, preparai la pappa a Tommy e salutai la mamma, che si dirigeva al turno serale, successivamente mentre ero indaffarata in cucina, cercando di imboccare Tommy con scarsi risultati (voleva che fosse la mamma a dargli la pappa), intravidi la porta di ingresso aprirsi, richiudersi e riaprirsi nuovamente, presa dalla curiosità mi sporsi verso il tavolo in modo tale da vedere ciò che capitava nell'ingresso e mi parve di vedere un ragazzo che agitava le mani verso mia sorella. Stavano litigando animatamente, ma non riuscii a vedere il volto dell'ospite e non riuscii a capire le battute che si scambiavano per il semplice fatto che sussurravano, capii qualche parola di sfuggita ad alta voce:
"Non puoi farmi questo..." continuò in un bisbiglio:
"...Ho sbagliato"
"È troppo tardi..." sentii per ultima, la voce di mia sorella e la porta si chiuse violentemente, balzai su me stessa e poi guardai Tommy che, stranamente, era rimasto con la bocca aperta aspettando la pappa, mi intenerii e gli diedi una miriade di baci sulle guanciotte paffutelle, mia sorella mi interruppe entrando in cucina:
"Io esco..." tirò sul col naso, aveva appena pianto:
"Dove vai?" Chiesi, portando alla bocca di Tommy l'ultimo boccone:
"Non ti riguarda" sputò freddamente, così arrogantemente che mi uscirono le parole di bocca:
"Ascolta, ti conviene non trattarmi così che ci metto un attimo a lasciarti Tommy, non sai quante sere con i miei amici (mi importava relativamente poco, ma comunque lo dissi) mi hai negato, per i tuoi giri serali" mi riscaldai e cercai di contenermi il più possibile, pulii più delicatamente possibile le piccole labbra di Tommy con la bavaglietta:
"Hai ragione, perdonami" posizionò la mano sopra gli occhi, come se stesse cercando di trattenere le lacrime:
"Ti devo tutto Dakota, perdonami, sono un pò scossa, ma stai tranquilla che mi farò sdebitare" si diresse verso il frigorifero, forse per evitare il mio sguardo indagatore, e bevve un goccio d'acqua, si schiarì la voce:
"Stasera sto con lui, va a divertiti" si protese verso il suo bambino e lo prese in braccio, lui teneramente poggiò la testa sulla suo seno e cercò il mignolo della mamma per coccolarsi:
"Chi era all'ingresso?" Chiesi di getto, non volevo vederla così e soprattuto ero curiosa di sapere chi fosse passato a quell'ora della sera:
"Non è nessuno, non preoccuparti... non ti dovrai più occupare di Tommy, non voglio privarti della tua adolescenza, lo so che abbiamo fatto l'accordo con mamma per i turni con Tommy, ma è ora che mi occupi di mio figlio completamente e di nessun altro..." marcò le ultime parole, come se in questi anni da quando era nato Thomas, avesse dovuto occuparsi di qualcun altro. Decisi di lasciar perdere per quella volta, ma mi ero ripromessa di ficcanasare oltre.
"Mi dispiace aver detto quelle parole, in realtà io adoro stare con Tommy, non mi privi di nulla, sono io piuttosto che mi privo della mia adolescenza" dissi sinceramente, mi alzai e la guardai negli occhi:
"Lo so che hai sofferto molto Kate, e a me non dispiace aiutarti... veramente. Ti voglio bene e per qualsiasi cosa ti affligga, io sono qua ad ascoltarti" dissi con cuore in mano, mentre lei con lo sguardo non più preoccupato, ma sollevato, si avvicinò a me protraendomi un braccio in segno di avvicinarmi a lei e racchiuderci tutti e tre in un abbraccio:
"Okay okay ma... ora va' alla festa e divertiti, non pensare a me o a questo piccolo mostriciattolo" si asciugò due lacrime che le scesero lentamente dalle gote:
"No no, resto qui stasera, ora mai è tardi per andare" dissi cercando di scappare da lei, perché sapevo che non si sarebbe resa per vinta a convincermi di andare, ma il mio tentativo fu invano, perché in quel momento mentre percorrevo il salotto, il citofono suonò. Aprii e mi ritrovai Giselle con 32 denti:
"Che diavolo ci fai qui?" Chiesi e poi ricollegai tutto a mia sorella, ingrata!:
"Daii Dai, non abbiamo tempo per le vendette" mi trascinò in camera e mi agghindò come un pagliaccio:
"Sei bellissima" disse fiera guardando il riflesso allo specchio, io ero di diversa opinione:
"Come no" non fece caso alle mie parole che offendevano il suo elaborato "lavoro" sul mio povero corpo:
"Andiamo!! Su, su!" Sbuffai e mi feci trascinare dalla mia amica fino alla macchina, guidò lei durante il tragitto verso il falò barra festa, barra riunione sociale. Le domandai dopo un lungo suo concerto:
"Hai masso la felpa nel baule? Stasera si gelerà"
"Cavolo, me ne sono dimenticata" sbuffai e mi pentii subito di aver detto quelle parole a mia sorella.
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Little things
Teen FictionIn una buia sera d'inverno notai che la luce della stanza del ragazzo della porta accanto lampeggiava insistentemente, come se qualcuno continuasse a svitare e a avvitare quella maledettissima lampadina. Mi spostai fuori dalla finestra di camera mia...